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martedì 30 dicembre 2008

La caduta di un regime

Il crollo di un castello di carte. Perché gli esponenti fascisti non salvarono il Fascimo

L’origine della Guerra di Liberazione, come causa remota, è da ricercarsi nel sostanziale fallimento del fascismo sia come movimento che come regime, fallimento che venne a maturazione nella primavera del 1943. Alla luce di quello che poi accadde e che fu uno dei temi della Guerra di Liberazione, ovvero il “tradimento” da parte Italiana della Alleanza con la Germania, il ritorno del fascismo nelle forme e nella attività che diedero vita alla repubblica Sociale Italiana, è interessante e necessario capire il perché il fascisti, che avevano tutte le leve del potere e controllavano tutto lo Stato non difesero Mussolini ed il loro regime nel luglio 1943.

Occorre prendere atto che il fascismo, in tutte le sue manifestazioni, nella primavera ed ancor più all’inizio dell’estate 1943, aveva ormai raggiunto il punto più basso in termini di consenso e di fiducia presso il popolo italiano e nella considerazione internazionale, sia fra i nemici che fra gli alleati.
Aveva fallito tutti i suoi obbiettivi di guerra e la serie ininterrotta di sconfitte, oltre a provocare la perdita di prestigio internazionale, aveva anche alimentato la disistima dell’Alleato germanico e degli alleati minori.
Con l’invasione della Sicilia la guerra era arrivata in casa e nulla sembrava potesse arrestare tanto sfacelo.
Secondo Ruggero Zangrandi, “agli inizi del ’43 il fascismo era spacciato, in conseguenza di tre fattori per buona parte connessi.
Il primo ( che si deve riconoscere come determinante) fu la disfatta militare: la quale completò l’opera di discredito e di corrosione già compiuta dalla guerra, rilevando anche a tanti italiani che, illusi o ingannati, non avevano capito prima, la vera essenza del fascismo.
L’altro fattore che indicava prossimo il crollo del regime era, appunto, costituito dall’insofferenza e dall’opposizione popolari, pressoché generali ormai, non più dissimulate e ogni giorno più pressanti.
C’era infine la circostanza, forse più di tutte significativa, che non esistevano più, praticamente, fascisti. Anche se i vari gruppi di congiurati non se ne erano accorti e, anzi, misurassero i propri sforzi in vista di una temibile resistenza. In realtà, fatta eccezione per gli elementi troppo compromessi, qualche raro fanatico e una minoranza di giovanissimi e di combattenti che, nel clima di esaltazione e di disorientamento provocato dalla guerra, non riuscivano aprendere coscienza, non vi era, in campo fascista, neppure tra i massimi gerarchi, nessuno che avesse intenzione e volontà di difendere il regime. Il vecchio regime aveva, dunque, cessato di esistere di fatto già nella primavera del 1943; e coloro che ne rimossero il cadavere, con qualche anticipo rispetto alle ormai indifferibili esequie, ma con troppo ritardo per rendere l’operazione utile al popolo italiano, non ebbero altri meriti se non quelli che si sogliono riconoscere ai becchini. La loro azione, d’altro canto, fu esclusivamente ispirata a considerazioni di convenienza personale. Le forze che si rilevarono determinanti ebbero come unico stimoloquello di trovare una via di scampo al disastro in cui, insieme al fascismo, s trovarono coinvolte”[1]
E’ in questo clima di ampia sfiducia verso il fascismo che vanno cercate le cause e le motivazioni che, all’indomani della proclamazione dell’armistizio, saranno alla base delle scelte degli Italiani che daranno vita ai “fronti” della Guerra di Liberazione.

Tutti gli esponenti fascisti erano consci che da soli non avrebbero avuto la forza di salvare la situazione. E saranno proprio loro che provocheranno la caduta e l’arresto di Mussolini. L’occasione fu la seduta del Gran Cosiglio del Fascismo con la messa ai voti del cosiddetto “Ordine del Giorno Grandi”, con il quale si riaffidavano al Sovrano Vittorio Emanuele III tutte le sue prerogative; con ciò,in pratica, si esautorava Mussolini e si decretava la fine del regime fascista. Un passo grave, che poneva fine ad una ventennale dittatura di un solo partito, passo aveva motivazioni e ragioni complesse, ma che fu determinato, come elemento scatente la decisione, dall’esito infelice dell’incontro di Feltre del 19 luglio 1943 tra Mussolini e Hitler. In questo incontro l’alleato germanico, con sprezzante alterigia, non aveva concesso nulla a un Mussolini ormai impotente ed esausto. La delegazione italiana era andata a Feltre nella speranza che Mussolini, con il suo prestigio e la sua autorità, riuscisse di trovare il modo per strappare alla alleata Germania una sorta di consenso per uscire dignitosamente dalla guerra; queste speranze andarono deluse; il Duce del Fascismo ebbe un atteggiamento remissivo e succube, non riuscì nemmeno ad accennare la questione ad un Hitler deciso e sicuro di se, e Mussolini ne uscì con una netta sconfitta, ponendo le premesse reali della sua destituzione.
Il bombardamento dello scalo di San Lorenzo a Roma, il 19 luglio 1943 in contemporanea con l’incontor di Feltre, da parte Alleata, in cui si violava in modo quasi irrisorio le difese antiaere, mise a nudo ancor auna volta tutta l’impotenza dell’Italia, e fu visto come il preludio ad altri lutti e rovine, se non si fosse prese decisioni drastiche.


