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L'UNUCI per l'Umbria

Il Volume "La Divisione "Perugia" Dalla Tragedia all'Oblio" è disponibile in tutte le librerie. ISBN 886134305-8, Roma, 2010, Euro 20,00 pag. 329.



Ordini: ordini@nuovacultura.it, http://www.nuovacultura.it/ Collana storia in laboratorio; per ordini diretti risorgimento23@libero.it; per info:ricerca23@libero.it; per entrare in contatto con gli autori: massimo.coltrinari@libero.it



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lunedì 24 novembre 2008

Presentazione

Venerdì 28 novembre prossimo, alle ore 16 e 30, nella sede della Casa della Memoria e della Storia (via S. Francesco di Sales 5, Roma), si terrà la presentazione dell’opera di

ANNA MARIA CASAVOLA

7 OTTOBRE 1943
La deportazione dei Carabinieri romani nei Lager nazisti
(Edizioni Studium)
promossa da:

Associazione Nazionale Ex Internati, Edizioni Studium,
Associazione Nazionale Partigiani d’Italia,
Istituto Romano per la Storia dal fascismo alla Resistenza
e Associazione Nazionale Deportati Politici nei campi nazisti

Presenteranno l’opera: il Col. Giancarlo BARBONETTI, Capo dell’Ufficio Storico dell’Arma dei Carabinieri, Nando DALLA CHIESA, Università Statale di Milano, Antonio PARISELLA, Università di Parma, Presidente del Museo storico della Liberazione in Roma, e Aldo PAVIA, Presidente ANED di Roma.

Interverranno: il Gen. Max GIACOMINI, già Presidente nazionale ANEI, e Massimo RENDINA, Presidente ANPI. Introdurrà Stefano CACCIALUPI, Segretario Generale ANEI. Coordinerà Marco DAMILANO, cronista politico e parlamentare de “L’Espresso”.

Il libro getta luce su un evento completamente dimenticato: la deportazione ad opera dei nazisti di duemila-duemilacinquecento Carabinieri romani, prologo alla più nota deportazione di oltre mille ebrei. Sulla base di una vasta documentazione inedita custodita in archivi militari, di diari e di testimonianze, viene ricostruita la vicenda della cattura, dell’estenuante viaggio e del drammatico internamento nei Lager, e si indaga sulle ragioni del rifiuto da parte dei Carabinieri – al pari degli altri 600 mila militari internati – ad aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Nuova e sorprendente luce viene fatta anche sulla liberazione di Mussolini dalla custodia di Campo Imperatore.

Verrà anche presentata la nuova edizione dell’opera di VITTORIO E. GIUNTELLA, Il nazismo e i Lager.


Edizioni Studium – Roma, tel. 06.6865846 – ANEI, tel. 06.68301203

sabato 15 novembre 2008

La guerra di liberazione: una guerra su cinque fronti

Massimo Coltrinari (coltrinari@libero.it)

Il tema di questa conferenza è dedicato al nostro approccio della guerra di liberazione, ovvero dare un significato più compiuto al termine “guerra di liberazione su cinque fronti”.

La lotta che il popolo italiano intraprese, all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre 1943 con le Nazioni Unite può essere intesa come un tutto uno, ovvero una opposizione armata al nazifascismo ed adesione alla coalizione antihitleriana. La Guerra di Liberazione in questa chiave di lettura si può considerare una guerra combattuta su cinque fronti in nome di una Italia diversa e democratica. Una guerra che. Una volta vinta, doveva rappresentare una discontinuità con il fascismo in primo luogo, e soprattutto con le aberrazioni e le degenerazioni del fascismo stesso, recuperando nella sostanza quel senso civico, quell’amore di Patria, quell’unità di intenti e di partecipazione popolare, quel senso di pace e di fratellanza che erano stati il mastice dei cimenti del Primo conflitto mondiale e che provenivano dal retaggio, quello progressista, mazziniano garibaldino e il meglio di quello cavourriano del Primo Risorgimento mazionale.
In questo quadro cos’ delineato, i fronti della Guerra di Liberazione individuati sono i seguenti:
- Quello dell'Italia libera, ove gli Alleati tengono il fronte e permettono al Governo del Re d'Italia di esercitare le sue prerogative, seppure con limitazioni anche naturali per esigenze belliche. Il Governo del Re è il Governo legittimo d'Italia che gli Alleati, compresa l'URSS., riconoscono.
- Quello dell'Italia occupata dai tedeschi. Qui il fronte è clandestino e la lotta politica è condotta dal C.L.N., composti questi dai risorti partiti antifascisti. E' il grande movimento partigiano dei nord Italia.
- Quello della resistenza dei militari italiani all'estero. E' un fronte questo non conosciuto, dimenticato, caduto presto nell'oblio. E' la lotta dei nostri soldati che si sono inseriti nelle formazioni partigiane locali per condurre la lotta ai tedeschi (Jugoslavia, Grecia, Albania).
- Quello della Resistenza degli Internati Militari Italiani in Germania, che opposero un deciso rifiuto di aderire alla R.S.I., di fatto delegittimandola.
- Quello della Prigionia Militare Italiana della seconda guerra mondiale.

