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mercoledì 31 agosto 2016

.Italia. Affrontare l'emeergenza


Terremoto centro Italia
Sisma: come rispondere all’emergenza 
Alessandro Marrone
30/08/2016
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Il terremoto nel centro Italia ha attivato il sistema di sicurezza civile che affronta emergenze quali i disastri naturali, con una serie di misure che riguardano i soccorsi, gli alloggi e l’organizzazione delle attività per superare la crisi.

La Protezione civile e l’organizzazione dei soccorsi
Un cataclisma del genere (292 vittime, circa 400 feriti e oltre 2.900 sfollati) ha attivato il sistema di sicurezza civile che in Italia si occupa di affrontare disastri naturali o causati non intenzionalmente dall’uomo. Sistema che conta sul doppio pilastro del Servizio nazionale di protezione civile, coordinato dal Dipartimento omonimo in seno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e del Dipartimento dei Vigili del fuoco parte del Ministero dell’Interno.

Nei casi più gravi intervengono anche le Forze armate, ed infatti nei giorni successivi al sisma sono stati 1.250 i militari impegnati a fianco dei Vigili del fuoco (circa 1.200) e del personale della protezione civile. Quest’ultimo è composto prevalentemente da volontari, inquadrati nelle strutture locali, provinciali e regionali coordinate dal Dipartimento a Roma. Nel complesso si tratta di un sistema articolato con diversi attori coinvolti, incluse altre amministrazioni pubbliche e organizzazioni di volontariato come la Croce Rossa Italiana.

Il sistema è organizzato secondo il principio di sussidiarietà: in caso di crisi risponde per primo il livello locale, ed in base ad estensione ed intensità del disastro la gestione dell’emergenza passa al livello superiore. Quando si verificano calamità come quella dello scorso 24 agosto, la responsabilità passa immediatamente al livello nazionale, ed in particolare alla Presidenza del Consiglio dove il Dipartimento della protezione civile interagisce con i ministeri dell’Interno e della Difesa e gli altri attori coinvolti.

Ovviamente nel momento del disastro, come alle 3.36 della notte del 24 agosto, le “colonne mobili” costituite dai volontari della protezione civile, piuttosto che le unità dei vigili del fuoco o i militari della caserma di Rieti, partono autonomamente e appena possibile dalle province vicine – e meno vicine – per raggiungere e soccorrere le persone rimaste sotto le macerie. Con loro, la scorsa settimana c’erano anche molti semplici cittadini accorsi per dare una mano.

La fase attuale è quella della “risposta” all’emergenza, che dovrebbe essere subito seguita dalla fase della “ripresa” – ed in teoria preceduta da quelle di “prevenzione” e “preparazione” rispetto a disastri naturali ed antropici.

L’istituzione, il 28 agosto, a Rieti della Direzione di comando e controllo (DiComaC) della Protezione civile, assume le funzioni svolte nei giorni successivi al sisma dal Comitato operativo del Dipartimento a Roma, è un passaggio importante per l’organizzazione di attività più legate all'assistenza alla popolazione e al ripristino delle normali condizioni di vita.

Il confine tra “risposta” e “ripresa” dall’emergenza varia a seconda della gravità della crisi: nel caso del terremoto a L’Aquila del 2009, che ha visto circa 64.400 sfollati da assistere, la Protezione civile ha tenuto per otto mesi la guida del complesso delle attività in loco prima di passare il testimone alle autorità locali.

Casette e scuole per superare l’emergenza
Le attività ora in corso nelle zone del sisma riguardano in primo luogo gli alloggi per gli sfollati, anche considerando che l’inverno arriva rapidamente sull’Appennino. Aldilà delle tendopoli, per loro natura provvisorie, quattro sono le soluzioni possibili: l’alloggio in strutture alberghiere spesato dallo stato; i container, utilizzati l’ultima volta per il terremoto del 1997 in Umbria; i Moduli abitativi provvisori (Map) ovvero piccole case di legno ad un piano; i Complessi abitativi sismicamente ecocompatibili (Case), veri e propri edifici di tre-quattro piani poggiati su ampie piastre anti-sismiche.

I Map e le Case sono stati utilizzati estensivamente a L’Aquila, tanto che a dicembre 2009 – poco dopo la chiusura delle ultime tendopoli – ospitavano rispettivamente circa 7.000 e 17.000 sfollati, mentre gli altri erano alloggiati in strutture alberghiere, oppure erano in affitto finanziati tramite i Contributi di autonoma sistemazione (Cas) fino a 600 mensili. Considerando il numero attuale di sfollati, inferiore a 3.000, governo e sindaci si stanno orientando verso i Map e l’utilizzo di alberghi e residence per chiudere entro pochi mesi le tendopoli, mentre l’ordinanza della Protezione civile dello scorso 26 agosto ha già istituito Cas mensili fino a 600 euro.