I quarantacinque giorni
Il 26 Luglio, dopo un colloquio a Villa Savoia con il Re, Mussolini fu arrestato e il governo affidato al Maresciallo Badoglio. Questi si affrettò a proclamare che la guerra sarebbe continuata affianco alla Germania, ma in pochi , compresi i tedeschi erano orientati a crederlo. Infatti iniziarono da più parti contatti con gli Alleati per negoziare l’uscita dell’Italia dalla guerra. Nei giorni che vanno dal 27 al 30 luglio, Gli Alleati si aspettavano una prima mossa da parte del Governo Badoglio, tesa a stabilire un primo contatto per avviare trattative per arrivare al meno a far cessare le ostilità. Questa era opinione diffusa, ed anche i Tedeschi, sopresi dalla caduta del Duce in modo cos’ repentino, erano sul chi va là in merito alle vicende italiane ed anche loro avevano ben chiaro che la mossa successiva di Roma sarebbe stata una iniziativa, nonostante tutte le manifestazioni di volontà in termini di “la guerra continua”, volta ad uscire dalla guerra.[2] Anglo-americani e Tedeschi, quindi, si erano messi in misura tale di essere pronti alla richiesta italiana di uscire dalla guerra, ed avevano entrabi le idee chiare sul come affrontare questo evento. Chi invece non aveva le idee chiare ed era molto lontano dalla realtà era il Governo Badoglio ed il suo capo. Ci si era posti il problema che oramai la situazione imponeva di uscire dalla guerra. Il primo passo era stato fatto, ovvero l’allontanamento di Mussolini, che la guerra aveva voluto. Ora si tratta di attuare il come uscirne, con il meno danno possibile.
Le ipotesi erano le seguenti: a) con una immediata richiesta di resa agli angloamericani e contemporanea denuncia della Alleanza con al germania; b) guadagnare qulahce settimana al fine di intavolare serie e dignitose trattative con gli anglo americani, e nelle stesso tempo intavolare serie e risolutive trattative con i tedeschi, venendo con loro ad una franca e defintiva spiegazione sulle reali condizioni dell’Italia non più in grado di condurre la guera. In entrambi i casi alto era il rischio di venire a combattere su due fronti, quello aperto con gli angloamericani e quello interno che sarebbe stato aperto dai tedeschi. Un fattore era determinante: occorrevano decisioni fulminee, precise ed efficaci, per non dare la possibilità ai nostri avversari di preparare le contromosse alla azione italiana.
Questo non fu attuato e si percosero strade, ed anche sentieri, così tortuosi che alla fine risucimmo screditati sia agli occhi dei Tedeschi[3], sia agli occhi degli Angloamericani.
In breve ripercorriamo le tappe di queste trattative, i cui protagonisti da una parte, quella italiana, furono il Re Vittorio Emanale III, Badoglio, Ambrosio, Capo dello Stato Maggiore generale ed Acquarone, ministro della Real Casa, e personaggi minori che a vario titolo entrarono nella vicenda, dall’altra gli Angloamericani. Queste trattative passano attraverso fasi, che sinteticamente possiamo individuare in un momento in cui Badoglio spervalutò la situazone italiana, avviando trattative da pari a apari e dettando anche condizioni, una seconda fase in cui dovette constatare che i margini di discussione erano quasi nulli ed una terza in cui si accettarono tutte le condizioni senza rendersi conto delle conseguenze immediate e reali. Tutto questo, mentre continuavamo a manifestare professioni di lealtà e cameratismo verso i tedeschi, nella speranza che non sospettassero che si stava trattando segretamente con gli Alleati.
Persa l’occasione di agire immediatamente, e contemporaneamente scarata senza un reale motivo la possibilità di utilizzare emissari accreditati presso gli Alleati e di prestigio come Dino Grandi[4] e il Maresciallo Caviglia, noto antifascista, e molto stimato per i suoi trascorsi militari presso i Comandi Alleati. Fu scarata anche la possibilità di utilizzare le ambiascuate statunitensi e britannica presso il Vaticano perche non si aveva fiducia nei Codici diplomatici che queste ambasciate utilizzavano e che si riteneva fossero stati penetrati dai tedeschi. Vi furono nel contempo anche altre iniziative minori, che si sono perse nell’blio del tempo. Vi era in atto l’iniziativa dell’industriale Alberto Pirelli, che fu mandato in Svizzera ia primi di agosto, ma la sua missione non sortì effetti. Si disse che Badoglio tentò anche la carta della Massoneria, per aver autorizzato l’emissione di passaporti di comomodo, elargizione di somme ed altro, con la collaborazione del ministro della guerra Sorice e con una parte attiva del figlio di Badoglio, Mario, ma anche questo canale su perse nelle nebbie degli avvenimenti successivi. Vi era anche il tentativo del banchiere Giorgio Schiff-Gorgini[5], ma anche questo si perse nel nulla. Vi era poi il contatto stabilito a seguito della cattura di un nostro agente del SIM da parte inglese a Bendasi; gli inglesi erano disposti a mandare in cifrario e aprire questo canale, ma anche questa opportunità fu fatta cadere.
Questi tentativi che possiamo definire minori contribuirono, con il passare dei girni, ad elevare la soglia di diffidenza da parte Alleata, che di giorni in giorni divennero sempre più guardinghi per timore di essere raggirati dagli Italiani.
Si preferì, quindi, utilizzare diplomatici di secnda schiera, assolutamente sconosciuti agli occhi degli Alleati, e sostanzialemente privi di quel carisma e profilo internazionale che la situazione richiedeva. Queste missioni diplomatiche, come se la situazione fosse normale, già compromesse proprio perché tali, paetivano dal presupposto di trattare da pari a pari con gli Alleati, con l’intento di chiedere aiuti agli Alleati, nella convinzione, del tutto irreale, che era nell’interesse angloamericnao portare l’Italia nel proprio campo e quindi abbreviare la guerra, ovvero gli angloamericani dovevano portare soccorso all’Italia che era in serie difficoltà con i Tedeschi[6]
Le missioni diplomatiche avviate erano quelle el Consigliere di Legazione Blasco D’Ajeta[7] e quella del Console Alberto Berio.
D’Ajeta si doveva presentare all’ambasciatore britannico a Lisbona, sir Ronald Campbell, e presentargli gli intendimenti del governo italiano. A premessa di questi si doveva prospettare 1) l’atteggiamento apparentemente tempreggiaotre della monarchia e del governo Badoglio non doveva essere frainteso dagli Alleati, poiché era determinato dalla pressione tedesca; 2) che tale pressione si concretizzava in una massiccia occupazione militare geermanica[8] 3) che Roma era praticamente minacciata di occupazione, 4) che le condizioni dell’Italia erano disastrose.
D’Ajeta quindi doveva, al fine di attuare lo sganciamento, chiedere l’aiutoangloamericano, in attesa del quale gli angloamericani dovevano sospendere i bombardamenti e porre fine la campagna diffamatoria radiofonica contro il governo Badoglio e l’Italia in genere. In pratica D’Ajetta doveva far comprendere agli anglo americani che l’uscita dell’Italia era nel comune interesse, che se attuata ( secondo le indicazioni italiane) avrebbe grandemente giovato a Londra e Waschington.[9] L’incontor ebbe luogo a Lisbona , il 4 agosto 1943, dalle 11,30 alle 13, ma i risultati furono praticamente nulli.
Il tentativo del Console Berio si tinge dei contorni del romando d’avventure. Berio[10] era latore delle seguenti proposte: 1) i tedeschi erano padroni dell’Italia, eal primo sospetto si sarebbero impadroniti di Roma, facendo prigionieri Re e Badoglio: 2) Gli Alleati dovevano attenuare se non sospendere i bombardamenti, per agevolare la tenuta del fronte interno 3) Gli Alleati dovevano affettuare uno sbarco nella Francia meridionale, nei Balcani onde attirare forze tedesche e alleggerire la pressione sull’Italia. Tutto questo per dare la possibilità al governo italiano di effetture con successo lo sganciamento dai tedeschi e l’uscita dalla guerra. Nel corso delle conversazioni Berio doveva anche chiedere che gli Alleati effettuassero uno sbarco il più possibile a nord di Roma, onde ulteriormente agevolare l’azione italiana.
Queste proposte furono presentate al console britannico aggiunto Watkinson ( il titolare era in ferie) il 5 agosto 1943




Vari furono i tentativi di avviare trattative di armistizio,molte velleitarie, altre maldestre, che in parte insospettirono gli Alleati. Alla fine, in situazioni che daranno la stura a polemiche ancora oggi non sopite, si arrivò alla firma a Cassibile il 3 settembre 1943 del cosiddetto “armistizio corto”. Sulla base di intese non controllate e sensazioni il Governo a Roma ritenne che la proclamazione dell’armistizio dovesse avvenire non prima del 12 settembre. In realtà gli Alleati lo fecero coincidere con lo sbarco a Salerno, programmato per il 9 settembre, nella convizione che la resa delle truppe italiane avrebbe favorito lo sbarco, come in effetti avvenne. Proclamato alle 18,30 dell’8 settembre da Algeri e alle 19,45 da Radio Roma con un messaggio del maresciallo Badoglio, l’armistizio aprì una delle pagie più controverse e buie della nostra storia recente.
La non reazione per oltre 48 ore da parte delle Forze Armate italiane, combinata dalla pronta e decisa azione tedesca, fece sì che tutto l’apparato statale italiano crollò immantinente. Il Re ed il Governo si trasferono, via Pescara, a Brindisi, aprendo una crisi costituzionale gravissima. Il fatto grave da parte del Sovrano e del Governo non fu che lasciarono la capitale e si trasferirono in altra parte del territorio dello Stato al sicuro della minaccia tedesca; il fatto grave fu che per oltre 48 ore non si diede ordini a chicessia, lasciando nella più totale incertezza Comandi e Ministeri e l’intero apparato statale. Venir meno a questi doveri da parte del Re e da parte del Capo di Governo, in momenti delicati e difficili come quelli armistiziali, è inammissibile e inaccettabile sapeva quello Il motivo di questo atteggiamento?. Viarie le ipotesi

Al di là di ogni considerazione venne per ogni italiano il momento delle scelte. Prima per i soldati, che si trovarono spianate davanti le armi dei tedeschi poi per ogni cittadino italiano fu l’inizio di quella stagione, in cui a fronte di assenza di ogni autorità nazionale, non era possibile non reagire e schierarsi, pena la sopravvivenza.
Per i soldati all’indomani della proclamazione dell’armistizio le scelte erano le seguenti:
. in presenza o in assensa di ordini precisi, lasciare la divisa e cercare di raggiungere le proprie case, sottraendosi alla cattura tedesca; in molti vi riuscirono; altri, furono catturati e internati in Germania.
. resistere, combattendo, ad ogni richiesta di cessione delle armi.
Coloro che si trovarono al Sud in territorio controllato dagli Alleati, ebbero la possibilità o di rimanere alle proprie case, oppure di entrare a far parte della Organizzazione Logistica Alleata, oppure di entrare nelle fila del Regio Esercito, che si andava formando tra mille difficoltà.
Coloro che si trovarono al Nord in territorio controllato dai Tedeschi, ebbero la possibilità di rimanere alle proprie case, ma con maggiori difficoltà in quanto minacciati dalle retate tedesche, dai rastrellamenti, e dalla continua ricerca di mano d’opera forzata. Oppure di entrare nella fila del movimento partigiano sia nelle formazioni di città che in quelle della montagna, sceltà che si cominciò a palesare verso la fine del 1943. Oppure per coloro che vollero essere fedeli alla vecchia alleanza, aderire alla Repubblica Sociale Italiana, entrando nelle fila delle sue Organizzazioni civili e militari.
Sia al nord che al sud vi fu una massa di italiani che cercarono di scegliere il più tardi possibile cercando di superare la situazione contingente; diedero vita all’”attendismo” ovvero che si delineasse un vincitore certo e sicuro per poi fare le proprie scelte. L’attendismo è la mafestazione più di basso profilo della Guerra di Liberazione, frutto della sconfitta e delle necessità materiali che divennero di giorno in giorno sempre più impellenti, nella convizione che erano gli “altri” che dovevano condurre e concludere la guerra.

Per le truppe all’estero la situazione fu ancora più dolorosa. Abbiamo varie categorie, tra i soldati, che operarono diverse scelte, che furono:
Quelli che si sottrassero alla cattura tedesca, e si nascosero e nel prosieguo della loro permanenza all’estero o rimasero sempre nascosti oppure entrarono nelle fila della resistenza locale;
Gli “internati”. ovvero quelli che direttamente o indirettamente caddero in mano ai tedeschi e furono Internati nei campi di concentramento in Germania o in Polonia.
I “combattenti”, ovvero quelli che, senza abbandonare le proprie armi, raggiunsero le formazioni esistenti della Resistenza locale ed iniziarono la lotta al nazifascismo.
I “fortunati”, coloro che riuscirono a rientrare in Italia (sia quella liberata che quella occupata dai tedeschi) usufruendo dei convogli o navi, mandate dal regio Governo o organizzate anche con il consenso dei tedeschi. A questi, con il passare dei mesi, si aggiunsero coloro che, datasi alla macchia in attesa degli eventi, organizzarono attraversate dell’Adriatico o a passare i confini con mezzi di fortuna o utilizzando mezzi della Regia Marina inviati appositamente.
I “fedeli alla vecchia alleanza”, cioè coloro che accettarono le offerte dei tedeschi e passarono, anche in virtù di scelte dovute al caso ed alle circostanze, nei loro ranghi in nome degli ideali fascisti seguendo le motivazioni che a suo tempo portarono alla guerra dell’Asse. Fra questi vi furono anche coloro che, inzialmente “Internati” aderrono alle proposte tedesche e della Repubblica Sociale di entrare nelle loro organizzazioni militari.