Delineati così i fronti della Guerra di Liberazione occorre precisare due punti: la individuazione del fronte “Nemico” ed il rapporto che esiste tra “Guerra di Liberazione e Campagna d’Italia”
Il Fronte “nemico” indubbiamente è la coalizione Hitleriana. La leaderschip nazista giunta al potere nel 1933 in Germania intendeva dominare l’Europa e, indirettamente, il mondo nella visione eurocentrica del medesimo, rafforzando all’interno lo Stato, esasperando gli aspetti totalitaristici ed autoritari, applicando in ogni momento e in ogni tempo la dottrina nazista della supremazia dell’uomo ariano, e cercando di portare entro i confini del Reich tutti i tedeschi, sia di origine che acquisiti, in una purezza di sangue che veniva attuata, secondo le leggi sul sangue e l’onore tedesco dette di Norimberga del 1935.
Questo comportò un fortissimo riarmo in quanto la guerra ai popoli vicini sarebbe stata, in un rapporto di potenza via crescente e favorevole alla Germania, il mezzo più veloce ed efficace per il raggiungimento degli obbiettivi nazisti e quindi della Germania. Sfruttando la debolezza diplomatica ed una politica di accettazione passiva da parte della Francia e della Gran Bretagna, che fino a quando l’espansione diretta tedesca non toccava da vicini i loro interessi diretti, ma solo quelli degli alleati ed amici non ritennero di contrastare o intervenire direttamente; non è certo un retaggio morale positivo il comportamento di britannici e francesi che, pur di non pagare direttamente un loro intervennero abbandonarono cechi, slovacchi, boemi, e da ultimo i polacchi. Quando l’azione della Germania mise in pericolo i dominio dell’Europa ed attraverso l’Italia si estendeva al Mediterraneo, si arrivò, mal preparati alla guerra. La Germania iniziò quindi quelle folgoranti campagne che in virtù della sua preparazione la vide in pochi mesi conquistare la Polonia, la Norvegia e la Danimarca, il Belgio e l’Olanda, ed infine la Francia. Ormai la guerra era divenuta lo strumento per il nuovo ordine che si voleva costruire. Dopo la conquista della Jugoslavia e della Grecia, con l’attacco alla URSS nel 1941 la guerra divenne anche ideologica. Convinto che in pochi mesi la URSS si arrendesse sotto gli attacchi tedeschi, Hitler non cercò minimamente l’aiuto dei suoi alleati. Quando le operazioni in Unione Sovietica si arenarono e le unità tedesche si fermarono davanti a Mosca, la guerra da “lampo” divenne normale. In questo torno di tempo Hitler cerca nuove aiuti e forze, quindi tira le fila della sua coalizione, chiedendo aiuti, soprattutto manodopera per il suo sforzo bellico, più che soldati. E’ il rafforzamento della Coalizione Hitleriana, in cui i vari uomini locali, nettamente al servizio dei tedeschi, contribuiscono alla loro vittoria. Vi è tutta una galassia di stati che operano in questa chiave, tra cui, dopo la crisi armistiziale, anche la Repubblica Sociale Italiana, fondata e governata da Benito Mussolini, con l’aiuto dei componenti l’ultimo fascismo, quello idealizza, spesso irrazionale, estremista.
Sullo stesso piano, nella Guerra di Liberazione, dei cinque fronti vi è, come “fronte nemico” questa coalizione Hitleriana, in cui in Italia la Repubblica Sociale Italiana è quello preminente. La Repubblica Sociale Italiana che verràgestita secondo l’estremismo del Partito repubblicano fascista che prevale su quello moderato rappresenta uno dei rivoli che confluiranno nella grande unificazione del dopoguerra, una vlta superate gli estremismi dovuti alla guerra.

Altro aspetto da focalizzare. Il rapporto tra Campagna d’Italia e Guerra di Liberazione. E’ indubbio che i vertici politici e militari della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, con a fianco quelli della URSS e in parte il residuo francese di estrazione gaullista, nel momento che intraprendono l’invasione della Sicilia, intendono con questa azione costringere l’Italia ad uscire dalla guerra, ovvero rompere l’alleanza con la Germania. Questo riesce e l’Italia, con l’armistizio dell’8 settembre 1943, e quindi si apre il fronte Italiano, ovvero la Germania deve guardare i suoi confini meridionali, ovvero ancora si apre il terzo fronte per essa. Gli Alleati, come comunemente vengono chiamati nel nostro retaggio, oggi, e ieri dalle generazioni che furono protagoniste di quelle vicende, intendevano proseguire la “loro” guerra, e non avevano alcuna intenzione di porre gli interessi dell’Italia e degli Italiani se non in misura funzionale e in armonia con i loro precisi interessi. Subordinatamente a questo l’Italia era sempre una nazione nemica, ove il fascismo aveva dominato, e, all’indomani della vittoria, non si poteva permettere in nessun caso che riassumesse il ruolo di Potenza Europea, o Grande Potenza, come era stato all’indomani della vittoria del 1918. Doveva, soprattutto nel disegno britannico, essere sulla scena europea in posizione subordinata e di media-piccola potenza, sotto influenza inglese o america, un disegno che poi a Jalta naufragò miseramente in quanto emersero le sue superpotenze, USA e URSS, che fino al 1989 diedero vita ad in sistema bipolare di gestione del mondo che rilegò tutti gli altri Stati, vinti e vincitori della Seconda Guerra Mondiale, sullo stesso piano.
La Campagna d’Italia quindi sono avvenimenti che agiscono su un piano superiore e diverso da quelli che agiscono nella Guerra di Liberazione. Qui tutti è subordinato al primo, e l’ultima parola spetta sempre agli altri, mai a noi Italiani, e gli interessi altrui sono sempre anteposti a quelli nostri. L’unica possibilità che abbiamo in queste dinamico e in questo geosistema di potenza e rapporti tra nazioni impegnati in una guerra, è il nostro impegno: più riusciamo a aiutare o assecondare nelle loro azioni gli Alleati, più la possibilità di avere un trattamento migliore aumenta, ma sempre e subordinatamente ad una decisione altrui.

