(8 – 15 SETTEMBRE
1943)
Alle 18 i radiotelegrafisti
di servizio della Marina appresero da Radio Londra che il Governo italiano
aveva concluso l’armistizio con gli Alleati.
La notizia si propagò
fulminea per le vie della piccola città suscitandovi frenetiche manifestazioni
di gioia.
“Si udirono a lungo – dice
padre Formato, cappellano militare del 33° artiglieria – colpi di fucile, di
mitragliatrici e di bombe a mano. Si videro soldati italiani fraternizzare e
cantare a braccetto con soldati
tedeschi. La gente si abbracciava per le vie. Le campane delle chiese, anche
quelle delle campagne, suonavano a distesa”.
Il primo a chiedere
conferma della notizia fu il comando Marina che si pose subito in contatto
telefonico col Comando Marina di Patrasso: ma il telefonista fece appena in
tempo a captare dall’altro capo della linea queste parole: “siamo sopraffatti
dai tedeschi”. Dopo di che la comunicazione si interruppe definitivamente.
Alle 19, il comando della
divisione “Acqui” apprese dalla radio italiana l’annunzio ufficiale
dell’armistizio.
Il generale comandante,
Antonio Gandin, ne dette comunicazione a tutti i comandi dipendenti ed ordinò
la consegna delle truppe negli alloggiamenti, la intensificazione della
vigilanza, il coprifuoco alle 20 per la popolazione, la perlustrazione notturna
per le vie di Argostoli.
“Gli ordini vennero
prontamente eseguiti; - dice il capitano Ermanno Bronzini del comando della
“Acqui” – io stesso percorsi in macchina le strade con un trombettiere del
comando, dal quale facevo suonare ad ogni angolo la ritirata. Ogni rumore
cessò. Dei greci non si vide più per le strade neppure l’ombra: si udiva solo
il passo cadenzato dei pattuglioni. I militari tedeschi di stanza ad Argostoli,
circa trecento, sparirono anch’essi dalla circolazione. Però del comando
tedesco – a cui il gen. Gandin aveva ordinato le stesse misure precauzionali –
nessuno si fece vivo presso il nostro comando”.
Alle 21 circa giunse al
comando della divisione “Acqui” un radiogramma del comando 11ª armata che fu
subito trasmesso a tutti i reparti dell’isola. Il dispaccio – secondo il
capitano Apollonio comandante della terza batteria del 33° artiglieria – così
diceva: “Seguito conclusione armistizio truppe italiane 11ª armata seguiranno
questa linea condotta. Se tedeschi non faranno
atti violenza truppe italiane non rivolgeranno armi contro di loro. Truppe italiane non
faranno causa comune con ribelli né con truppe anglo – americane che sbarcassero.
Reagiranno con la forza ad ogni violenza armata. Ognuno rimanga suo posto con
compiti attuali. Sia mantenuta con ogni mezzo disciplina esemplare. Comando
tedesco informato quanto precede. Siano immediatamente impartiti ordini cui
sopra a reparti dipendenti. Assicurare. Firmato gen. Vecchiarelli”.
In seguito a tale dispaccio
il gen. Gandin dispose che taluni reparti dislocati nelle vicinanze per la
difesa costiera, si trasferissero in Argostoli a protezione del comando truppe
e del palazzo degli affari civili.
Il movimento avvenne a
notte inoltrata e “dette l’impressione ad ufficiali e soldati – secondo quanto
riferisce il sottotenente medico Pietro Boni – che fosse in relazione ad un
previsto atteggiamento ostile da parte
delle truppe tedesche, sia quelle in Argostoli che quelle dislocate nella
penisola di Paliki”.
Il radiogramma del
comandante dell’11ª armata aveva frattanto imposto al comandante delle truppe
dell’isola nuovi e gravi orientamenti che esigevano più precise direttive.
Il comando della “Acqui”
ritentò perciò la comunicazione col comando dell’11ª armata dislocato sul
continente greco.
Vani riuscirono i tentativi
attraverso la linea telefonica, a cui si è già accennato.
Le stazioni radio del
comando divisione e del comando Marina, falliti i tentativi di comunicazione
diretta, tentarono il collegamento attraverso i comandi dell’VIII e del XXVI
corpo d’armata, anch’esso dislocati sul continente: ma nessuno rispose.
