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L'UNUCI per l'Umbria

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venerdì 27 aprile 2012

Spoleto: presentazione del volume dedicato al 150° anniversario dell'Unità d'Italia

Venerdi 11 maggio 2012 alle ore 15,30 presso il Municipioverrà presentato il volume che Spoleto ha voluto dedicare al 150° anniversario dell'unità nazionale. di Seguito il contributo dedicato al passaggio dell'Umbria dallo stato preunitario allo Stato nazionale, con evidenziato il ruolo e gli avvenimenti che hanno interessato Spoleto stesso

Spoleto e l'anniversario dell'Unita d'Italia


IL PASSAGGIO DELL’UMBRIA DALLO STATO PREUNITARIO ALLO STATO NAZIONALE
1860
IL RUOLO DI SPOLETO

Il 7 settembre 1860 Giuseppe Garibaldi entrava a Napoli e proclamava chiaramente che dopo il potere borbonico avrebbe abbattuto il potere temprale dei Papi, ovvero marciare e conquistare Roma. Il processo unitario italiano aveva avuto la sua nascita nel 1799 con la formazione delle repubbliche filofrancesi. A Vienna veniva ripristinato il potere temporale dei Papi ma il sentimento nazionale si sviluppo per tutta la prima metà dell’ottocento.

Sconfitto nel 1848-49, si sviluppò attraverso quello che fu definito il decennio di preparazione. Papa Pio IX con gli altri regni conservatori si opponeva ad ogni forma di unità nazionale. 

Nel 1859 La Francia scese in campo per aiutare i protagonisti del processo unitario e con l’Armistizio di Villafranca sembra tutto compromesso.  Ma nel maggio 1860 l’iniziativa Garibaldina , voluta dal partito progressista, volta a portare la rivoluzione nel meridione, altera ogni cosa. . Napoli in mano garibaldina apre nuovi scenari.

L’equilibrio europeo poteva essere fortemente alterato da questa iniziativa. La Francia, e soprattutto, l’Austria, non avrebbero permesso un simile affronto al Soglio pontificio ed erano pronte ad intervenire. Era necessario fermarlo.

Cavour colse questa occasione che l’iniziativa progressista e rivoluzionaria gli offriva e offri a Napoleone III la soluzione per mantenere la situazione in equilibrio. Il 31 agosto 1860 due suoi plenipotenziari, Cialdini e Farina si recarono a Chambery ove incontrarono Napoleone II. Esposero il piano del primo ministro sardo, che consisteva nello scendere nella bassa Italia, attraverso l’Umbria e le Marche, non toccare il Lazio e incapsulare la rivoluzione garibaldina nell’alveo moderato. Napoleone vedeva in questo un ridimensionamento dell’influenza austriaca in Italia e una limitazione del potere del Papato, a tutto vantaggio della Francia, che avrebbe sicuramente portato nella sua orbita il nuovo Stato. Sembra che in questa occasione abbia pronunciato la famosa frase “Fate, ma fate presto”.

Ottenuta l’approvazione francese, il Cavour operò immediatamente, in una situazione ad alto rischio in quanto non si era certi dell’atteggiamento dell’Austria. Posto a difesa della Lombardia e del restante territorio sabaudo il grosso dell’Esercito (147.000 uomini) incaricava Manfredo Franti di organizzare una forza di invasione che doveva conquistare, in una prima fase le marche e l’Umbria, e successivamente scendere nel meridione per andare incontro a Garibaldi e fermarlo.

Fanti organizzò questa forza su due Corpi d’Armata (Lastrina 21) il IV, al comando di Enrico Cialdini ( 20.000 uomini) che doveva operare lungo la litoranea adriatica con obiettivo Ancona; il V, al comando di Enrico Morozzo della Rocca, (15.000 uomini)  che doveva invadere l’Umbria con obiettivo Perugia nella loro marcia dovevano conquistare e rendere inoffensive le piazzaforti pontificie catturane le guarnigioni, sostituendole con forze sarde. La 13a Divisione, al comando di Raffaele Cadorna, doveva operare lungo la dorsale appenninica con compiti di collegamento e raccordo con i due Corpi d’Armata.