Se gli Italiani sono chiamati a scegliere come impegnarsi e come affrontare il presente, appare chiaro che essi sono in situazione subordinata di fronte ad Alleati e a Tedeschi. Sono, in sostanza, esponenti di un Paese sconfitto, che non può accampare, al momento, alcun diritto. Hanno perso totalmente la sovranità del loro territorio. Questa è in mano al Sud agli Anglo-Americani e loro alleati, al Nord alla Germania. Sobo gli Occupatori, che instaurono le loro Amministrazioni le quali saranno, fino alla fine delle ostilità, in varia misura, le padroni assolute e le gerenti della Sovranità su tutto il territorio italiano in senso assoluto
Ogni Italiano o organizzazione o formazione italiana di qualunque tipo è al servizio al Nord come al Sud degli Occupanti, a prescindere da ogni considerazione. L’ultima parola, in ogni problema, circostanza o altro non spetta agli Italiani ma ad Angloamericani a ai Tedeschi. In base alla loro benevolenza o non benevolenza ci sarà spazio di manovra per gli Italiani per la realizzazione dei loro desideri ed interessi.
Occorre tenere sempre presente, quindi, che nella Guerra di Liberazione sia a Nord che a Sud è l’Occupante sia esso Anglo-americano o Tedesco che decide tempi e modi di ogni azione. Non vi sarà spazio per gli Italiani per incidire in questo meccanismo. Ne discende uno dei corollari della Guerra di Liberazione: gli interessi Italiani, qualunque siano, sono e saranno sempre subordinati a quelli dell’Occupante. Sarà solo la benevolenza del medesimo se qualche cosa verrà accordato, ma solo in vista o in virtù di un preciso tornaconto di chi lo concede.
Occorre prendere atto di questo, e sgombare il campo da ogni altra considerazione. E’ tipico anche della storiografia trasformare alcuni aspetti sopra descritti in elementi a noi favorevoli. Il movimento partigiano non ebbe mai la forza di sostituirsi alle Armate Alleate e la sua azione dipese sempre dal sostegno materiale degli Alleati. Il proclama Alexander del novembre 1944 fu un vero e proprio trauma per tutto il movimento partigiano, che fu superato solo per la forza morale ed etica di coloro che avevano scelto di combattere in montagna. Asserire che “furono i partigiani” avincere la guerra, significa non conoscre o non voler riconoscre ciò che realmente accadde in quei anni di guerra. Altre sono le “versioni” che nel corso di questi decenni si sono via via affastellate, a giustificare questo o quello, ma sono versioni di comodo, al servizio delle esigenze del momento e di determinate forze politiche, che nulla hanno a che fare con la realtà della Guerra di Liberazione.
Se sul piano dei rapporti di forza e sul piano strettamente materiale la situazione è quella sopra descritta, ben diversa era quella sul piano morale e politico. Se è pur vero che molti italiani si rifugiarono nell’attendismo, se forze conservatrici come la Chiesa Cattolica, peraltro fortemente compromessa con il Fascismo, furono un freno ad ogni inziativa voltà ad avere una Italia futura diversa da quella passata, è pur vero che la Guerra di Liberazione vi è stata perché alimentata da una tensione morale ed etica senza pari. Si sperava, attraverso l’impegno ed il superamento dell’attendismo e degli interessi personali, in qualcosa di diverso per le future generazioni. Si combatteva e si affrontavano rischi e difficoltà in vista di un domani migliore che non fosse il presente. Si subivano e si sopportavano gli Occupatori, e al Nord che al Sud, nella convizione che presto tutto sarebbe finito e che ci sarebbe stata la possibilità di poter scegliere un modello di vita sociale diverso da quello avuto fino ad allora. Era la spinta ideale del movimento partigiano al Nord che raccolse nelle sue fila uomini di provenienza la più disparata, spesso antagonisti tra loro, come il dopoguerra stara a dimostrae, ma uniti nel combattere il nazifascismo; come i soldati del sud, che superando il “chi to fa fa”, seppero combattere e reagire a tanto disfattismo; come gli Internati in Germania che, cn una semplice firma avrebbero posto fine a tutte le loro sofferenze, ma che resistettero in nome di un qualcosa che sarebbe stato il tessuto connettivo dell’Italia del domani; come coloro che all’estero combatterono per la libertà di altri popoli nella speranza di averla anche in Italia al loro rientro ed infine come coloro che in prigionia aderirono e collaborarono allo sforzo contro il nazifascismo come cooperatori sempre nella speranza che qualcosa dovesse cambiare per il futuro. E’ il patrimonio della Guerra di Liberazione, che subordinata all’Occupante sul piano materiale, vincolata agli interessi altrui, fu scuila e terreno di impegno morale ed etico, un investimento per il futuro, una speranza in un futuro migliore.
Questo approccio alla Guerra di Liberazione, ben può far comprendere come essa sia stata il crogiuolo della nostra storia recente e che in essa siano confluite tutte le componeti della nostra società, dall’estrema destra all’estrema sinistra, che, grazie alla partecipazione di tutti, ha fatto si che l’Italia potesse risalire con brillantezza il baratro in cui era sprofondata a seguito di una guerra malamente condotta e ancor più malamente persa.

Note
[1] Zangradni R., 1943: 25 luglio – 8 settembre, Milano, Feltrinelli editore, 1964, pag. 40.
[2] Scrive Goebels nel suo diaro , all’indomani dell’annuncio dell’Armistizio “9 settembre 1943. Si dalla caduta di Mussolini abbiao sempre pensato ed atteso qusta mossa. Non avremo da fare mutamenti sostanziali nelle nostre misure. Possiamo mettere in motociò che il Fuhre avrebbe voluto fare immediatamente dopo la caduta di Mussolini”.
[3] Rinverdimmo agli occhi tedeschi la fama di “traditori”, ricordando il “giro di valzer” della Prima Guerra Mondiale, quando aderimmo all’Intesa dopo decenni di militanza nella “Triplice”, anche se formalmente l’alleanza era scaduta. I Tedeschi manifesteranno questo loro sentimento di disprezzo con l’insulto “Badoghlio”. Non da meno gli Angloamericani insriranno nel loro vocabolario il bereto “To badogliate” come sinonimo di inganno, superficialità mista a stupidità, mistificazione e quant’altro di ignominioso si può aggiungere nelle relazioni tra esseri umani.
[4] Grandi era stato ambasciatore per otto anni a Londra e vantava soldie amicizie anche nella cerchia più intima di Cherchill; chiese a gran voce e con insistenza di essere incaricato di condurre trattative, ma invano. Lo fu a fine agosto quando ormai tutto era compromesso e la sua missione, per l’evidenza delle cose, non fu mai avviata ma serv’ allo stesso Grandi ed alla sua famiglia di porsi in salvo in Spagna.
[5] Questi ebbe un ruolo primario nel 1914 quanto riuscì a portare a termine la sovvenzione erogata dalla Francia al “Popolo d’Italia”, diretto da Mussolini, per portarlo definitivamente, data la somma di denaro consistente, sulla sponda interventista.
[6] E’ veramente difficile capire questo modo di porre la questione di uscire dalla guerra in quanto l’Europa era dal 1939 sotto occupazione tedesca. Gli Angloamericani dovevano andare a portare soccorso all’Italia ed agli Italiani, non si sa in nome di che cosa o in cambio di chissa che cosa, mentre nulla era stato fatto ed era possibile fare per norvegesi, greci, belgi, cecoslovacchi, danesi, polacchi, russi, jugoslavi, francesi ecc. tutti sotto il gico tedesco e senza nessuna colpa.
[7] D’Ajetta era un uomo legato ad Acquarone, anche per la loro amicizia consolidata. Fu D’Ajetta che introdusse nei circoli esclusivi, che sia Acquarone che D’Ajetta frequentavano e noti per quello che una volta si sarebbe definiti di “doce vita”, Galeazzo Ciano, cosa che fruttò al genero del Duce, oltre al rancore ed all’odio della suocera Rachele, la nota fama di dissolutezza e amoralità. Si evidenzia ancor di più che la scelta del nostro emissario da mandare a trattare un così grande problema come l’uscita dalla guerra, affidata a personaggio di tal fatta, non fu proprio felice.
[8] D’Ajetta era in grado di dare ampie notizie su questo aspetto; certment el’accusa di “traditori” avanzata agli Italiani da parte tedesca in questo segmento ha fondamenti consistenti.
[9] A questa proposta, il commento di Cherchill fu “ Dalla prima all’ultima parola, D’Ajeta non ha mai minimamente alluso a termini di pace e tutta la sua esposizione non è stata che la preghiera che noi si salvi l’Italia, dai tedeschi e da se stessa, e al più presto possibile.”
[10] La copertura era data dall’assunzione del Berio del posto di console generale italiano a Tangeri, lasciato scoperto da Mario Badoglio. Si doveva avvalere dell’aiuto dei vice-consoli groppello e Castronovo oltre che dei buoni uffici della consoerte di Mario Badoglio, Giuliana. Doveva con tutte le cautele del caso prendere contatto con il console britannio Gascoigne, e porgergli le richieste italiane. Assolutamente si doveva fare attenzione affinché nulla trapelasse, dato che Tangeri era piena di spie tedesche. E’ appena il caso di far notare che appena giunto Berio a Tangeri, alcuni giornali locali avevano pubblicato la notizia che un plenipotenziario italiano era giunto per prendere contatto con gli angloamericani e trattare l’uscita dalla guerra.