Delineati così i fronti della Guerra di Liberazione e cercato succintamente di delineare il rapporto che intercorre tra Campagna d’Italia e Guerra di Liberazione, vediamo più da vicino, quale è il profilo di ogni singolo italiano, in quelle drammatiche vicende che ora chiamiamo “crisi armistiziale”.
Se vediamo il singolo militare, il singolo cittadino atto alle armi constatiamo che alla guerra parteciparono per varie vie, spesso seguendo scelte le più disparate: chi come rifiuto di consegnarsi ai tedeschi; chi, catturato, finì nei campi di concentramento in Germania e in Polonia; chi entrò nelle file partigiane e prese le armi; chi rientrò in Italia del Sud e nella stragrande maggioranza entrò nelle file dell'Esercito del Re; chi visse, senza cedere, sui monti in Italia e all'Estero per non consegnarsi ai tedeschi e non collaborare, chi nei campi di Prigionia degli ex-Nemici, ora presunti alleati, accettò di collaborare in nome del contributo che l'Italia doveva dare per un domani migliore.
Questo approccio ha permesso, aprendo una parentesi, di poter sviluppare le ricerche in queste cinque direzioni al fine di vedere quanti e quali italiani portarono, come dice Luciano Bolis il loro "granello di sabbia",alla Guerra di Liberazione oltre a quella che vide coinvolti quelli che rimasero fedeli alla vecchia Alleanza, ovvero fecero la loro militanza non solo nella Repubblica Sociale Italiana ma anche nelle fila dell’Esercito tedesco e come arruolati in uniforme tedesca e come ausiliari, che ha permesso di riportare alla luce tanti episodi ormai avvolti nel buio, ma deve essere ulteriormente integrato.

Vediamo ora più da vicino i cinque fronti della Guerra di Liberazione
Il Primo Fronte: L'Italia del Sud
Qui ricomincia a funzionare il vecchio stato, ma accanto si sviluppa la dialettica dei partiti. Partecipano alla guerra prima il I Raggruppamento Motorizzato, poi il C.I.L., poi i Gruppi di Combattimento. Sono, in nuce, i soldati del futuro esercito italiano, che operano secondo le regole classiche della guerra. E' indubbio che combattono contro i tedeschi, anche se il rapporto con gli Alleati è sempre di sudditanza. Con la liberazione di Roma e l'avanzata nell'Italia centrale la lotta al nazifascismo non è disgiunta da una appassionata discussione sul futuro politico dell'Italia e sulle prospettive di vero rinnovamento democratico. Le forze partigiane e dei partiti antifascisti coesistono, oltre che con l'organizzazione militare del Regno, anche con la Chiesa Cattolica, fattori entrambi che condizionano in senso moderato l'attività antifascista.

Il Secondo Fronte: L'Italia del Nord
Al momento dell'Armistizio, l'Italia fu tagliata in due. Al nord i tedeschi impongono la Repubblica Sociale. Qui si ha la forma più compiuta di resistenza. Si hanno le formazioni partigiane organizzate dai partiti antifascisti in montagna, mentre nelle pianura e nelle città si organizzano i GAP e le SAP. Oltre a ciò la popolazione civile partecipa alla guerra collaborando con il movimento artigiano in mille forme, e subendo terribili e inumane rappresaglie; inoltre gli operai con i loro scioperi e la loro resistenza passiva contribuiscono a rallentare lo sforzo bellico dell'occupante e a minare anche la propria sicurezza. Si ha il coinvolgimento di ampi strati della popolazione nella guerra al nazifascismo, che s’integra con il particolare profilo delle bande in montagna, che non sono solo gruppi di combattenti ma anche luoghi di dibattito e di formazione politica.