La difesa pontificia era in mano al generale francese Cristoforo de La Moricière, l’eroe di Costantina e delle guerre per la conquista del nord Africa e l’inventore del corpo coloniale degli Zuavi. Il piano di difesa approntato nel maggio-giugno 1860 prevedeva di lasciare Roma e il Lazio alla difesa delle truppe francesi (Gen. Goyon, 15.000 uomini), mentre tutte le forze operative pontificie furono stanziate in Umbria sull’asse terni, Spoleto, Foligno perugia. La 1a Brigata (3500 uomini, al comando del Gen. De Pimodan, a terni; la Brigata di Riserva ( 3000 uomini, gen. Cropt, a Spoleto-Foligno, la 2a Brigata (3000 uomini, gen.Schimdt, quella che si era resa protagonista delle sanguinose giornate del 1859 a Perugia passate alla storia come “le stragi di Perugia) tra Foligno Città della Pieve e Perugia. Quartier Generale, baricentro, a Spoleto. La 3a Brigata operativa ( 3500 uomini, al comando del gen. De Courthen), a Macerata ed Ancona con elementi irradianti in tutte le Marche per controllare il territorio da ogni insorgenza e per assicurare i collegamenti con Ancona e quindi con l’Austria. La minaccia principale era l’azione garibaldina da sud, materializzatesi alla fine di agosto, e tutto il dispositivo sia operativo che quello ancorato sulle piazzeforti era orientato a sud. L’Esercito Pontificio aveva già sconfitto i garibaldini. Durante la sosta a Talamone, Garibaldi sbarco un contingente di 60 uomini al comando dello Zambianchi con il compito di portare la rivoluzione nello stato pontificio, a sostegno della sua azione da sud. Queste forze furono disperse il 19 maggio 1860 dal de Pimodan al comando di una colonna di gendarmi e cavalleria alle Grotte di Castro, e i garibaldini furono costretti a riparare in Toscana.

  In caso di attacco, la Francia e l’Austria sicuramente sarebbero accorse e compito dell’esercito pontificio era resistere quel lasso di tempo per permettere alle truppe francesi, via Tolone-Civitavecchia, e austriache, via Trieste-Ancona, di portare aiuto e soccorso.

L’11 settembre, dopo un ultimatum di Torino al Governo Pontificio, naturalmente respinto, iniziano le operazioni di invasione, al comando del Fanti mentre la Flotta al comando del Persano lascia Napoli destinazione Ancona. Cialdini in breve si rende padrone di Pesaro e Fano e macia su Senigallia che raggiunge il 14 settembre.

Le truppe del V Corpo d’Armata, non da meno, operarono celermente. Varcato il confine con la Toscana, primo obiettivo era occupare Città di Castello, che fu conseguito alla sera del 12 settembre; senza por tempo in mezzo le forze di Morozzo della Rocca puntarono su Fratta che fu investita e conquista nella giornata del 13. A sera le truppe sarde erano in grado di minacciare Perugia.

 A fronteggiarle si era diretta la Brigata del gen. Schimdt pontificia, ma presto dovette ritornare su i suoi passi e rinserrarsi a Perugia.

 Intanto le forze pontificie stanziate in Umbria, si erano radunate, nei giorni 11 e 12 settembre e avevano preso la strada per Macerata ed Ancona, via Colfiorito, tanto che alla sera del 13 settembre l’Umbria non aveva più truppe operative pontificie. Il loro intento era di raggiungere Ancona, rinserrarsi e dare vita ad un assedio, per permettere ad Austria e Francia di intervenire. Durante la marcia su Ancona, De La Moricière riceve un dispaccio da Roma che lo informa che “L’Imperatore ha dato ordine a truppe di fanteria di imbarcarsi a Tolone”. Questo viene interpretato come il primo segnale dell’intervento francese. In realtà tali truppe servono solo a rinforzare la guarnigione francese di Roma.

Certo che i Francesi non si sarebbero mossi dal Lazio, Morozzo della Rocca il 14 settembre  diede l’assalto a Perugia, alla fortezza Paolina che, in virtù dell’ardimento e del valore del I Reggimento Granatieri, ove trovo gloriosa morte il cap. Ripa di Meana, medaglia d’oro alla memoria, fu conquistata. La guarnigione pontificia si arrese e Morozzo della Rocca potè comunicare a Fanti che il suo obiettivo era stato raggiunto. Ma la situazione era in movimento e tutto il V Copro d’Arma, oltrepassa perugia e il 15 settembre raggiunge Foligno. Qui si riordina e organizza colonne di marcia per raggiungere, via Colfiorito, sulle orme delle truppe pontificie, Ancona. Mentre inizia a valicare l’Appennino, Morozzo della Rocca distacca un colonna, al comando del generale Brignone, con il compito di conquistare Spoleto.