mercoledì 10 dicembre 2008

Progetto Storia in Laboratorio

Progetto "Storia In Laboratorio"
Il processo metodologico
La Conclusione del nostro Processo Unitario
La Prima Guerra Mondiale
La Memoria ed il Ricordo
1918 -2008

Nella estenzione del progetto Storia in Laboratorio, la data focalizzata è 4 Novembre (1918). La Giornata della Unità Nazionale
I Risorgimento, conclusione del processo unitario Italiano (Vittoria nella I Guerra Mondiale 1918) . Se si intende la Guerra di Liberazione come il Secondo Risorgimento d’Italia, occorre indicare gli eventi che portarono al Primo Risorgimento, ovvero all’Unita territoriale della nazione Italiana sotto la Guida di casa Savoia e del Regno di Sardegna.
Ad ogni componente una classe ssi chiede:
Svolgere una ricerca presso la sua famiglia per individuare i bisnonni o altri componebti la famiglia e ricostruire la loro partecipazione alla I Guerra Mondiale. Una volta raccolto il materiale, produrre una ricerca/relazione, su base informatica, che sarà consegnata la Professore coordinatore la classe.
B) Eventualmente, come lavoro di gruppo, la Classe può svolgere ricerche sulle operazioni a cui parteciparono i familiari degli alunni della Classe, con indicazioni varie. Es. IL ragatto mario Rossi, ha avuto il bisnonno che, come artigliere ha partecipato alla Battaglia del Solstizio (giugno 1918). La classe svolge una ricerca sulla Battaglia del Sostizio.
Tutto il materiale viene consegnato al Coordinatore del progetto (Col. Osvaldo Biribicchi), che raccolto, lo invia alla Redazione del II Risorgimento d’Italia che provvederà alla pubblicazione nella Rubrica Storia in Laboratorio.
A giudizio del Professore coordinatore, le migliori ricerche o le più significative, vengono presentate nella Giornata del 31 ottobre da parte dello studente.


Il progetto "Storia in Laboratorio ha lo scopo di far conoscere la Guerra di Liberazione 1943 –1945 alle giovani generazioni di studenti nel quadro dell’impegno della Associazione verso le scuole di ogni ordine e grado.
L’Associazione con questo progetto vuole mettersi a disposizioni dei Professori, degli operatori culturali e di chi mostra interesse verso la conoscenza degli eventi che caratterizzarono la Guerra di Liberazione. Questa disponibilità non deve essere teorica, ma pratica, e si realizza attraverso un percorso che è stato sperimentato dal 2004, quando il progetto è stato concepito ed affinato grazie all’impegno della Prof. Daniela Bravi dell’Istituto "Colomba Antonietti" di Roma.
Il percorso presto detto e consta dei passi (step) ed ha un presupposto essenziale, pena il fallimento o la sterilità di quanto si potrà fare: la disponibilità di un Insegnante, o Professore, o Operatore Culturale o persona in genere che sia motore e centro di tutta l’iniziativa. Il progetto, quindi, prevede i seguenti "passi":
Primo passo: L’anno scolastico è concepito sulla base di sei date "qualificanti" la Guerra di Liberazione", che sono
a) 8 settembre, l’Armistizio; 4 Novembre, I Risorgimento, conclusione del processo unitario Italiano (Vittoria nella I Guerra Mondiale 1918) ,8 Dicembre, La battaglia di Montelungo; 27 Gennaio, Giorno della Memoria, 25 Aprile, La conclusione di Liberazione, 2 giugno, proclamazione della repubblica, il frutto della Guerra di Liberazione
L’insegnante, dopo un colloquio di fattibilità con i rappresentanti dell’Associazione, delinea le linee di intervento, ed entro i primi di settembre, elabora il progetto da presentare agli organi della Scuola. (Cardini di tale progetto: la scelta della data da utilizzare; il livello di intervento; le modalità di esecuzione).
Secondo passo: L’associazione, preso atto dei lineamenti del progetto elaborato dall’Insegnate ed approvato, fornisce il materiale idoneo a svolgere accurate e approfondite ricerche in merito, al fine di mettere in condizione gli studenti di avere ogni riferimento documentale idoneo; inoltre si fa parte diligente a fornire all’insegnante ogni supporto per la realizzazione di incontri con personaggi, con protagonisti, di partecipazione degli studenti a visite a Musei e Luoghi della Memoria, convegni, congressi e visite, di lezioni frontali, visite nelle scuole, organizzazione di mostre ed ogni attività ritenuta utile.
Terzo passo: All’indomani dell’evento, gli studenti, sotto la guida del professore svolgono elaborati sotto forma di articoli, saggi, note o altro sul tema proposto. L’insegnante raccoglie questi elaborati e, senza alcuna correzione interventi di sostanza, ma solo di forma, e/o preceduti da un suo articolo di introduzione e o di commento, li invia alla Associazione
Quarto passo: Tutti gli elaborati vengono pubblicati sulla Rivista "Il Secondo Risorgimento d’Italia" e poi posti sul sito www.seconodrisorgimento.it. Copie della rivista vengono date al Professore, ai ragazzi, alla scuola. E’ il momento della gratificazione per lo studente. Il materiale documentario consegnato dall’Associazione rimane presso la Scuola e, se del caso, integrato con volumi e testi ulteriori da mettere presso la Biblioteca.
Il Progetto è ciclico, ovvero la fase di progettazione e decisione deve avvenire entro la fine dell’anno scolastico precedente; la fase condotta , da settembre a giugno dell’anno scolastico in corso. Quindi si può ripetere, gravitando su una data (evento) o l’altra a seconda del tema che si vuole affrontare.
La criticità del progetto sta nella individuazione dell’Insegnate/ professore il quale rappresenta l’elemento motore e qualificante della realizzazione. Qualora non si individuasse per ragioni vari tale elemento,.o questi avanzasse riserve di varia natura, il progetto non deve partire.

lunedì 24 novembre 2008

Presentazione

Venerdì 28 novembre prossimo, alle ore 16 e 30, nella sede della Casa della Memoria e della Storia (via S. Francesco di Sales 5, Roma), si terrà la presentazione dell’opera di

ANNA MARIA CASAVOLA

7 OTTOBRE 1943
La deportazione dei Carabinieri romani nei Lager nazisti
(Edizioni Studium)
promossa da:

Associazione Nazionale Ex Internati, Edizioni Studium,
Associazione Nazionale Partigiani d’Italia,
Istituto Romano per la Storia dal fascismo alla Resistenza
e Associazione Nazionale Deportati Politici nei campi nazisti

Presenteranno l’opera: il Col. Giancarlo BARBONETTI, Capo dell’Ufficio Storico dell’Arma dei Carabinieri, Nando DALLA CHIESA, Università Statale di Milano, Antonio PARISELLA, Università di Parma, Presidente del Museo storico della Liberazione in Roma, e Aldo PAVIA, Presidente ANED di Roma.

Interverranno: il Gen. Max GIACOMINI, già Presidente nazionale ANEI, e Massimo RENDINA, Presidente ANPI. Introdurrà Stefano CACCIALUPI, Segretario Generale ANEI. Coordinerà Marco DAMILANO, cronista politico e parlamentare de “L’Espresso”.

Il libro getta luce su un evento completamente dimenticato: la deportazione ad opera dei nazisti di duemila-duemilacinquecento Carabinieri romani, prologo alla più nota deportazione di oltre mille ebrei. Sulla base di una vasta documentazione inedita custodita in archivi militari, di diari e di testimonianze, viene ricostruita la vicenda della cattura, dell’estenuante viaggio e del drammatico internamento nei Lager, e si indaga sulle ragioni del rifiuto da parte dei Carabinieri – al pari degli altri 600 mila militari internati – ad aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Nuova e sorprendente luce viene fatta anche sulla liberazione di Mussolini dalla custodia di Campo Imperatore.

Verrà anche presentata la nuova edizione dell’opera di VITTORIO E. GIUNTELLA, Il nazismo e i Lager.


Edizioni Studium – Roma, tel. 06.6865846 – ANEI, tel. 06.68301203

sabato 15 novembre 2008

La guerra di liberazione: una guerra su cinque fronti

Massimo Coltrinari (coltrinari@libero.it)

Il tema di questa conferenza è dedicato al nostro approccio della guerra di liberazione, ovvero dare un significato più compiuto al termine “guerra di liberazione su cinque fronti”.