Il Terzo Fronte: L'Internamento
Nei mesi di settembre ed ottobre l'Esercito tedesco fa prigionieri ed interna in Germania oltre 600.000 militari italiani, dando origine al fenomeno dell'Internamento Militare Italiano nella seconda guerra mondiale. Questi militari non hanno lo status di prigionieri, ma di internati, ovvero nella scala del mondo concentrazionario tedesco, sono sullo stesso livello dei prigionieri sovietici ( La URSS non aveva firmato la convenzione di Ginevra del 1929) e poco al di sopra degli ebrei. Ovvero il loro trattamento era durissimo. In queste circostanze per uscire da questo inferno ci si sarebbe aspettato una adesione plebiscitaria alle proposte di collaborazione sia dei Nazisti sia degli esponenti della R.S.I. Invece la quasi totalità degli Internati oppose il rifiuto ad una qualsiasi forma di collaborazione, subendone le più terribili conseguenze. Fu un fronte di resistenza passivo, ma determinato, che nella realtà dei fatti deligittimò sul piano interno ma anche agli occhi dei germanici la Repubblica Sociale. Infatti una decisione in massa degli Internati ai fascisti di Salò avrebbe permesso alla R.S.I. di avvalorare le tesi della propaganda, che era l'unica rappresentate della vera Italia. In realtà questa non adesione, in sistema con la lotta partigiana, isolò Mussolini relegandolo a semplice rappresentate di se stesso e dei suoi accoliti.

Il Quarto Fronte: La Resistenza dei Militari Italiani all'Estero
Se nel nord Italia si sviluppò il movimento partigiano attraverso bande armate, all'estero, i militari italiani sorpresi dall'armistizio dell'8 settembre e sottrattisi alla cattura tedesca si opposero ai tedeschi in armi, inizialmente, poi dando vita, in armonia con i movimenti di resistenza locali a vere e proprie formazioni armate. Per la resistenza di formazioni organiche sono noti i fatti di Lero e di Cefalonia. Meno noti tanti altri fatti in cui unità militari italiane organiche resistettero ai tedeschi fino al limite della capacità operativa. Un esempio per tutte: La Divisione "Perugia", stanziata nel sud dell'Albania tenne in armi il porto di Santi Quaranta fino al 3 ottobre 1943, in attesa di un aiuto da parte italiana ed alleata. Una divisione di oltre 10.000 uomini, che dominava un area abbastanza vasta e che avrebbe potuto dare un forte aiuto ad un intervento alleato dall'altra parte dell'Adriatico. 10.000 militari italiani che rimasero compatti per tre settimane oltre l'armistizio, in armi e che paragonarono duramente questa loro resistenza. Infatti tutti gli Ufficiali della Perugia furono fucilati, e gli uomini iternati in Polonia.
Per le unità che passarono in montagna e si unirono ai movimenti partigiani locali, noti sono gli avvenimento della divisione "Venezia" e "Taurinense", che diedero vita alla Divisione Partigiana Garibaldi; meno note le vicende della divisione "Firenze" ed "Arezzo" in Albania e delle divisioni italiane stanziate in Grecia. Militari Italiani diedero vita alla divisione "Italia" in Jugoslavia. Oltre che nei Balcani, militari italiani parteciparono ai fronti di resistenza locali. Così in Corsica, ove oltre 700 militari caddero per la liberazione di Aiaccio, cosi nella Provenza, in centro Europa la presenza di militari italiani è certa.

Il Quinto Fronte: La Prigionia
Vi erano, al momento dell’Armistizio, circa 600.000 prigionieri nelle mani delle Nazioni Unite. Soldati per lo più caduti nelle mani del nemico a seguito dell’offensiva in Nord Africa (1940-’41) alla resa in Tunisia ed al tracollo del luglio agosto 1943 in Sicilia. Per lo più, tranne i 10-12.000 soldati in mano all’URSS, erano in mano anglo-americana. Questi soldati, questi italiani all’annuncio dell’Armistizio dovettero, come tutti, fare delle scelte. La stragrande maggioranza scelse di cooperare con gli ex-nemici, contribuendo anche loro a costruire un futuro migliore. Una aliquota molto bassa non volle cooperare, non solo perché fedeli alla vecchia alleanza, ma per variegate motivazioni.
Ad esempio a Hereford (USA) vie erano circa 4.000 italiani che gli americani consideravano "sout court" fascisti. In realtà, fra questi non cooperatori vi erano sì fascisti, ed anche prigionieri delle Forze della R.S.I., ma anche monarchici, liberali, moderati, repubblicani, socialisti, comunisti o laici in senso stretto che avevano fatto una scelta personale.
I prigionieri in mano agli Angloamericani furono organizzati in ISU, Italiana Service Units, compagnie di 150 uomini addetti ad un particolare lavoro. Il loro contributo si esplicò negli Stati Uniti e in Gran Bretagna con l'impegno nei grandi arsenali o nelle basi, oppure in Nord Africa e quindi in Italia, parte integrante della organizzazione logistica alleata. Anche loro, con il loro lavoro, portarono il contributo alla vittoria finale. Soprattutto i prigionieri che operarono in Italia nel campo delle comunicazioni, dei trasporti e del genio, confluirono poi nelle unità del nuovo esercito italiano, gestendo il materiale di guerra americano
Ovvero, anche il prigioniero che, in un contesto particolare, combatte.