Lo scopo di questa azione era quello di crearsi, per le forze Sarde, un avamposto  in funzione antifrancese. Infatti la conquista di Spoleto avrebbe permesso di sbarrare alle massime distante eventuali azioni francesi o anche pontificie, anche se queste erano estremamente improbabili. Avere le spalle coperte era essenziale, in caso di alterazione della situazione generale. Nessuno poteva assicurare che Napoleone III non avrebbe, sotto la pressione del partito cattolico, cambiato politica e deciso l’intervento. In questo caso la situazione sarebbe precipitata e il Regno di Sardegna avrebbe dovuto fronteggiare  a nord la minaccia, o l’intervento, dell’Austria,a sud l’intervento Francese. Il Due corpi d’Armata avrebbero, secondo il piano di Fanti, assunto una nuova funzione. Il IV, operante nelle Marche, si sarebbe ritirato verso le Romagne ed avrebbe costituito il fianco sud del fronte contro l’Austria; il V Corpo operante in Umbria, passati gli Appennini, percorrendo la litoranea adriatica, avrebbe assunto il ruolo di unità di riserva del IV Corpo  Tutte queste operazioni sarebbero state svolte nel presupposto che i Francesi sarebbero stati fermati, con arresto temporaneo, a Spoleto, dalle unità ivi stanziate. Questo il significato ulteriore del distaccamento della colonna Brignone per la conquista di Spoleto

 La Rocca spoletina è difesa, come vedremo, da un battaglione di Irlandesi, il Battaglione San Patrizio. Cattolici ferventi e determinati, oppongono una serie resistenza, e solo dopo reiterati assalti, il 17 settembre 1860, Brignone si rese padrone di Spoleto. Fu una azione precisa e persistente, ed efficace, volta soprattutto a por termine nel più breve tempo possibile la resistenza pontificia, anche per il desiderio del gen. Brignone di riunirsi al più presto alle unità del V Corpo per partecipare agli eventi che lui considerava principali della campagna.

Con la conquista di Spoleto e il passaggio dell’Appennino da parte del V Corpo d’Armata, che aveva lasciato guarnigioni nelle principali piazzeforti pontificie conquistate, si completa il passaggio dell’Umbria dallo stato preunitario allo stato nazionale; in pratica viene a finire il potere temporale dei Papi, iniziato dieci secoli prima.  

Contemporaneamente, il 18 settembre i pontifici furono sconfitti a Castelfidardo  e, con i due corpo d’armata convergenti su Ancona, la piazzaforte cadde il 29 settembre, in virtù anche dell’Azione del Cialdini e del Persano Il re arrivò ad Ancona il 3 ottobre e con questo gesto la campagna di invasione per l’annessione dell’Umbria e delle Marche ebbe termine.

 Fatto l’Italia occorreva fare gli Italiani e in questo ruolo si distinsero le Forze Armate che nei 50 anni successivi cementarono il sentimento di unità nazionale e che messo a dura prova nella Prima Guerra Mondiale, si affermò definitivamente, al costo di gravi sacrifici, con la vittoria del 1918.



Spoleto, centro della difesa pontificia

Se per la parte sarda, Spoleto era una piazzaforte da conquistare per trasformarla subito in un punto di difesa nel quadro generale delle operazioni nelle Marche, Spoleto nel 1860 fu un centro essenziale per la difesa pontificia.

Per la sua posizione e per la sua organizzazione come piazzaforte, erede di un grande passato, Spoleto fu scelta dal de La Moricière come Quartier generale dell’Esercito Pontifico, in posizione baricentrica rispetto a Roma ed Ancona, le due principali piazzaforti dello Stato: la prima  che permetteva di tenere i contatti con la Francia, la seconda che permetteva di tenere i contatti con l’Austria; Francia ed Austria erano le due potenze cattoliche che in caso di bisogno, secondo i responsabili pontifici, sarebbero accorse a difendere il Papa, come già era avvenuto nel biennio rivoluzionario 1848-1849.

Dopo aver assunto il comando dell’Esercito il giorno di Pasqua del 1860, e svolto la più fervida attività per rendere o strumento militare atto a fronteggiare la minaccia descritta in precedenza, ai primi di settembre 1860 le forze pontificie erano così composte e distribuite sul territorio.

I Brigata , con quartier generale a Foligno, al comando del gen. Schmidt, così articolata:

. 2° Reggimento di linea, su due battaglioni

. 2° Reggimento di linea esteri, su due battaglioni

. 6a Batteria , su sei pezzi

. Una compagnia di Gendarmeria mobile

. Un distaccamento di Gendarmeria a cavallo

In totale quattro battaglioni di fanteria, una batteria e una compagnia rinforzata di gendarmeria.