E del pari inutile riuscì il tentativo attraverso le isole di
Zante, di Santa Maura, di Corfù.
Il lavoro delle radio si
protrasse invano, con disperata insistenza, per tutta la notte.
Alle 23, giunse dal Governo
al comando Marina l’ordine radiotelegrafico che i “mas” e le altre unità navali
salpassero da Argostoli per un porto dell’Italia meridionale. L’ordine ebbe
esecuzione immediata. “In tal modo – commenta il capitano Bronzini – aumentò il
nostro isolamento col continente greco e con l’Italia. Unico mezzo marittimo
che ci rimase fu un motoscafo della Croce Rossa”.
L’8 settembre in Argostoli
finì in una calma apparentemente profonda.
Ma nei comandi militari,
negli alloggiamenti delle truppe, in ogni casa della popolazione greca, alla
intensa esplosione di giubilo provocato dall’inatteso evento, subentrò negli
animi – come tutti i testimoni concordemente affermano – un penoso senso di
perplessità, quasi un “presentimento collettivo di sciagura”.
Presidiava l’isola la
divisione “Acqui” quasi al completo (un reggimento, il 18° fanteria, era
distaccato a Corfù) e costituita – oltre che dal comando della divisione,
tenuto dal generale Antonio Gandin ed un comando di fanteria divisionale tenuto
dal generale Luigi Gherzi – da due reggimenti di fanteria (il 17° e il 317°
rispettivamente comandati dal ten. col. Ernesto Cessari e dal col. Ezio Ricci,
entrambi in s.p.e.) e da un reggimento di artiglieria divisionale (il 33°,
comandato dal col. in s.p.e. Mario Romagnoli). Seguivano reparti vari del
genio, i servizi divisionali (tra cui tre ospedali da campo ed un nucleo
chirurgico), una compagnia di carabinieri ed una compagnia di guardie di
finanza.
Della divisione facevano
anche parte, a rinforzo, quattro gruppi di artiglieria, due sezioni di
mitragliere da 20, due compagnie mitraglieri.
Il Comando Marina Argostoli
– in dipendenza disciplinare dal comando della “Acqui” – era tenuto dal
capitano di fregata in s.p.e. Mastrangelo. Partiti la notte dell’8 i “mas” ed
altre unità similari, rimasero a Cefalonia gli elementi del comando, due
batterie ed i soli ufficiali della flottiglia dragamine.
Il totale delle truppe
italiane si aggirava sugli 11 mila uomini di truppa e 525 ufficiali.
Integrava il presidio
italiano un contingente di truppe tedesche giunto nell’isola fra il 5
e il 10 agosto e costituito da due battaglioni di fanteria da fortezza con
molte armi pesanti ed una batteria su otto pezzi semoventi da 75 ed uno da 105
al comando del tenente di artiglieria in s.p.e. Fauth.
La guarnigione tedesca
ammontava a circa duemila uomini fra cui 25 ufficiali ed era comandata dal ten.
col. di fanteria in s.p.e. Hans Barge.
L’isola era divisa, per la
difesa, in tre settori, dipendenti dal comando della “Acqui”, il quale
dipendeva, a sua volta, dal comando dell’VIII corpo d’armata e dal comando
dell’11ª armata.
Il Settore Nord era
assegnato al 317° fanteria rinforzato da due gruppi di artiglieria, più sei
batterie di vario calibro; più la batteria da 120 della Marina schierata a
Làrdigo, più la batteria semoventi tedesca in Argostoli. La sede del comando –
tenuto dal ten. col. Cessari – era a Keramiaes.
Il settore Lixuri era
assegnato alle truppe tedesche, rinforzate da artiglierie italiane, con sede
del comando – tenuto dal ten. col. Barge – a Liguri.
La sezione di sanità a
Frankata; due ospedali da campo ed il nucleo chirurgico ad Argostoli; la
sezione sussistenza a Valsamata.
Tali, in breve, le forze e
la dislocazione tattica del presidio di Cefalonia alla data dell’8 settembre.
Forze, relativamente,
notevoli, poiché fra le isole Jonie, (immediate avanstrutture difensive, per posizione
geografica, della parte sud – occidentale della penisola balcanica), l’isola di
Cefalonia, all’imbocco dei canali di Patrasso e Corinto, avrebbe certo assunto,
in caso di orientamento operativo degli Alleati verso la Grecia, una funzione
di primo piano quale “porta” sulla maggior via di penetrazione nel continente
greco.