Il Fronte avversario: La Coalizione Hitleriana
La nascita della Repubblica Sociale Italiana avviene per volontà tedesca. Liberato Mussolini sul Gran Sasso, un Duce stanco ed ormai amareggiato dalle vicende della calda estate del 1943 e desideroso di uscire e mettersi in disparte per riprendersi e meditare sul perché il suo movimento e il suo regime in poco più di ventiquattro ore crollò senza che nessuno muovesse un dito per difenderlo all’indomani del suo arresto il 26 luglio 1943, fu costretto a impegnarsi pesantemente nella vita politica italiana. La Nascita della Repubblica Sociale Italiana fu una occasione per i fascisti di chiara fama e di puri sentimenti di mettere in campo le proprie idee, senza i condizionamenti del ventennio. Si voleva creare una Repubblica effettivamente fascista. Questa tendenza, che si tramutò all’atto pratico nel congresso di Verona (i famosi dieci punti) del rigenerato PNF, portò alla ribalta non i moderati o coloro che nelle condizioni del momento potessero gettare ponti con l’altra Italia, ma gli estremisti, gli intransigenti, i fautori delle vendette ( espressione questa che portò alla fucilazione del gerarchi, tra cui Galeazzo Ciano, l’11 gennaio 1944 a Verona, accusati di tradimento il 25 luglio 1943 durante la seduta del Gran Consiglio). Una scelta che esasperò ancora di più la situazione e che generò, per reazione, la adesione di massa al movimento partigiano al nord. La Repubblica Sociale Italiana in mano agli estremisti del partito non riuscì mai a risolvere per intero il rapporto con il tedesco, un rapporto che fu sempre di sudditanza, e soprattutto non riuscì a imporre e realizzare quelle riformi sociali (la socializzazione integrale) su cui si basava la politic internai e che vide il totale fallimento per il rifiuto di aderirvi da parte della masse operaie e proletarie.

A tutti i fronti si accede perchè volontari. Si hanno diverse figure giuridiche, che già descriviamo, come il partigiano, il patriota, il prigioniero, l'internato, l'ostaggio, il deportato, e in questa particolare sede possiamo indicare l’Intelligence Liaison Officers, tutte figure che si delineano a seconda del fronte con cui si combatte. Un fronte che rimane unitario, nella volontà ferma di sconfiggere il nazifascismo. E in nome di questa unità, è sempre bello sottolineare il fatto che gli italiani, pur nella diversità di grado ma non di natura, diede il suo contributo, il suo granello di sabbia, su fronti diversi, affinché si realizzasse una Italia migliore, che è la quinta essenza della Guerra di Liberazione, culla e matrice della nostra Repubblica attuale

Per approfondimenti consultare il volume della collana Storia in laboratorio

Massimo Coltrinari,
La Guerra di Liberazione, una guerra su cinque fronti, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2008
15 euro
(ulteriori informazioni www.secondorisirgimento.it)

venerdì 7 novembre 2008

I Guerra Mondiale: il dovere della memoria

19^ Rassegna cinematografica internazionale Eserciti e Popoli “Il dovere della memoria”

“La Prima Guerra Mondiale. Aspetti politici, militari, sociali” è il tema di un Convegno che si terrà giovedì 6 novembre a Bracciano alla Scuola di Artiglieria. Presieduto dal prof. Antonello Biagini ordinario di storia all’Università “La Sapienza” di Roma approfondirà alcuni temi particolari tra cui quello dei prigionieri di guerra, (Massimo Coltrinari) , e quello degli aspetti sociologici nazionali, prima, durante e dopo il conflitto (Gianfranco Gasperini)
Il Convegno si inserisce nel programma della 19^ Rassegna “Il dovere della memoria” in occasione del 90^ Anniversario della fine del Conflitto.
La manifestazione, unica al mondo, coniuga attualità e memoria storica, è promossa e organizzata dall’Associazione “Eserciti e Popoli” ed intende documentare l’attività delle Forze Armate, segnatamente di quelle italiane, nell’ambito delle società nazionali. E lo fa in modo particolare attraverso il Concorso cinematografico cui quest’anno partecipano documentari prodotti dalle Forze Armate di 26 Nazioni (e dalla NATO): dall’Argentina, Brasile e Canada, da Israele al Sudafrica, alla Corea alla Cina e al Pakistan, e, per quanto riguarda l’Europa, dal Belgio, Croazia, Danimarca, Finlandia, Germania, Lettonia, Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Serbia, Slovenia, Svezia, Svizzera, Ungheria.
L’Italia partecipa con un documentario prodotto dall’Esercito con tema l’Afghanistan.
La partecipazione delle opere di diverse Nazioni è accompagnata dalla presenza di Delegazioni ufficiali di alto livello i cui componenti renderanno omaggio, sabato 15 novembre, giorno della conclusione della manifestazione, al Monumento ai Caduti di Bracciano, insieme al Sindaco con il Gonfalone della città ed ai rappresentanti delle Associazioni combattentistiche e d’arma.