II Brigata , con quartier generale a Terni, al comando del gen. De Pimodan, così articolata:

. I Battaglione Cacciatori

. II Battaglione Cacciatori

. II Battaglione Bersaglieri

. I Battaglione Carabinieri Svizzeri

. mezzo Battaglione Franco-Belga (Cacciatori)

. due Squadroni di Dragoni

. uno Squadrone di Cavalleggeri

. 11a Batteria su sei pezzi

In totale quattro battaglioni e mezzo di fanteria, tre squadroni di cavalleria, ed una batteria

III Brigata , con quartier generale a Macerata, al comando del gen. De Courten, così articolata:

. I Battaglione Bersaglieri

. II Battaglione Bersaglieri

. I Battaglione Fanteria di Linea

. II Battaglione Fanteria di Linea

. uno Squadrone di Gendarmeria

. 7a Batteria su sei pezzi

. 10a Batteria su sei pezzi

Brigata di Riserva, con quartier generale a Spoleto, al comando del gen. Cropt, così articolata:

. 1° Reggimento di linea esteri, su due battaglioni

. I Battaglione Volontari Pontifici a cavallo

. II Battaglione Volontari Pontifici a cavallo

. 8a Batteria su sei pezzi

Le piazzeforti erano presidiate dalle seguenti forze

Ancona,  con la guarnigione composta da:

.. IV Battaglione Bersaglieri Austriaci

.. metà del V Battaglione Bersaglieri Austriaci ( in via di completamento)

.. metà del Battaglione di San Patrizio (Volontari Irlandesi)

.. 1a Compagna del 2° Reggimento fanteria esteri

.. 2a Compagna del 2° Reggimento fanteria esteri

.. Una Compagnia di Gendarmeria mobile.

Pesaro, la cui guarnigione era composta da 600 uomini;

Perugia, la cui guarnigione era composta da 500 uomini;

Orvieto,  la cui guarnigione era composta da 200 uomini;

Viterbo, la cui guarnigione era composta da 600 uomini;

Spoleto, la cui guarnigione era composta da 800 uomini;

San Leo, la cui guarnigione era composta da 200 uomini;

Pagliano, la cui guarnigione era composta da 200 uomini;

Civita Castellana, la cui guarnigione era composta da 200 uomini;

A Roma, per i servizi di guardia vi erano circa 300 uomini, due compagnie meno, del 1° Reggimento di Fanteria esteri.

Tranne il Battaglione San Patrizio, che era suddiviso nelle guarnigioni di Spoleto, Perugia ed Ancona, i battaglioni erano ordinati su otto compagnie.

In totale le forze disponibili assommavano a 16 battaglioni, più due mezzi battaglioni, di cui 14 operativi in quanto due battaglioni dovevano essere assegnati alla guarnigione di Ancona.

Sotto il profilo logistico la situazione era abbastanza seria. Il servizio sanitario praticamente inesistenza, disponendo di poche ambulanze; i treni di  equipaggi mancavano in assoluto; l’armamento individuale lasciava a desiderare, in quanto uno solo dei battaglioni era armato con carabina “miniè”, mentre un altro era armato con carabine svizzere che richiedevano un approvvigionamento particolare, aggravando quindi il sistema di sostegno logistico; due battaglioni e mezzo erano armati con fucili rigati; i rimanenti con fucili ad anima liscia, ormai superati. Il Governo Pontificio fece ogni sforzo per avere dalle potenze europee amiche armamento adeguato, ma tutto fu inutile.

L’artiglieria era stata formata in fretta; quella da fortezza aveva in retaggio pezzi delle epoche precedenti, spesso inutili o inefficienti o assolutamente superati; quella da campagna era in condizioni precarie; ogni pezzo era tirato da quattro cavalli; quando necessitava il tiro a sei si dovevano requisire cavalli o buoi, con scompensi non indifferenti; gli uomini, poi, erano scarsamente addestrati e l’impiego tattico dei pezzi lasciava molto a desiderare.

Il morale era un problema costante. Dover tenere uniti uomini provenienti da vari paesi europei, che parlavano diverse lingue, ma soprattutto avevano formazioni e motivazioni diverse rappresentava uno sforzo costante che i Comandanti pontifici dovevano fare e la loro azione di comando, spesso era compromessa da eventi esterni.

Uno di questi fu la comunicazione, giunta ai primi di settembre, “di S. M. l’Imperatore Francesco Giuseppe indirizzata agli Ufficiali ed ai soldati dei quattro battaglioni bersaglieri reclutati in Austria, (che) venne a gettare qualche esitazione tra loro, e fra i reggimenti di lingua tedesca. Ciò era avvenuto, a mio avviso, per una falsa interpretazione del pensiero di S. Maestà. Ma siccome nella citata circolare prevedevasi il caso in cui il nostro esercito assalito da forze superiori, vedesse trionfare la rivoluzione, e si prometteva a coloro che avessero gloriosamente resistito e combattuto fino all’ultimo momento di riceverli nell’esercito austriaco, in cui la maggior parte aveva già servito, certe immaginazioni lavoravano su questo tema. Licevasi che S. Maestà prevedendo il caso in cui la rivoluzione doveva trionfare, ciò provava che noi avevamo essere assaliti, ad una volta, dalla parte del Nord e dalla parte del Sud, e che non saremmo sostenuti da alcuna potenza. E ciascuno misurava dal suo coraggio la lunghezza della resistenza che bisognava fare per ottenere i promessi vantaggi. Gli avvenimenti dovevano ben tosto metter fine a queste preoccupazioni senza danneggiare tuttavia il deplorevole effetto.”[1]