Nell’isola esistevano pure
– secondo il capitano Bronzini – sufficienza di viveri per circa novanta giorni
ed una disponibilità di munizionamento per tre o quattro giorni, all’incirca,
di medio consumo.
Le condizioni materiali del
soldato a Cefalonia erano quelle comuni a tutte le truppe italiane in patria e
nei diversi teatri di operazioni. Ossia, nel più dei casi, al di sotto del
mediocre. Fra l’altro, per quanto riguarda Cefalonia: scarso il vestiario e più
specialmente le calzature; ridotto all’indispensabile il vitto, e tuttavia
quasi sempre insufficiente alle condizioni di vita di un soldato in guerra.
Sicchè, per queste e per
altre deficienza, il regime disciplinare, costretto a reggersi, pur nelle
contingenze ordinarie, su uno sproporzionato spirito di sacrifizio dei gregari,
non presentava – qui allo stesso modo che altrove – sintomi rassicuranti di
stabilità.
Il fante del 317° fanteria,
Dante Umbri, ci tiene però a porre in particolare rilievo il suo affetto e la
sua gratitudine per il sottotenente Mario Piscopo. Egli dice: “il tenente ci
offriva le sue sigarette, il suo pane e il suo vitto, e persino il suo
giaciglio. E questo è successo a me. Più che un ufficiale era una amico.
Durante le marce in montagna mi chiedeva: Umbri, se non ce la la fai a portare
lo zaino dallo a me. E posso dire che tante prove le ho sopportate per lui,
altrimenti non so neanche io che cosa avrei fatto”. Si chiede, infine
angosciato: “Sarà perito anche lui, nell’infame eccidio, il mio tenente?”.
Questa ed altre
testimonianze stanno a dimostrare che, malgrado tutto, il morale delle truppe
dell’isola alla vigilia dell’armistizio doveva essere buono: nessuno dei
superstiti, almeno, ha fatto finora dichiarazioni, a tal riguardo, contrarie.
Buone erano anche le
relazioni del nostro presidio con la popolazione greca del luogo. I soldati
della “Acqui”, molti da lungo tempo nell’isola, avevano intrecciato con essa
rapporti di viva e reciproca simpatia, appena contenuta dalle limitazioni
imposte dallo specifico rapporto politico. La prova migliore si ebbe la sera
dell’8 settembre quando, nel tripudio suscitato dall’annunzio dell’armistizio,
i civili greci circondavano per le vie i nostri ufficiali ed i nostri soldati
per implorarli a “non lasciarli soli con i tedeschi”.
Le truppe tedesche, come s’è detto, erano giunte da poco nell’isola.
“Erano state accolte – dice il capitano Bronzini – con grande cameratesca
cordialità da parte dei comandi italiani. Il comandante della divisione, in un
apposito ordine del giorno, aveva dato loro, con fervide parole, il benvenuto.
Né la cordialità dei rapporti fra il comando della divisione ed il comando
tedesco si era fermato alle sole parole;
ma venne di mano in mano esprimendosi attraverso fatti concreti, quali l’intima
collaborazione, i frequenti scambi di visite, l’assistenza alle truppe tedesche
largamente offerta dai nostri comandi
Né risulta che nel mese di
permanenza in comune sull’isola siano mai avvenuti incidenti fra le truppe dei
due paesi.
Se però non ci furono
attriti, non ci furono neppure (tranne la sera dell’8 settembre. In cui,
probabilmente, i tedeschi cedettero che l’armistizio valesse anche per loro)
manifestazioni collettive od atti singoli di spontanea fraternità guerriera.
Tutto si ridusse – come
altrove – a dichiarazioni convenzionali, più specialmente fra comandi e
comandi, che però non trovavano rispondenza negli stadi medi ed inferiori, se
non in un reciproco cameratismo rispettoso sì ma controllato; e, in definitiva,
assai freddo.
Occorre infine ricordare
che la divisione “Acqui” era la erede diretta delle tradizioni “carsiche” della
brigata omonima (17° e 18° di fanteria); tradizioni che, come mostreranno gli
eventi di questi giorni, si erano mantenute vive anche nella più ampia
compagine divisionale.
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