Le proiezioni dei filmati iscritti al Concorso avranno luogo nella Scuola di Artiglieria di Bracciano – Caserma Cosenz - dopo l’inaugurazione, l’11 novembre, con l’intervento dal Presidente della Rassegna, del Comandante della Scuola di Artiglieria e del Sindaco di Bracciano, oltre che dagli addetti militari dei numerosi Paesi accreditati in Italia
Già visionati da una Commissione di selezione formata da esperti delle Forze Armate italiane, i documentari saranno proposti ad una Giurìa internazionale presieduta dal giornalista italiano Tonino Scaroni e di cui fanno parte Werner Seifert (Austria, regista di documentari), il generale Sahajahan Alì Kan (Pakistan, esperto di comunicazione istituzionale), Alexander de Montléart (Germania, regista cinematografico e teatrale), Paolo Insalata (Italia, esperto di comunicazione) e il ten. col. Massimo Mondini (Italia, direttore del Museo storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle).
La cerimonia di premiazione avrà luogo, sabato 15 novembre alle ore 11, nell’Aula Magna della Scuola di Artiglieria – Caserma Montefinale, alla presenza di autorità civili, militari e rappresentanze diplomatiche.

L’altra linea su cui si sviluppa la manifestazione è, come già detto, quella della Memoria Storica. Quest’anno ricorre il 90° anniversario della fine della Prima Guerra mondiale e dell’ Unità nazionale con il ritorno di Trento e Trieste alla Madrepatria. A questo tema saranno dedicate iniziative che coinvolgeranno le Scuole superiori, medie ed elementari di Bracciano, Anguillara, Manziana e Cerveteri. Saranno proiettati i film “La Grande Guerra”, “La caduta delle Aquile”, “Addio alle armi”, “La sciantosa”, “Sissi, la giovane imperatrice”, Charlot soldato”, e documentari storici (tra cui “Il Milite Ignoto” dell’Istituto LUCE), presentati e commentati dal critico cinematografico Ernesto G. Laura e da insegnanti dei vari Istituti scolastici.
Queste iniziative fanno seguito ad altre che prevedono un concerto di canti, inni e musiche del periodo della prima Guerra Mondiale e due conferenze sul tema “La Prima Guerra mondiale. Cause, caratteristiche e conseguenze” e “Il ruolo dell’Artiglieria nella Prima Guerra Mondiale e nella battaglia del Solstizio” ed un seminario su “L’Aviazione nella Prima Guerra Mondiale”che si terrà l’8 novembre a Vigna di Valle presso il Museo Storico dell’Aeronautica Militare.

Associazione “Eserciti e Popoli” Via Udino Bombieri, 45 Tel. 06/99815064
Email: esercitiepopoli@tiscali.it esercitiepopoli@libero.it

mercoledì 5 novembre 2008

Conferenza su "La battaglia di Castelfidardo"

di Giovanni Cecini

Conferenza di Massimo Coltrinari su "Lo scontro del 18 settembre 1860 a Castelfidardo"