Se questo era vero per i soldati di lingua tedesca, lo era ancor più per gli Irlandesi che componevano la guarnigione di Spoleto. Nel corso delle operazioni, nel momento in cui tutte le forze presero la via delle  Marche, si sentirono quasi abbandonati, ed il morale ne fu intaccato. La loro resistenza fu breve anche per questo, in quanto non si vedeva prospettive di sorta ed ogni sacrifico appariva inutile.



La difesa dello Stato nel 1860 era un vero problema. Spoleto come centro della organizzazione di questa difesa vide i grandi sforzi fatti dal de Merode e  dal de la Moricière per dotare lo stato Pontificio di un esercito degno di questo nome.

Le difficoltà incontrate nel riorganizzare l’esercito pontificio partendo sulle basi dell’ordinamento esistente furono tantissime; né è espressione la frase, già citata, del De Merode, che pressappoco suona  così “ il voler introdurre riforme in vaticano sarebbe lo stesso che pulire le piramidi d’Egitto, con uno spazzolino da denti”.  Una frase che da la misura della quantità di resistenze incontrate, anche nell’ora del pericolo, da chi sovraintendeva alla organizzazione militare.

Nelle Forze Armate pontificie è sempre presente il dualismo tra l’elemento italiano, che sostanzialmente non credeva in una difesa armata diretta, e l’elemento straniero, soprattutto dei legittimisti francesi e belgi, che invece volevano battersi direttamente a difesa del Soglio Pontificio. Tutta l’opera di rinnovamento e preparazione  fu un opera di riorganizzazione che dovette pagare lo scotto di questa frattura interna allo Stato pontificio.  

La riorganizzazione dell’Esercito ebbe momenti veramente interessanti dal punto di vista della partecipazione e dell’entusiasmo di chi credeva nella difesa diretta dello Stato, tanto che il ricordo di quei mesi, in tutto sei, riecheggiò per molti decenni a venire ed anche oggi in Francia e in Belgio se ne hanno echi.

La riorganizzazione si estese ad ogni ramo dipendente dal Ministero delle Armi, fu lodevole, energica, ma arrivava in ritardo. Come è sempre stato e sempre sarà anche in questo caso si dimostra che un ordinamento militare non si improvvisa nè si modifica con le sole doti di chi lo presiede, ma che occorrono programmazione, pianificazione tempo ed ambiente favorevole. Uno Stato che non cura le sue Forze Armate e le tiene a livello tale da fronteggiare le possibili minacce reali e potenziali,  secondo convenienza, è destinato a soccombere se non a scomparire.

 In questo contesto Spoleto rappresentava sempre uno dei punti di riferimento della attività messa in atto dal De La Moricière e dai suoi diretti collaboratori. 

Le prime attenzioni furono dedicate ai Quadri dell’Esercito, di cui in parte già si è detto; per avere volontari si davano spalline da ufficiale a chiunque conducesse un gruppo di quaranta soldati; molti gradi furono dati a rappresentanti giovani della nobiltà e dell’alta borghesia. Con questi sistemi, però, si arrivò ad avere i quadri al completo di quattro nuovi battaglioni, quando se ne erano formati solo tre. Si pose rimedio ordinando il divieto, verso luglio, a qualsiasi arruolamento di ufficiali. Una ampia riesamina delle posizioni degli Ufficiali trovati in organico portò a pensionarne un numero discreto, nella constatazione che questi erano solo degli impiegati o funzionari atti alle cerimonie ed  alle parate ma carenti su tutto il resto;  i vuoti lasciati dal personale estromesso furono rimpiazzati con la promozione di ufficiali meritevoli o con volontari.

Le maggiori cure furono dedicate al reclutamento all’estero.

Sotto l’usbergo di una intensa propaganda, fatta verso i cattolici di tutta Europa incentrata sul tema della “crociata cattolica” contro i nuovi mussulmani quali erano definiti rivoluzionari italiani, si sollecitò l’arruolamento volontario, le rimesse in denaro e la raccolta d’armi da far affluire all’esercito. Anche queste iniziative approfondirono il solco con l’elemento romano ed italiano, che si vide sempre più messo da parte e soprattutto guardato con diffidenza, come potenziale traditore. Fu un grave errore. Oltre ad agire tra popolazioni ostili si perse quell’utile strumento che era l’elemento indigeno che poteva frenare e contrastare, con l’esempio, l’azione dei rivoluzionari.