La lotta che il popolo italiano intraprese, all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre 1943 con le Nazioni Unite può essere intesa come un tutto uno, ovvero una opposizione armata al nazifascismo ed adesione alla coalizione antihitleriana. La Guerra di Liberazione in questa chiave di lettura si può considerare una guerra combattuta su cinque fronti in nome di una Italia diversa e democratica. Una guerra che. Una volta vinta, doveva rappresentare una discontinuità con il fascismo in primo luogo, e soprattutto con le aberrazioni e le degenerazioni del fascismo stesso, recuperando nella sostanza quel senso civico, quell’amore di Patria, quell’unità di intenti e di partecipazione popolare, quel senso di pace e di fratellanza che erano stati il mastice dei cimenti del Primo conflitto mondiale e che provenivano dal retaggio, quello progressista, mazziniano garibaldino e il meglio di quello cavourriano del Primo Risorgimento mazionale.
In questo quadro cos’ delineato, i fronti della Guerra di Liberazione individuati sono i seguenti:
- Quello dell'Italia libera, ove gli Alleati tengono il fronte e permettono al Governo del Re d'Italia di esercitare le sue prerogative, seppure con limitazioni anche naturali per esigenze belliche. Il Governo del Re è il Governo legittimo d'Italia che gli Alleati, compresa l'URSS., riconoscono.
- Quello dell'Italia occupata dai tedeschi. Qui il fronte è clandestino e la lotta politica è condotta dal C.L.N., composti questi dai risorti partiti antifascisti. E' il grande movimento partigiano dei nord Italia.
- Quello della resistenza dei militari italiani all'estero. E' un fronte questo non conosciuto, dimenticato, caduto presto nell'oblio. E' la lotta dei nostri soldati che si sono inseriti nelle formazioni partigiane locali per condurre la lotta ai tedeschi (Jugoslavia, Grecia, Albania).
- Quello della Resistenza degli Internati Militari Italiani in Germania, che opposero un deciso rifiuto di aderire alla R.S.I., di fatto delegittimandola.
- Quello della Prigionia Militare Italiana della seconda guerra mondiale.

Delineati così i fronti della Guerra di Liberazione occorre precisare due punti: la individuazione del fronte “Nemico” ed il rapporto che esiste tra “Guerra di Liberazione e Campagna d’Italia”
Il Fronte “nemico” indubbiamente è la coalizione Hitleriana. La leaderschip nazista giunta al potere nel 1933 in Germania intendeva dominare l’Europa e, indirettamente, il mondo nella visione eurocentrica del medesimo, rafforzando all’interno lo Stato, esasperando gli aspetti totalitaristici ed autoritari, applicando in ogni momento e in ogni tempo la dottrina nazista della supremazia dell’uomo ariano, e cercando di portare entro i confini del Reich tutti i tedeschi, sia di origine che acquisiti, in una purezza di sangue che veniva attuata, secondo le leggi sul sangue e l’onore tedesco dette di Norimberga del 1935.
Questo comportò un fortissimo riarmo in quanto la guerra ai popoli vicini sarebbe stata, in un rapporto di potenza via crescente e favorevole alla Germania, il mezzo più veloce ed efficace per il raggiungimento degli obbiettivi nazisti e quindi della Germania. Sfruttando la debolezza diplomatica ed una politica di accettazione passiva da parte della Francia e della Gran Bretagna, che fino a quando l’espansione diretta tedesca non toccava da vicini i loro interessi diretti, ma solo quelli degli alleati ed amici non ritennero di contrastare o intervenire direttamente; non è certo un retaggio morale positivo il comportamento di britannici e francesi che, pur di non pagare direttamente un loro intervennero abbandonarono cechi, slovacchi, boemi, e da ultimo i polacchi. Quando l’azione della Germania mise in pericolo i dominio dell’Europa ed attraverso l’Italia si estendeva al Mediterraneo, si arrivò, mal preparati alla guerra. La Germania iniziò quindi quelle folgoranti campagne che in virtù della sua preparazione la vide in pochi mesi conquistare la Polonia, la Norvegia e la Danimarca, il Belgio e l’Olanda, ed infine la Francia. Ormai la guerra era divenuta lo strumento per il nuovo ordine che si voleva costruire. Dopo la conquista della Jugoslavia e della Grecia, con l’attacco alla URSS nel 1941 la guerra divenne anche ideologica. Convinto che in pochi mesi la URSS si arrendesse sotto gli attacchi tedeschi, Hitler non cercò minimamente l’aiuto dei suoi alleati. Quando le operazioni in Unione Sovietica si arenarono e le unità tedesche si fermarono davanti a Mosca, la guerra da “lampo” divenne normale. In questo torno di tempo Hitler cerca nuove aiuti e forze, quindi tira le fila della sua coalizione, chiedendo aiuti, soprattutto manodopera per il suo sforzo bellico, più che soldati. E’ il rafforzamento della Coalizione Hitleriana, in cui i vari uomini locali, nettamente al servizio dei tedeschi, contribuiscono alla loro vittoria. Vi è tutta una galassia di stati che operano in questa chiave, tra cui, dopo la crisi armistiziale, anche la Repubblica Sociale Italiana, fondata e governata da Benito Mussolini, con l’aiuto dei componenti l’ultimo fascismo, quello idealizza, spesso irrazionale, estremista.
Sullo stesso piano, nella Guerra di Liberazione, dei cinque fronti vi è, come “fronte nemico” questa coalizione Hitleriana, in cui in Italia la Repubblica Sociale Italiana è quello preminente. La Repubblica Sociale Italiana che verràgestita secondo l’estremismo del Partito repubblicano fascista che prevale su quello moderato rappresenta uno dei rivoli che confluiranno nella grande unificazione del dopoguerra, una vlta superate gli estremismi dovuti alla guerra.

Altro aspetto da focalizzare. Il rapporto tra Campagna d’Italia e Guerra di Liberazione. E’ indubbio che i vertici politici e militari della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, con a fianco quelli della URSS e in parte il residuo francese di estrazione gaullista, nel momento che intraprendono l’invasione della Sicilia, intendono con questa azione costringere l’Italia ad uscire dalla guerra, ovvero rompere l’alleanza con la Germania. Questo riesce e l’Italia, con l’armistizio dell’8 settembre 1943, e quindi si apre il fronte Italiano, ovvero la Germania deve guardare i suoi confini meridionali, ovvero ancora si apre il terzo fronte per essa. Gli Alleati, come comunemente vengono chiamati nel nostro retaggio, oggi, e ieri dalle generazioni che furono protagoniste di quelle vicende, intendevano proseguire la “loro” guerra, e non avevano alcuna intenzione di porre gli interessi dell’Italia e degli Italiani se non in misura funzionale e in armonia con i loro precisi interessi. Subordinatamente a questo l’Italia era sempre una nazione nemica, ove il fascismo aveva dominato, e, all’indomani della vittoria, non si poteva permettere in nessun caso che riassumesse il ruolo di Potenza Europea, o Grande Potenza, come era stato all’indomani della vittoria del 1918. Doveva, soprattutto nel disegno britannico, essere sulla scena europea in posizione subordinata e di media-piccola potenza, sotto influenza inglese o america, un disegno che poi a Jalta naufragò miseramente in quanto emersero le sue superpotenze, USA e URSS, che fino al 1989 diedero vita ad in sistema bipolare di gestione del mondo che rilegò tutti gli altri Stati, vinti e vincitori della Seconda Guerra Mondiale, sullo stesso piano.
La Campagna d’Italia quindi sono avvenimenti che agiscono su un piano superiore e diverso da quelli che agiscono nella Guerra di Liberazione. Qui tutti è subordinato al primo, e l’ultima parola spetta sempre agli altri, mai a noi Italiani, e gli interessi altrui sono sempre anteposti a quelli nostri. L’unica possibilità che abbiamo in queste dinamico e in questo geosistema di potenza e rapporti tra nazioni impegnati in una guerra, è il nostro impegno: più riusciamo a aiutare o assecondare nelle loro azioni gli Alleati, più la possibilità di avere un trattamento migliore aumenta, ma sempre e subordinatamente ad una decisione altrui.

Delineati così i fronti della Guerra di Liberazione e cercato succintamente di delineare il rapporto che intercorre tra Campagna d’Italia e Guerra di Liberazione, vediamo più da vicino, quale è il profilo di ogni singolo italiano, in quelle drammatiche vicende che ora chiamiamo “crisi armistiziale”.
Se vediamo il singolo militare, il singolo cittadino atto alle armi constatiamo che alla guerra parteciparono per varie vie, spesso seguendo scelte le più disparate: chi come rifiuto di consegnarsi ai tedeschi; chi, catturato, finì nei campi di concentramento in Germania e in Polonia; chi entrò nelle file partigiane e prese le armi; chi rientrò in Italia del Sud e nella stragrande maggioranza entrò nelle file dell'Esercito del Re; chi visse, senza cedere, sui monti in Italia e all'Estero per non consegnarsi ai tedeschi e non collaborare, chi nei campi di Prigionia degli ex-Nemici, ora presunti alleati, accettò di collaborare in nome del contributo che l'Italia doveva dare per un domani migliore.
Questo approccio ha permesso, aprendo una parentesi, di poter sviluppare le ricerche in queste cinque direzioni al fine di vedere quanti e quali italiani portarono, come dice Luciano Bolis il loro "granello di sabbia",alla Guerra di Liberazione oltre a quella che vide coinvolti quelli che rimasero fedeli alla vecchia Alleanza, ovvero fecero la loro militanza non solo nella Repubblica Sociale Italiana ma anche nelle fila dell’Esercito tedesco e come arruolati in uniforme tedesca e come ausiliari, che ha permesso di riportare alla luce tanti episodi ormai avvolti nel buio, ma deve essere ulteriormente integrato.