L’anno 2008 si colloca alla vigilia di importanti appuntamenti di rievocazione storica, legati all’Italia e al suo Risorgimento nazionale. Il 150° anniversario dell’Unità non appare solo un arido formalismo, da celebrare per dovere d’ufficio, ma l’occasione per rinsaldare in un’unica circostanza i valori fondanti del Paese. Essi trovano il loro pieno ed effettivo compimento nell’arco di cento anni, perché espressi sia nel periodo risorgimentale contro l’oppressione conservatrice e straniera, sia nel periodo postfascista, dove il riscatto della Nazione si è sviluppato nel “secondo” Risorgimento con la lotta contro il totalitarismo, per poi trovare significato nella scelta repubblicana e nella promulgazione della Costituzione del 1948.E’ con questo clima che nel pomeriggio del 30 settembre presso la sede Unuci di Spoleto si è svolta un’importante iniziativa di tipo storico-culturale: un’attenta esposizione del generale di brigata Massimo Coltrinari sulla battaglia di Castelfidardo del 1860.Dopo gli onori di casa del generale Franco Fuduli, presidente della sezione, Coltrinari ha inquadrato gli avvenimenti nello scenario socio-politico del biennio 1859-60, in particolar modo analizzando la figura di Giuseppe Garibaldi, nella sua poliedrica espressione di patriota, generale, rivoluzionario e massone. Proprio l’«Eroe dei due Mondi» appare indicativo per comprendere la successione degli eventi intercorsi tra l’avvicinamento di Cavour alla Francia di Napoleone III e l’incontro a Teano tra il repubblicano Garibaldi e il « re d’Italia» Vittorio Emanuele II.Nell’analisi dei fatti, esposti dal generale Coltrinari, è emerso come il contesto internazionale e l’appartenenza massonica della maggior parte dei protagonisti di primo piano di quel periodo siano stati elementi essenziali e imprescindibili per il successo dell’unificazione nazionale sotto l’ala sabauda.Se l’Italia per secoli era stata campo di battaglia e tenuta di caccia per le principali potenze europee, solo il tacito assenso o addirittura la piena partecipazione di paesi, come la Francia o la Gran Bretagna, possono spiegare la facilità e la rapidità con la quale in un biennio si è realizzato il sogno di unificazione politica, fino ad allora inespresso e testimoniato solo dalla lunga e millenaria comunanza culturale dei sudditi residenti dalle Alpi alla Sicilia.In tal senso va inquadrata la sottile tessitura cavouriana con l’Imperatore «dei francesi» e la simpatia con la quale la società inglese guardava le azioni di Mazzini e di Garibaldi. Proprio seguendo questa analisi retrospettiva, Coltrinari tuttavia ha messo in luce alcuni aspetti molto importanti, rimarcando la provenienza massonica di Garibaldi e di Vittorio Emanuele. Solo questa comunanza segreta poté permettere al primo di avere successo, dove Carlo Pisacane aveva fallito, e trovare nelle logge londinesi un supporto di pressione essenziale contro la debole economia borbonica. In parallelo il Re riuscì, attraverso l’intervento militare piemontese nelle Marche e nell’Umbria e poi giù fino a Teano, nei tre obiettivi fondamentali che si era proposto per divenire l’unico “controllore” della Penisola: spegnere ogni fantasma repubblicano nel Mezzogiorno, magari con a capo Garibaldi stesso; impedire uno sconfinamento nel Lazio di quest’ultimo, che la Francia paladina del Papa avrebbe colto come azione contro di essa; ereditare le vittorie garibaldine ed essere investito dal generale nizzardo come capo indiscusso della Penisola, in questo caso non tanto perché “Re”, ma come “Maestro” massone.Seguendo questa chiave logica e interpretativa, così si spiega la pronta reazione di Torino sulla dorsale adriatica verso Sud, fino alla battaglia decisiva di Castelfidardo del 18 settembre 1860, dove si scontrarono la compagine con a capo Vittorio Emanuele e le formazioni pontificie, incalzate anche sulla costa dalla flotta piemontese contro la piazzaforte di Ancona. Gli sconti si susseguirono su tutto l’arco appenninico umbro-marchigiano e anche presso Pesaro. L’obiettivo delle truppe mandate da Roma (circa 10.000 uomini), forti di un contingente multinazionale eterogeneo e confuso guidato dal generale francese Cristoforo De Lamoricière, era arrivare al mare a tappe forzate attraverso Foligno, Tolentino e Macerata, per fermare l’avanzata da Nord. La risposta piemontese fu diretta ed energica e i franco-papalini furono bloccati dal doppio fronte, composto da 39.000 soldati, proposto dal generale Fanti e messo in atto dal generale Cialdini.La battaglia per quanto secondaria nella memorialistica storica, sia perché non inserita nelle classiche “Guerre d’Indipendenza” e sia perché sovrastata dalla contemporanea Spedizione dei Mille, che tutto offuscò e inglobò in sé, rappresenta comunque ancora una tappa fondamentale per la realizzazione dell’Unità. La vittoria a Castelfidardo permise l’avanzata verso Sud e portò, con l’incontro campano tra il Savoia e il repubblicano Garibaldi, la confluenza di intenti nel compiere il primo passo verso l’Italia, una, indipendente e libera. Per raggiungere il quarto aggettivo mazziniano di «repubblicana» bisognerà aspettare oltre 80 anni, ma in quel momento già appariva molto anche per lo stesso Garibaldi.L’aspetto politico, oltre quello militare, non fu secondario. La società cattolica francese aveva come missione la difesa del Papa, ma Napoleone III comprese che fermare i garibaldini era anche per Parigi un fondamentale elemento di stabilità, non avendo Vittorio Emanuele II propositi espliciti su Roma. Le intuizioni di Cavour, i timori di ritrovarsi una Repubblica partenopea una volta scacciati i Borbone, l’opportunità di addomesticare Garibaldi nei suoi possibili intenti rivoluzionari fecero il resto, essendo tutti tasselli che imposero una volta su tutte il predominio del piccolo e battagliero Piemonte sulla scena internazionale.Poco più di dieci anni prima l’esercito di Carlo Alberto era stato annichilito e ricacciato oltre il Ticino. Nel 1860 quello stesso esercito controllava virtualmente lo Stivale dal Mincio alla Sicilia, presupposto fondamentale per il nuovo assetto statale e nazionale d’Italia.Al termine della serata di studi, il generale Coltrinari ha colto l’occasione per proporre alle insegnanti e agli alunni presenti in sala un’iniziativa già collaudata negli anni passati con la rivista


“Il Secondo Risorgimento d’Italia”. In un periodo in cui molto spesso la Memoria e il Ricordo sono oggetto di dibattiti e talvolta di strumentalizzazioni, “La storia in laboratorio” rappresenta un’occasione per avvicinare la didattica classica a metodi extrascolastici di apprendimento sul campo. L’alunno e lo studente non sono più soggetti passivi dell’insegnamento, ma protagonisti di elaborati, articoli, progetti grafici finalizzati allo stimolo individuale e al lavoro di gruppo. In questo modo le giovani generazioni possono trovare un approccio nuovo e stimolante (attraverso incontri, testimonianze e attività ludico-ricreative) allo studio e alla comprensione di tematiche di carattere storico, fondamentali per diventare buoni e responsabili cittadini del domani.


martedì 4 novembre 2008

Giovanni Messe, maresciallo d'Italia



L'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito ha pubblicato il volume " Giovanni Messe. L'Ultimo Maresciallod'Italia" di Luigi Emilio Longo, Roma, 2006.