Il reclutamento avveniva per lo più in Francia e in Austria.

A Vienna fu istituito  un ufficio arruolamento presso la Nunziatura, con il beneplacito del Governo austriaco. Le reclute vestite ancora con la divisa o parti di esse austriaca, venivano concentrate a Trieste e qui, con vapori del Lloyd austriaco, fatte affluire in Ancona. Ancona, di conseguenza, divenne  il centro principale di raccolta di austriaci, intendevano con questo nome tutti i volontari delle sedici nazionalità che componevano l’Impero d’Austria,  o tedeschi in genere, ma anche di belgi ed irlandesi.

Da Ancona, dopo un primo sommario addestramento, le reclute venivano mandate ai vari corpi di destinazione. Ancona formò con questo sistema i 5 battaglioni bersaglieri austriaci, per un totale di 5 mila uomini, nonché il battaglione San Patrizio, che ebbe la sua stanza a Macerata. e poi inviati a formare la guarnigione di Spoleto

Il centro di reclutamento dei francesi e in parte dei Belgi ed Irlandesi, era a Marsiglia. Da qui le reclute venivano fatte affluire a  Civitavecchia  e quindi smistate ai corpi di destinazione. Civitavecchia formo il battaglione Tiragliatori o dei franco-belgi, nucleo base di quello che poi diverrà, nel dicembre del 1860, il reggimento degli Zuavi Pontifici. Inoltre fu creato, con i figli delle migliore famiglie dell’aristocrazia francese, un nucleo di cavalleggeri chiamato “Guide del De La Moricière”, che assolse anche compiti di stato maggiore e coordinamento.

Il reclutamento dei francesi creò qualche problema. I Francesi, tutti legittimisti, erano inclini alla critica ed alla discussione; ogni occasione era buona per sottolineare la loro superiorità ed erano fermamente convinti di essere superiori a tutti; come se ciò non bastasse manifestavano con grandi sottolineature il loro profondo disprezzo per i romani in particolare e per gli italiani in generale e questo, essendo legittimisti, si estendeva al Governo francese ed al suo esercito. Questo rendeva problematico  ed impossibile ogni forma di convivenza con le forze francesi a Roma, creando ulteriori problemi[2]

Gli Svizzeri risposero con la tradizionale lealtà alla Santa Sede e si arruolarono in 4000, secondo il sistema di reclutamento ormai ben collaudo. Alimentarono soprattutto il battaglione “carabinieri esteri” che tanto si distinse nelle operazioni di settembre.

 Gli Irlandesi si presentarono in buon numero tanto da poter formare un battaglione Tra costoro che si dimostrarono subito ottimi soldati e combattenti, però, vi erano anche molti disillusi, molti in cerca di avventure, alcuni malcontenti e un certo numero di delinquenti e facinorosi. Il comportamento di quest’ultimi fu tale che si ebbero diversi problemi con la popolazione civile e in qualche caso si mise a repentaglio la vita degli stessi Ufficiali d’inquadramento arrivando a dar vita a vere e proprie rivolte. L’imbarazzo per queste situazioni per il Governo pontificio fu notevole; a peggiorare le cose, molti trovarono gli ingaggi e le possibilità offerte al di sotto delle loro aspettative e non vollero arruolarsi. Il De La Moricière, con estrema decisione, impose la disciplina e risolse il problema rinviando in Irlanda chi non era in grado di dare un sicuro affidamento. Il battaglione di San Patrizio non risultò a pieno organico, ma si dimostrò compatto e degno della fierezza irlandese che ostentava ad ogni occasione.

Non vi fu un afflusso in massa da parte dei cattolici Spagnoli e Portoghesi. Uno dato oggettivo, se si pensa che a Castelfidardo nelle fila pontificie vi era un solo spagnolo. Certamente avrà influenzato questa non affluenza la situazione politica dei due Stati, la Spagna ed il Portogallo, in piena decadenza dopo i fasti del sei-settecento. 

In tutto questo fervore di attività, non poteva non sorgere delle difficoltà  e problemi che avrebbero potuto compromettere in gran parte il lavoro svolto. A Roma si presentò un personaggio pittoresco con un piano di arruolamento atto a formare un battaglione senza un preciso organico i cui componenti, desiderosi di combattere i nemici della santa sede, dovevano indossare una tunica con una gran croce sul petto, firmare una ferma temporanea di sei mesi, avere completa libertà di impiego e di istruzione,  avere la possibilità di eleggere i loro ufficiali, adottare una bandiera propria. Era, in versione pontificia, quello che in campo sardo rappresentavano i volontari che accorrevano agli ordini di Garibaldi. Ma la situazione era alquanto diversa. Simili organizzazioni devono avere un fortissimo controllo, altrimenti non sono utili e possono solo fare danni. Il De La Moricière, valutando tutto ciò, impose delle condizioni molti restrittive ( nessuna bandiera, adozione del regolamento di disciplina, uniforme approvata dal Comandante in Capo ed altro). Questo portò a frizioni con l’elemento volontario francese, che in parte sosteneva il Cathelinau. La questione si protrasse fino alla fine di agosto fino a che il Cathelinau non fu allontano da Roma. Troveremo questo personaggio accanto al Quatrebarbes, ad Ancona a difesa della Dorica.