Vediamo ora più da vicino i cinque fronti della Guerra di Liberazione
Il Primo Fronte: L'Italia del Sud
Qui ricomincia a funzionare il vecchio stato, ma accanto si sviluppa la dialettica dei partiti. Partecipano alla guerra prima il I Raggruppamento Motorizzato, poi il C.I.L., poi i Gruppi di Combattimento. Sono, in nuce, i soldati del futuro esercito italiano, che operano secondo le regole classiche della guerra. E' indubbio che combattono contro i tedeschi, anche se il rapporto con gli Alleati è sempre di sudditanza. Con la liberazione di Roma e l'avanzata nell'Italia centrale la lotta al nazifascismo non è disgiunta da una appassionata discussione sul futuro politico dell'Italia e sulle prospettive di vero rinnovamento democratico. Le forze partigiane e dei partiti antifascisti coesistono, oltre che con l'organizzazione militare del Regno, anche con la Chiesa Cattolica, fattori entrambi che condizionano in senso moderato l'attività antifascista.

Il Secondo Fronte: L'Italia del Nord
Al momento dell'Armistizio, l'Italia fu tagliata in due. Al nord i tedeschi impongono la Repubblica Sociale. Qui si ha la forma più compiuta di resistenza. Si hanno le formazioni partigiane organizzate dai partiti antifascisti in montagna, mentre nelle pianura e nelle città si organizzano i GAP e le SAP. Oltre a ciò la popolazione civile partecipa alla guerra collaborando con il movimento artigiano in mille forme, e subendo terribili e inumane rappresaglie; inoltre gli operai con i loro scioperi e la loro resistenza passiva contribuiscono a rallentare lo sforzo bellico dell'occupante e a minare anche la propria sicurezza. Si ha il coinvolgimento di ampi strati della popolazione nella guerra al nazifascismo, che s’integra con il particolare profilo delle bande in montagna, che non sono solo gruppi di combattenti ma anche luoghi di dibattito e di formazione politica.

Il Terzo Fronte: L'Internamento
Nei mesi di settembre ed ottobre l'Esercito tedesco fa prigionieri ed interna in Germania oltre 600.000 militari italiani, dando origine al fenomeno dell'Internamento Militare Italiano nella seconda guerra mondiale. Questi militari non hanno lo status di prigionieri, ma di internati, ovvero nella scala del mondo concentrazionario tedesco, sono sullo stesso livello dei prigionieri sovietici ( La URSS non aveva firmato la convenzione di Ginevra del 1929) e poco al di sopra degli ebrei. Ovvero il loro trattamento era durissimo. In queste circostanze per uscire da questo inferno ci si sarebbe aspettato una adesione plebiscitaria alle proposte di collaborazione sia dei Nazisti sia degli esponenti della R.S.I. Invece la quasi totalità degli Internati oppose il rifiuto ad una qualsiasi forma di collaborazione, subendone le più terribili conseguenze. Fu un fronte di resistenza passivo, ma determinato, che nella realtà dei fatti deligittimò sul piano interno ma anche agli occhi dei germanici la Repubblica Sociale. Infatti una decisione in massa degli Internati ai fascisti di Salò avrebbe permesso alla R.S.I. di avvalorare le tesi della propaganda, che era l'unica rappresentate della vera Italia. In realtà questa non adesione, in sistema con la lotta partigiana, isolò Mussolini relegandolo a semplice rappresentate di se stesso e dei suoi accoliti.

Il Quarto Fronte: La Resistenza dei Militari Italiani all'Estero
Se nel nord Italia si sviluppò il movimento partigiano attraverso bande armate, all'estero, i militari italiani sorpresi dall'armistizio dell'8 settembre e sottrattisi alla cattura tedesca si opposero ai tedeschi in armi, inizialmente, poi dando vita, in armonia con i movimenti di resistenza locali a vere e proprie formazioni armate. Per la resistenza di formazioni organiche sono noti i fatti di Lero e di Cefalonia. Meno noti tanti altri fatti in cui unità militari italiane organiche resistettero ai tedeschi fino al limite della capacità operativa. Un esempio per tutte: La Divisione "Perugia", stanziata nel sud dell'Albania tenne in armi il porto di Santi Quaranta fino al 3 ottobre 1943, in attesa di un aiuto da parte italiana ed alleata. Una divisione di oltre 10.000 uomini, che dominava un area abbastanza vasta e che avrebbe potuto dare un forte aiuto ad un intervento alleato dall'altra parte dell'Adriatico. 10.000 militari italiani che rimasero compatti per tre settimane oltre l'armistizio, in armi e che paragonarono duramente questa loro resistenza. Infatti tutti gli Ufficiali della Perugia furono fucilati, e gli uomini iternati in Polonia.
Per le unità che passarono in montagna e si unirono ai movimenti partigiani locali, noti sono gli avvenimento della divisione "Venezia" e "Taurinense", che diedero vita alla Divisione Partigiana Garibaldi; meno note le vicende della divisione "Firenze" ed "Arezzo" in Albania e delle divisioni italiane stanziate in Grecia. Militari Italiani diedero vita alla divisione "Italia" in Jugoslavia. Oltre che nei Balcani, militari italiani parteciparono ai fronti di resistenza locali. Così in Corsica, ove oltre 700 militari caddero per la liberazione di Aiaccio, cosi nella Provenza, in centro Europa la presenza di militari italiani è certa.

Il Quinto Fronte: La Prigionia
Vi erano, al momento dell’Armistizio, circa 600.000 prigionieri nelle mani delle Nazioni Unite. Soldati per lo più caduti nelle mani del nemico a seguito dell’offensiva in Nord Africa (1940-’41) alla resa in Tunisia ed al tracollo del luglio agosto 1943 in Sicilia. Per lo più, tranne i 10-12.000 soldati in mano all’URSS, erano in mano anglo-americana. Questi soldati, questi italiani all’annuncio dell’Armistizio dovettero, come tutti, fare delle scelte. La stragrande maggioranza scelse di cooperare con gli ex-nemici, contribuendo anche loro a costruire un futuro migliore. Una aliquota molto bassa non volle cooperare, non solo perché fedeli alla vecchia alleanza, ma per variegate motivazioni.
Ad esempio a Hereford (USA) vie erano circa 4.000 italiani che gli americani consideravano "sout court" fascisti. In realtà, fra questi non cooperatori vi erano sì fascisti, ed anche prigionieri delle Forze della R.S.I., ma anche monarchici, liberali, moderati, repubblicani, socialisti, comunisti o laici in senso stretto che avevano fatto una scelta personale.
I prigionieri in mano agli Angloamericani furono organizzati in ISU, Italiana Service Units, compagnie di 150 uomini addetti ad un particolare lavoro. Il loro contributo si esplicò negli Stati Uniti e in Gran Bretagna con l'impegno nei grandi arsenali o nelle basi, oppure in Nord Africa e quindi in Italia, parte integrante della organizzazione logistica alleata. Anche loro, con il loro lavoro, portarono il contributo alla vittoria finale. Soprattutto i prigionieri che operarono in Italia nel campo delle comunicazioni, dei trasporti e del genio, confluirono poi nelle unità del nuovo esercito italiano, gestendo il materiale di guerra americano
Ovvero, anche il prigioniero che, in un contesto particolare, combatte.

Il Fronte avversario: La Coalizione Hitleriana
La nascita della Repubblica Sociale Italiana avviene per volontà tedesca. Liberato Mussolini sul Gran Sasso, un Duce stanco ed ormai amareggiato dalle vicende della calda estate del 1943 e desideroso di uscire e mettersi in disparte per riprendersi e meditare sul perché il suo movimento e il suo regime in poco più di ventiquattro ore crollò senza che nessuno muovesse un dito per difenderlo all’indomani del suo arresto il 26 luglio 1943, fu costretto a impegnarsi pesantemente nella vita politica italiana. La Nascita della Repubblica Sociale Italiana fu una occasione per i fascisti di chiara fama e di puri sentimenti di mettere in campo le proprie idee, senza i condizionamenti del ventennio. Si voleva creare una Repubblica effettivamente fascista. Questa tendenza, che si tramutò all’atto pratico nel congresso di Verona (i famosi dieci punti) del rigenerato PNF, portò alla ribalta non i moderati o coloro che nelle condizioni del momento potessero gettare ponti con l’altra Italia, ma gli estremisti, gli intransigenti, i fautori delle vendette ( espressione questa che portò alla fucilazione del gerarchi, tra cui Galeazzo Ciano, l’11 gennaio 1944 a Verona, accusati di tradimento il 25 luglio 1943 durante la seduta del Gran Consiglio). Una scelta che esasperò ancora di più la situazione e che generò, per reazione, la adesione di massa al movimento partigiano al nord. La Repubblica Sociale Italiana in mano agli estremisti del partito non riuscì mai a risolvere per intero il rapporto con il tedesco, un rapporto che fu sempre di sudditanza, e soprattutto non riuscì a imporre e realizzare quelle riformi sociali (la socializzazione integrale) su cui si basava la politic internai e che vide il totale fallimento per il rifiuto di aderirvi da parte della masse operaie e proletarie.