Giovanni Messe nacque a Mesagne il 19 ducembre 1883. A 18 anni si arrulò volontario e divenne Sergente nel 1903. Destinato in Cina vi rimase fino al 1908. Ammesso alla Scuola Militare di Modena nel 1910 fu nominato sottotenente e partecipò alla campagna di Libia. Dal 1916, capitano,prese parte alla prima guerra mondiale e con il grado di maggiore assunse il comando del IX reparto d'Assalto. Promosso tenente Colonnello per merito di guerra comando per otto anni il 9 Bersaglieri di Zara.Da generale di brigata partecipò alla guerra in Africa Orientale. Fu Vice Comandante della spedizione in Albania, poi fu al comando del CSIR in Russia dal 1941 al 1942. Inviato in Tunisia comandò la I Armata fino alla resa del 15 maggio 1943. Fatto prgioniero dagli Anglo Americani al suo rimpatrio dopo l'8 settembre 1943 diventò Capo di Stato Maggiore Generale carica che conservò per tutta la guerra di Liberazione. Nel 1947 fu collocato nella riserva e in seguito divenne senatore della repubblica, rimanendo sempr elegato alla Istituzione a cui aveva dedicato la vita intera.

Il Volume può essere chiesto all'Uffico Storico, Via Etruria 3 00100 Roma ed è ceduto al presso di 16.00 euro (ufficistorico@tin.it)

Ricordata in sezione la Figura del gen. Pugliese

La Sezione UNUCI di Spoleto, partecipa con profondo dolore alla scomparsa del suo Socio generale Sebastiano Pugliese, recentemente scomparso. Sabato 31 maggio, la Sezione è intervenuta alle solenni esequie, durante le quali ha preso la parola il Presidente, gen. Franco Fuduli, che ha tratteggiato le doti di uomo e di soldato del gen. Pugliese.
Alla famiglia dello scomparso giungano ancora i sentimenti più profondi di partecipazione al dolore e di stima per il gen. Pugliese


La Sezione UNUCI di Spoleto, partecipa con profondo dolore alla scomparsa del suo Socio generale Sebastiano Pugliese, recentemente scomparso. Sabato 31 maggio, la Sezione è intervenuta alle solenni esequie, durante le quali ha preso la parola il Presidente, gen. Franco Fuduli, che ha tratteggiato le doti di uomo e di soldato del gen. Pugliese.
Alla famiglia dello scomparso giungano ancora i sentimenti più profondi di partecipazione al dolore e di stima per il gen. Pugliese

Attività della Sezione Unuci di Spoleto


CELEBRATO A BEVAGNA
il 60° Anniversario della Costituzione

La Sezione UNUCI di Spoleto, attraverso l’iniziativa del suo presidente gen. Franco Fuduli, ha organizzato, su invito del Comune di Bevagna, (Perugia) sabato 31 maggio, una conferenza dibattito sul tema “Attualità della Costituzione” insieme alla locale Sezione dell’Anpi.
Nel bellissimo Chiostro di San Domenico, dopo l’apertura dei lavori a cura della éreidenza della sezione Anpi Prof.ssa Maria teresa Lepri, ha preso la parola Gian Paolo Loreti, partigiano, che ha con brevi note sottolineato il significato dei sacrifici che si sono dovuti fare per giungere alla promulgazione della nostra legge fondamentale, sacrifici che sono il reale valore della Resistenza. Hanno preso poi la parola i due relatori, Proff.ssa Luciana Brunelli e Gen. Massimo Coltrinari. Entrambi hanno tratteggiato gli aspetti salienti della Costituzione, la loro realtà e i loro significati, ponendo l’accento sulla attualità dei valori della Costituzione, che hanno permesso uno sviluppo senza precedenti della nostra Repubblica sotto il profilo sociale, economico, politico. In particolare il Gen. Coltrinari, che ha trattato gli aspetti peculiari della Costituzione riferiti alle forze armate, si è soffermato sulla necessità di adeguare, fermi i principi che li ispirano, prima fra tutti l’art. 11 (l’Italia ripudia la guerra come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali) di adeguare tali articoli alle esigenze attuali ed ai mutati scenari internazionali del nostro tempo.
E’ intervenuto poi il sindaco di Bevagna, Enrico Bastioni, che ne ringraziare gli intervenuti e la Sezione UNUCI di Spoleto nella persona del gen. F. Fuduli, ha evidenziato come ogni sforzo deve essere fatto per adeguare la nostra Costituzione alle esigenze di una società che è in contiua evoluzione, facendo accenno alla presenza extracoumitaria a Bevagna, pur nella conservazione e preservazione dei valori fondanti la Costituzione stessa.
Un interessante dibattito ha seguito gli interventi, con particolare accenni ai significati di pace e democrazia.
La Sezione UNUCI di Spoleto con questa iniziativa, intende proseguire sulla strada intrapresa, volta ad aprire sempre più le proprie attività verso la comunità al fine di ampliare la conoscenza del mondo militare nei vari strati della società.