Per l’Artiglieria De La Moricière trovò maggior difficoltà. Constatò che non vi era la scuola di artiglieria, l’arsenale, i poligoni di tiro, ne armaioli abili nonché operai specializzati. Affidò l’organizzazione di questo settore al Blumensthil, la cui esperienza era assicurata in quanto aveva fatto la campagna di Crimea; essendo capitano nell’esercito francese e non avendo ottenuto il benestare a servire in quello pontificio, dette le dimissioni e subito fu promosso tenente colonnello. Come prima azione ci si ripromise di rimettere in funzione la celebre fonderia vaticana che nel passato aveva prodotto pezzi di artiglieria di gran valore[3]. Fu rimesso in ordine e a posto fucine, macchine, attrezzi e liberato di quanto non era di pertinenza. In un mese la fonderia cominciò a funzionare a fornire all’esercito i primi manufatti. Lo stesso fu fatto per i magazzini d’artiglieria dislocati accanto al Museo del Belvedere nella cinta leonina. Fu fatta una ricognizione di tutti i pezzi esistenti nelle piazze e risultò che gran parte di tale materiale era arrugginito, fuori uso, parte risalente ai secoli passati e per lo più inservibile; praticamente pochi i pezzi moderni.[4]

Il lavoro fu notevole e all’inizio delle ostilità il materiale da campagna in dotazione era accettabile. Consisteva in pezzi di bronzo da 6 rigati (sistema La Hitte), calibro 86,5 cannoni da 4 da montagna, modi 1859, cannoni da 18 da campagna, che venivano chiamati cannoni di riserva, obici da 120 mm.,

Per l’artiglieria da piazza si faceva assegnamento su cannoni, obici, mortai e petriere. I cannoni da piazza erano da 36, che lanciavano proietti dal peso di 22 kg, da 24 in ferro fuso e da 18 in bronzo; gli obici da 22 in ferro fuso ed in bronzo, da 16, da 12, da montagna, con un affusto di 100 chili sommeggiabile. Molto di questo materiale in precarie condizioni fu sostituito da cannone da 4 rigato. I mortai erano di quattro specie: da 320 mm., da 270 mm., da 220 mm., da 150 mm., e lanciavano proiettili, rispettivamente, da 72, 49, 22 15 chilogrammi;  le petriere da 410  mm. 

Per l’Intendenza le cose non erano semplici. Scrive il Vigevano:

Per ciò che riflette l’amministrazione del vestiario, risultando in generale il versamento giornaliero delle masse era troppo meschino, e che quindi specialmente le scarpe si trovavano in cattivo stato e che gli abiti erano logori e di varie foggie, allo scopo di far fronte all’occorrente in poco tempo, si ordinarono stoffe e confezioni anche all’estero e…..si prescisse il modo unico di confezionare e prelevare gli oggetti di vestiario e si ordinò la creazione a Roma di una sartoria militare centrale per vestiti, camicie, mutande, cravattini, borse di pulizia sotto la direzione diretta del Ministero delle Armi ed una sartoria succursale in Ancona, che doveva anche attendere a ritirare tutti i panni provenienti per mare dall’estero. Vennero stabilitigli oggetti da mettersi nello zaino, il modo col quale dovevano esservi disposti[5]i

Questa attività di organizzazione gestionale veniva affiancata da quella necessaria per far fronte a situazioni pregresse negative.

La Piazza, come in tutto lo Stato, vedeva frodi ed imbrogli in tutto quello che erano le forniture militari. Con la sartoria militare centrale ogni contratto preesistente fu rescisso Per il vitto le cose erano molto gravi. Il generale de La Moricière intervenne personalmente presso gli organi del Ministero per rescindere il contratto del pane per l’esercito. Aveva fatto analizzare ed esaminare da professori della Sapienza, a Roma, la composizione del pane fornito all’esercito e questi vi avevano trovato di tutto, tra cui polvere di marmo e terra, meno che la farina. Vi fu una forte tensione, e il de La Moricière dovette minacciare le dimissioni se non si provvedeva a rescindere il contratto e farne uno con altri fornitori onesti..



Oltre alla attività di riordino all’interno, molta attenzione fu rivolta all’estero, ove si chiese la maggior parte delle armi e del materiale occorrente.