A tutti i fronti si accede perchè volontari. Si hanno diverse figure giuridiche, che già descriviamo, come il partigiano, il patriota, il prigioniero, l'internato, l'ostaggio, il deportato, e in questa particolare sede possiamo indicare l’Intelligence Liaison Officers, tutte figure che si delineano a seconda del fronte con cui si combatte. Un fronte che rimane unitario, nella volontà ferma di sconfiggere il nazifascismo. E in nome di questa unità, è sempre bello sottolineare il fatto che gli italiani, pur nella diversità di grado ma non di natura, diede il suo contributo, il suo granello di sabbia, su fronti diversi, affinché si realizzasse una Italia migliore, che è la quinta essenza della Guerra di Liberazione, culla e matrice della nostra Repubblica attuale

Per approfondimenti consultare il volume della collana Storia in laboratorio

Massimo Coltrinari,
La Guerra di Liberazione, una guerra su cinque fronti, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2008
15 euro
(ulteriori informazioni www.secondorisirgimento.it)

venerdì 7 novembre 2008

I Guerra Mondiale: il dovere della memoria

19^ Rassegna cinematografica internazionale Eserciti e Popoli “Il dovere della memoria”

“La Prima Guerra Mondiale. Aspetti politici, militari, sociali” è il tema di un Convegno che si terrà giovedì 6 novembre a Bracciano alla Scuola di Artiglieria. Presieduto dal prof. Antonello Biagini ordinario di storia all’Università “La Sapienza” di Roma approfondirà alcuni temi particolari tra cui quello dei prigionieri di guerra, (Massimo Coltrinari) , e quello degli aspetti sociologici nazionali, prima, durante e dopo il conflitto (Gianfranco Gasperini)
Il Convegno si inserisce nel programma della 19^ Rassegna “Il dovere della memoria” in occasione del 90^ Anniversario della fine del Conflitto.
La manifestazione, unica al mondo, coniuga attualità e memoria storica, è promossa e organizzata dall’Associazione “Eserciti e Popoli” ed intende documentare l’attività delle Forze Armate, segnatamente di quelle italiane, nell’ambito delle società nazionali. E lo fa in modo particolare attraverso il Concorso cinematografico cui quest’anno partecipano documentari prodotti dalle Forze Armate di 26 Nazioni (e dalla NATO): dall’Argentina, Brasile e Canada, da Israele al Sudafrica, alla Corea alla Cina e al Pakistan, e, per quanto riguarda l’Europa, dal Belgio, Croazia, Danimarca, Finlandia, Germania, Lettonia, Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Serbia, Slovenia, Svezia, Svizzera, Ungheria.
L’Italia partecipa con un documentario prodotto dall’Esercito con tema l’Afghanistan.
La partecipazione delle opere di diverse Nazioni è accompagnata dalla presenza di Delegazioni ufficiali di alto livello i cui componenti renderanno omaggio, sabato 15 novembre, giorno della conclusione della manifestazione, al Monumento ai Caduti di Bracciano, insieme al Sindaco con il Gonfalone della città ed ai rappresentanti delle Associazioni combattentistiche e d’arma.

Le proiezioni dei filmati iscritti al Concorso avranno luogo nella Scuola di Artiglieria di Bracciano – Caserma Cosenz - dopo l’inaugurazione, l’11 novembre, con l’intervento dal Presidente della Rassegna, del Comandante della Scuola di Artiglieria e del Sindaco di Bracciano, oltre che dagli addetti militari dei numerosi Paesi accreditati in Italia
Già visionati da una Commissione di selezione formata da esperti delle Forze Armate italiane, i documentari saranno proposti ad una Giurìa internazionale presieduta dal giornalista italiano Tonino Scaroni e di cui fanno parte Werner Seifert (Austria, regista di documentari), il generale Sahajahan Alì Kan (Pakistan, esperto di comunicazione istituzionale), Alexander de Montléart (Germania, regista cinematografico e teatrale), Paolo Insalata (Italia, esperto di comunicazione) e il ten. col. Massimo Mondini (Italia, direttore del Museo storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle).
La cerimonia di premiazione avrà luogo, sabato 15 novembre alle ore 11, nell’Aula Magna della Scuola di Artiglieria – Caserma Montefinale, alla presenza di autorità civili, militari e rappresentanze diplomatiche.

L’altra linea su cui si sviluppa la manifestazione è, come già detto, quella della Memoria Storica. Quest’anno ricorre il 90° anniversario della fine della Prima Guerra mondiale e dell’ Unità nazionale con il ritorno di Trento e Trieste alla Madrepatria. A questo tema saranno dedicate iniziative che coinvolgeranno le Scuole superiori, medie ed elementari di Bracciano, Anguillara, Manziana e Cerveteri. Saranno proiettati i film “La Grande Guerra”, “La caduta delle Aquile”, “Addio alle armi”, “La sciantosa”, “Sissi, la giovane imperatrice”, Charlot soldato”, e documentari storici (tra cui “Il Milite Ignoto” dell’Istituto LUCE), presentati e commentati dal critico cinematografico Ernesto G. Laura e da insegnanti dei vari Istituti scolastici.
Queste iniziative fanno seguito ad altre che prevedono un concerto di canti, inni e musiche del periodo della prima Guerra Mondiale e due conferenze sul tema “La Prima Guerra mondiale. Cause, caratteristiche e conseguenze” e “Il ruolo dell’Artiglieria nella Prima Guerra Mondiale e nella battaglia del Solstizio” ed un seminario su “L’Aviazione nella Prima Guerra Mondiale”che si terrà l’8 novembre a Vigna di Valle presso il Museo Storico dell’Aeronautica Militare.

Associazione “Eserciti e Popoli” Via Udino Bombieri, 45 Tel. 06/99815064
Email: esercitiepopoli@tiscali.it esercitiepopoli@libero.it

mercoledì 5 novembre 2008

Conferenza su "La battaglia di Castelfidardo"

di Giovanni Cecini

Conferenza di Massimo Coltrinari su "Lo scontro del 18 settembre 1860 a Castelfidardo"