Altra attività in corso consiste nella verifica dell’agibilità delle strutture scolastiche, per capire quali possono essere utilizzate e quali soluzioni trovare per quelle inagibili. La possibilità di mandare i propri figli a scuola è un elemento fondamentale nella decisione da parte delle famiglie se abbandonare definitivamente le zone terremotate, oppure se resistere al lungo periodo di ripresa dall’emergenza, nei Map piuttosto che negli alberghi.

A L’Aquila furono realizzati una serie di Moduli ad uso scolastico provvisorio (Musp), facendo sì che a settembre 2009 tornasse nelle scuole il 99% degli studenti dei comuni del “cratere” – il territorio che ha ricevuto il maggior danno e a cui si applicano le misure di risposta e ripresa dalla crisi – e questa soluzione è allo studio anche per l’emergenza odierna.

Altre misure adottate riguardano gli aspetti economici, altrettanto importanti per evitare lo spopolamento delle zone colpite dal terremoto: nei 16 comuni del “cratere”, dal 25 agosto è stato sospeso il pagamento dei mutui e delle bollette relative agli edifici distrutti o inagibili, e delle tasse statali – misura quest’ultima che a L’Aquila è durata due anni.

Ricostruzione: sicurezza, identità e comunità
Sebbene pochi giorni siano passati dal sisma e dal lutto, è importante pensare subito alla strada per la ricostruzione e all’idea, condivisa dal livello nazionale a quello locale, di come dovranno essere i centri abitati ricostruiti nelle zone terremotate. Dal punto di vista della sicurezza, è imperativo ricostruire gli edifici secondo i più alti standard anti-sismici per prevenire lutti e danni in caso di ulteriori terremoti, come fatto a Norcia dopo il sisma del 1997.

Dal punto di vista sociale e identitario, il principio “dov’era e com’era” per gli edifici storici, al fine di ricostruire rispettando l’impianto urbano pre-sisma, è oggi richiesto da più parti per Amatrice e gli altri borghi antichi – come fu chiesto e ottenuto a L’Aquila per il centro cittadino.

Dal punto di vista psicologico ed emotivo, tutte le suddette misure sono assolutamente necessarie – primum vivere – ma forse non sufficienti senza idee, simboli e attività che tengano vivo quel tessuto di relazioni umane che rende un paese o una città diversi da un cantiere e da un presepe – che li rende una comunità.

Alessandro Marrone è responsabile di ricerca del Programma sicurezza e difesa dello IAI (Twitter @Alessandro__Ma).

lunedì 22 agosto 2016

Le Banche: un grande Mistero

Economia
Ue, lo strano caso delle crisi bancarie italiane
Mario La Torre
28/07/2016
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In Europa il ‘nodo banche’ continua a preoccupare e confondere. In ragione dell’assetto istituzionale dell’Unione monetaria, tutte le decisioni prese sulle crisi bancarie sono state coordinate tra paesi membri e competenti autorità europee; la ratio è stata quella di assicurare trattamenti ‘concorrenziali’ nella gestione delle crisi bancarie, per non discriminare tra banche e tra paesi. Il principio alla base - quello degli aiuti di Stato - sancisce che, nell’Unione europea (Ue), la libera concorrenza e la circolazione di beni e servizi non può essere distorta da interventi statali che tendano a favorire specifici operatori o settori industriali. Dunque, anche le banche devono sottostare a questo principio e, se in difficoltà, possono essere aiutate con fondi pubblici solo in casi eccezionali.

Condizioni del bail-in
Il recente bail-in aggiunge un ulteriore elemento: il dissesto di una banca non deve gravare sui cittadini se non dopo aver chiamato in causa i privati che hanno rapporti con la banca stessa. Con l’’internalizzazione delle perdite’ il ricorso agli aiuti di Stato per le crisi bancarie, già soggetto ad una verifica del ‘disturbo di concorrenza’, diventa soluzione residuale rispetto all’utilizzo dei fondi dei privati coinvolti nel dissesto bancario.