Fu chiesto al Duca di Modena di inviare le proprie truppe, che assommavano a 3000 uomini, ancora in armi, ma ai primi di settembre ancora la questione non fu risolta ed il De La Moricière se ne ebbe a lamentarsi. La questione era abbastanza complessa. In un

Un'altra richiesta a Sovrani  simpatizzanti per la causa pontificia fu inoltrata alla ex Duchessa di Parma. Tramite il conte Carini, che ne aveva informato il De La Moricière, si era appreso che la Duchessa aveva consegnato tutta la sua artiglieria al comandante della piazza di Mantova. Fu inoltrata una richiesta volta a convincere la Duchessa ed il comandante la piazza a cedere questa artiglieria o sotto forma di cessione o di prestito. Allo scoppio delle ostilità, ancora non si era ottenuto nulla.

In Belgio il de La Moricière, tramite il duca di Bisaccia, ligio alla causa del Papa, chiese di costruire una batteria di pezzi di riserva. Su questa scia, poco dopo, come vedremo più avanti, scrisse all’Imperatore d’Austria una richiesta per la cessione di artiglieria e materiali di equipaggiamento.

Tutta questa attività era incentrata sul fatto che il de La Moricière aveva sufficienti informazioni per constatare che i rivoluzionari erano ben sostenuti dall’Inghilterra e dal Regno di Sardegna. In una lettera ebbe a lamentarsi in questo modo:



L’Inghilterra ed il Piemonte ne danno ai nostri nemici, La Francia non vuol fornirci nulla, non possiamo dirigerci che all’Imperatore d’Austria, pregandolo a vederci ciò che occorre per difendere lo stendardo di Lepanto, che noi porteremo da Loreto ad Ancona, se saremmo costretti a rinchiuderci in quella città”  [6]



In tema di Fortificazioni, l’attività concernente il reperimento all’estero delle armi, munizioni ed equipaggiamento fu costante. Furono creati Comitati in Francia e in Austria oltre che nello Stato: in poche settimane fu possibile acquistare, con i fondi raccolti da questi Comitati, carabine e fucili rigati in Francia in Belgio e in Svizzera, mentre si insisteva con l’Austria per invio di bocche da fuoco per l’artiglieria. de La Moricière nominò apposite commissioni per l’acquisto di cavalli per l’artiglieria, muli per le ambulante presso le unità, nonché furono acquistati carri che dovevano seguire le unità in marcia. Questi carri furono destinati anche per il trasporto dei feriti e dei malati, ma si dimostrarono poco adatti.



Alla prova dei fatti, tutta questa attività si rilevò inutile.

Infine  un ultima annotazione. Il Comandante della guarnigione di Spoleto, magg. O’ Really  fu protagonista di una vicenda che vale la pena di ricordare. Fatto prigioniero a Spoleto, e portato in Piemonte, fu lasciato libero sulla parola. Rientrato nei ranghi pontifici, rimase nell’esercito fino al 21 settembre 1860, quando, congedato per lo scioglimento dell’esercito pontificio, rientrò in Irlanda. Qui imperversava in quei anni la carestia dovuta alla malattia delle patate. Decise di emigrare negli Stati Uniti; fece il viaggio nella stessa nave che trasportava la famiglia Kennedy, progenitori del Presidente degli Stati Uniti. Negli Stati Uniti si arruolò nell’Esercito e fu manato nella Cavalleria, in quel 7 Reggimento Cavalleggeri che, al comando de gen. Caster, affronto le tribù indiane a Little Big Horne nel 1875. Qui cadde ucciso. Fonti accreditate americane sostengono che Toro Seduto si ornasse per molto tempo della Medaglia di  Castelfidardo presa al maggiore O’Relly  come trofeo e che il maggiore si era conquista a Spoleto.



[1] Relazione De La Moriciére.
[2] Come è facile constatare all’interno della compagine pontificia vi erano profonde fratture: quella tra i due partiti in seno al Governo, quella fra “indigeni” ed esteri nell’esercito, quella fra le varie nazionalità, ognuna altezzosa e intollerante. Questo on fece che minare in ampia misura ogni capacità di efficienza.
[3] Oltre ai cannoni, la fonderia era famosa per la produzione di campane, anche di grandi dimensioni. Un momento felice fu la fornitura delle placche della colonna Vendome a Parigi.
[4]Russo F., La difesa costiera dello stato pontificio dal XVI al XIX secolo, Roma, Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, 1992
[5] Vigevano A., Campagna delle Marche e dell'Umbria, Roma, Stabilimento Poligrafico dell'Amministrazione della Guerra, 1923, pag. 120

[6] Vigevano A., Campagna delle Marche e dell'Umbria,cit., pag. 115