L’anno 2008 si colloca alla vigilia di importanti appuntamenti di rievocazione storica, legati all’Italia e al suo Risorgimento nazionale. Il 150° anniversario dell’Unità non appare solo un arido formalismo, da celebrare per dovere d’ufficio, ma l’occasione per rinsaldare in un’unica circostanza i valori fondanti del Paese. Essi trovano il loro pieno ed effettivo compimento nell’arco di cento anni, perché espressi sia nel periodo risorgimentale contro l’oppressione conservatrice e straniera, sia nel periodo postfascista, dove il riscatto della Nazione si è sviluppato nel “secondo” Risorgimento con la lotta contro il totalitarismo, per poi trovare significato nella scelta repubblicana e nella promulgazione della Costituzione del 1948.E’ con questo clima che nel pomeriggio del 30 settembre presso la sede Unuci di Spoleto si è svolta un’importante iniziativa di tipo storico-culturale: un’attenta esposizione del generale di brigata Massimo Coltrinari sulla battaglia di Castelfidardo del 1860.Dopo gli onori di casa del generale Franco Fuduli, presidente della sezione, Coltrinari ha inquadrato gli avvenimenti nello scenario socio-politico del biennio 1859-60, in particolar modo analizzando la figura di Giuseppe Garibaldi, nella sua poliedrica espressione di patriota, generale, rivoluzionario e massone. Proprio l’«Eroe dei due Mondi» appare indicativo per comprendere la successione degli eventi intercorsi tra l’avvicinamento di Cavour alla Francia di Napoleone III e l’incontro a Teano tra il repubblicano Garibaldi e il « re d’Italia» Vittorio Emanuele II.Nell’analisi dei fatti, esposti dal generale Coltrinari, è emerso come il contesto internazionale e l’appartenenza massonica della maggior parte dei protagonisti di primo piano di quel periodo siano stati elementi essenziali e imprescindibili per il successo dell’unificazione nazionale sotto l’ala sabauda.Se l’Italia per secoli era stata campo di battaglia e tenuta di caccia per le principali potenze europee, solo il tacito assenso o addirittura la piena partecipazione di paesi, come la Francia o la Gran Bretagna, possono spiegare la facilità e la rapidità con la quale in un biennio si è realizzato il sogno di unificazione politica, fino ad allora inespresso e testimoniato solo dalla lunga e millenaria comunanza culturale dei sudditi residenti dalle Alpi alla Sicilia.In tal senso va inquadrata la sottile tessitura cavouriana con l’Imperatore «dei francesi» e la simpatia con la quale la società inglese guardava le azioni di Mazzini e di Garibaldi. Proprio seguendo questa analisi retrospettiva, Coltrinari tuttavia ha messo in luce alcuni aspetti molto importanti, rimarcando la provenienza massonica di Garibaldi e di Vittorio Emanuele. Solo questa comunanza segreta poté permettere al primo di avere successo, dove Carlo Pisacane aveva fallito, e trovare nelle logge londinesi un supporto di pressione essenziale contro la debole economia borbonica. In parallelo il Re riuscì, attraverso l’intervento militare piemontese nelle Marche e nell’Umbria e poi giù fino a Teano, nei tre obiettivi fondamentali che si era proposto per divenire l’unico “controllore” della Penisola: spegnere ogni fantasma repubblicano nel Mezzogiorno, magari con a capo Garibaldi stesso; impedire uno sconfinamento nel Lazio di quest’ultimo, che la Francia paladina del Papa avrebbe colto come azione contro di essa; ereditare le vittorie garibaldine ed essere investito dal generale nizzardo come capo indiscusso della Penisola, in questo caso non tanto perché “Re”, ma come “Maestro” massone.Seguendo questa chiave logica e interpretativa, così si spiega la pronta reazione di Torino sulla dorsale adriatica verso Sud, fino alla battaglia decisiva di Castelfidardo del 18 settembre 1860, dove si scontrarono la compagine con a capo Vittorio Emanuele e le formazioni pontificie, incalzate anche sulla costa dalla flotta piemontese contro la piazzaforte di Ancona. Gli sconti si susseguirono su tutto l’arco appenninico umbro-marchigiano e anche presso Pesaro. L’obiettivo delle truppe mandate da Roma (circa 10.000 uomini), forti di un contingente multinazionale eterogeneo e confuso guidato dal generale francese Cristoforo De Lamoricière, era arrivare al mare a tappe forzate attraverso Foligno, Tolentino e Macerata, per fermare l’avanzata da Nord. La risposta piemontese fu diretta ed energica e i franco-papalini furono bloccati dal doppio fronte, composto da 39.000 soldati, proposto dal generale Fanti e messo in atto dal generale Cialdini.La battaglia per quanto secondaria nella memorialistica storica, sia perché non inserita nelle classiche “Guerre d’Indipendenza” e sia perché sovrastata dalla contemporanea Spedizione dei Mille, che tutto offuscò e inglobò in sé, rappresenta comunque ancora una tappa fondamentale per la realizzazione dell’Unità. La vittoria a Castelfidardo permise l’avanzata verso Sud e portò, con l’incontro campano tra il Savoia e il repubblicano Garibaldi, la confluenza di intenti nel compiere il primo passo verso l’Italia, una, indipendente e libera. Per raggiungere il quarto aggettivo mazziniano di «repubblicana» bisognerà aspettare oltre 80 anni, ma in quel momento già appariva molto anche per lo stesso Garibaldi.L’aspetto politico, oltre quello militare, non fu secondario. La società cattolica francese aveva come missione la difesa del Papa, ma Napoleone III comprese che fermare i garibaldini era anche per Parigi un fondamentale elemento di stabilità, non avendo Vittorio Emanuele II propositi espliciti su Roma. Le intuizioni di Cavour, i timori di ritrovarsi una Repubblica partenopea una volta scacciati i Borbone, l’opportunità di addomesticare Garibaldi nei suoi possibili intenti rivoluzionari fecero il resto, essendo tutti tasselli che imposero una volta su tutte il predominio del piccolo e battagliero Piemonte sulla scena internazionale.Poco più di dieci anni prima l’esercito di Carlo Alberto era stato annichilito e ricacciato oltre il Ticino. Nel 1860 quello stesso esercito controllava virtualmente lo Stivale dal Mincio alla Sicilia, presupposto fondamentale per il nuovo assetto statale e nazionale d’Italia.Al termine della serata di studi, il generale Coltrinari ha colto l’occasione per proporre alle insegnanti e agli alunni presenti in sala un’iniziativa già collaudata negli anni passati con la rivista


“Il Secondo Risorgimento d’Italia”. In un periodo in cui molto spesso la Memoria e il Ricordo sono oggetto di dibattiti e talvolta di strumentalizzazioni, “La storia in laboratorio” rappresenta un’occasione per avvicinare la didattica classica a metodi extrascolastici di apprendimento sul campo. L’alunno e lo studente non sono più soggetti passivi dell’insegnamento, ma protagonisti di elaborati, articoli, progetti grafici finalizzati allo stimolo individuale e al lavoro di gruppo. In questo modo le giovani generazioni possono trovare un approccio nuovo e stimolante (attraverso incontri, testimonianze e attività ludico-ricreative) allo studio e alla comprensione di tematiche di carattere storico, fondamentali per diventare buoni e responsabili cittadini del domani.


martedì 4 novembre 2008

Giovanni Messe, maresciallo d'Italia



L'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito ha pubblicato il volume " Giovanni Messe. L'Ultimo Maresciallod'Italia" di Luigi Emilio Longo, Roma, 2006.

Giovanni Messe nacque a Mesagne il 19 ducembre 1883. A 18 anni si arrulò volontario e divenne Sergente nel 1903. Destinato in Cina vi rimase fino al 1908. Ammesso alla Scuola Militare di Modena nel 1910 fu nominato sottotenente e partecipò alla campagna di Libia. Dal 1916, capitano,prese parte alla prima guerra mondiale e con il grado di maggiore assunse il comando del IX reparto d'Assalto. Promosso tenente Colonnello per merito di guerra comando per otto anni il 9 Bersaglieri di Zara.Da generale di brigata partecipò alla guerra in Africa Orientale. Fu Vice Comandante della spedizione in Albania, poi fu al comando del CSIR in Russia dal 1941 al 1942. Inviato in Tunisia comandò la I Armata fino alla resa del 15 maggio 1943. Fatto prgioniero dagli Anglo Americani al suo rimpatrio dopo l'8 settembre 1943 diventò Capo di Stato Maggiore Generale carica che conservò per tutta la guerra di Liberazione. Nel 1947 fu collocato nella riserva e in seguito divenne senatore della repubblica, rimanendo sempr elegato alla Istituzione a cui aveva dedicato la vita intera.

Il Volume può essere chiesto all'Uffico Storico, Via Etruria 3 00100 Roma ed è ceduto al presso di 16.00 euro (ufficistorico@tin.it)

Ricordata in sezione la Figura del gen. Pugliese

La Sezione UNUCI di Spoleto, partecipa con profondo dolore alla scomparsa del suo Socio generale Sebastiano Pugliese, recentemente scomparso. Sabato 31 maggio, la Sezione è intervenuta alle solenni esequie, durante le quali ha preso la parola il Presidente, gen. Franco Fuduli, che ha tratteggiato le doti di uomo e di soldato del gen. Pugliese.
Alla famiglia dello scomparso giungano ancora i sentimenti più profondi di partecipazione al dolore e di stima per il gen. Pugliese


La Sezione UNUCI di Spoleto, partecipa con profondo dolore alla scomparsa del suo Socio generale Sebastiano Pugliese, recentemente scomparso. Sabato 31 maggio, la Sezione è intervenuta alle solenni esequie, durante le quali ha preso la parola il Presidente, gen. Franco Fuduli, che ha tratteggiato le doti di uomo e di soldato del gen. Pugliese.
Alla famiglia dello scomparso giungano ancora i sentimenti più profondi di partecipazione al dolore e di stima per il gen. Pugliese

Attività della Sezione Unuci di Spoleto


CELEBRATO A BEVAGNA
il 60° Anniversario della Costituzione

La Sezione UNUCI di Spoleto, attraverso l’iniziativa del suo presidente gen. Franco Fuduli, ha organizzato, su invito del Comune di Bevagna, (Perugia) sabato 31 maggio, una conferenza dibattito sul tema “Attualità della Costituzione” insieme alla locale Sezione dell’Anpi.
Nel bellissimo Chiostro di San Domenico, dopo l’apertura dei lavori a cura della éreidenza della sezione Anpi Prof.ssa Maria teresa Lepri, ha preso la parola Gian Paolo Loreti, partigiano, che ha con brevi note sottolineato il significato dei sacrifici che si sono dovuti fare per giungere alla promulgazione della nostra legge fondamentale, sacrifici che sono il reale valore della Resistenza. Hanno preso poi la parola i due relatori, Proff.ssa Luciana Brunelli e Gen. Massimo Coltrinari. Entrambi hanno tratteggiato gli aspetti salienti della Costituzione, la loro realtà e i loro significati, ponendo l’accento sulla attualità dei valori della Costituzione, che hanno permesso uno sviluppo senza precedenti della nostra Repubblica sotto il profilo sociale, economico, politico. In particolare il Gen. Coltrinari, che ha trattato gli aspetti peculiari della Costituzione riferiti alle forze armate, si è soffermato sulla necessità di adeguare, fermi i principi che li ispirano, prima fra tutti l’art. 11 (l’Italia ripudia la guerra come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali) di adeguare tali articoli alle esigenze attuali ed ai mutati scenari internazionali del nostro tempo.
E’ intervenuto poi il sindaco di Bevagna, Enrico Bastioni, che ne ringraziare gli intervenuti e la Sezione UNUCI di Spoleto nella persona del gen. F. Fuduli, ha evidenziato come ogni sforzo deve essere fatto per adeguare la nostra Costituzione alle esigenze di una società che è in contiua evoluzione, facendo accenno alla presenza extracoumitaria a Bevagna, pur nella conservazione e preservazione dei valori fondanti la Costituzione stessa.
Un interessante dibattito ha seguito gli interventi, con particolare accenni ai significati di pace e democrazia.
La Sezione UNUCI di Spoleto con questa iniziativa, intende proseguire sulla strada intrapresa, volta ad aprire sempre più le proprie attività verso la comunità al fine di ampliare la conoscenza del mondo militare nei vari strati della società.