La prima questione che si impone, quindi, è quella di definire il perimetro dei soggetti che, avendo rapporti con la banca, sono chiamati a rispondere delle perdite. Il bail-inestende tale perimetro dai classici azionisti ad altre tipologie di creditori, principalmente sottoscrittori di obbligazioni ‘subordinate’. Questa scelta dà per scontato che gli obbligazionisti abbiano piena consapevolezza del maggior rischio che assumono e ricevano rendimenti coerenti con tale rischio. Quanto avvenuto nei casi delle quattro banche italiane – Banca Marche, Banca popolare dell’Emilia Romagna (Bper), Cassa di risparmio di Ferrara, CariChieti – ha fatto emergere con evidenza come tali condizioni non fossero affatto rispettate.

Crediti deteriorati e aiuti di Stato
In questo scenario si innesta il tema attuale della gestione dei non performing loans(Npl), ovvero dei crediti deteriorati che le banche hanno nei propri bilanci; policy makerse operatori si preoccupano di evitare possibili nuove crisi bancarie ripulendo i bilanci delle banche più esposte. Le soluzioni percorribili potrebbero impattare ancora una volta su tutti, clienti bancari e non, determinando proprio quella esternalizzazione delle perdite che si vorrebbe evitare.

In tale prospettiva, la visione dell’Italia è avanzata, rispetto a quella di altri paesi Ue. Per la gestione dei Npl, l’Italia chiede, ancora una volta, alla Commissione europea il via libera a forme di sostegno più aderenti all’eccezionalità delle circostanze; in sostanza: maggiore apertura nel ricorso agli aiuti di Stato. La sentenza della Corte di giustizia dell’Ue del 19 luglio scorso, che ribadisce la legittimità del bail-in e conferma il ricorso agli aiuti di Stato subordinatamente ai fondi privati, non agevola una soluzione in tal senso. Determinata ancora una volta da una negoziazione one-to-one tra Roma e Bruxelles, qualunque decisione confermerà il rischio che, nel prossimo futuro, altre trattative, con altri Stati membri, possano trovare soluzioni o equilibri differenti. Prima ancora dei contenuti di risoluzione delle crisi, emerge una esigenza definire processi e criteri interpretativi del bail-in che minimizzino il rischio di fine tuning distorsivi in sede di singole negoziazioni.

Esiste, poi, un ben più grave tema di economia sostanziale. L’Europa rincorre disperatamente crescita sostenibile, stabilità finanziaria e coesione sociale. È palese che le regole di vigilanza, e quelle di risoluzione delle crisi bancarie, sono state costruite pensando unicamente alla stabilità finanziaria.

Conseguenze all’orizzonte
L’Ue ammette il ricorso agli aiuti di Stato solo subordinatamente ai fondi privati per evitare comportamenti di azzardo morale da parte delle banche: c’è da chiedersi quanto azzardo morale possa nascondere il business dei Npl, che si moltiplicherà nei prossimi mesi a seguito delle operazioni di pulizia dei bilanci bancari e del proliferare di bad bankse veicoli da cartolarizzazione.

L’Ue ammette aiuti di Stato solo in casi eccezionali, ovvero quando sia minacciata la stabilità finanziaria. C’è da chiedersi quanta instabilità finanziaria potrà derivare dal coinvolgimento degli obbligazionisti inconsapevoli nei dissesti bancari; la perdita di fiducia dei clienti si tradurrà facilmente in minore raccolta per le banche.

L’Ue tenta quotidianamente nuove politiche per la crescita sostenibile; c’è da chiedersi quanta crescita potremo avere con banche senza Npl, ma anche senza raccolta.

L’Ue promuove politiche di coesione sociale ed inclusione finanziaria; c’è da chiedersi quanta inclusione finanziaria stimolerà il coinvolgimento dei creditori nella gestione delle crisi delle banche.

Dobbiamo operare affinché le misure che l’Italia sta negoziando in questi giorni per il Monte dei Paschi, e che potrà trovarsi a negoziare in futuro per altre banche, trovino una Commissione in grado di mettere a sistema tutte le variabili in gioco. Non si tratta di salvare una banca italiana in un modo meno rigoroso rispetto ad una tedesca; né di incentivare le banche ad avere comportamenti opportunistici sulla base di aiuti pubblici assicurati indiscriminatamente. Si tratta di comprendere che ogni soluzione – se non calibrata opportunamente – può portare un effetto contrario a quello sperato. Si tratta di trovare i giusti equilibri tra aiuti pubblici e fondi privati anche alla luce degli effetti macroeconomici, di inclusione finanziaria e sociale. Ma questo lo si capisce solo se si alza lo sguardo oltre gli angusti confini dei tecnicismi regolamentari.

Mario La Torre è ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari all’Università La Sapienza di Roma