Traduzione

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

L'UNUCI per l'Umbria

Il Volume "La Divisione "Perugia" Dalla Tragedia all'Oblio" è disponibile in tutte le librerie. ISBN 886134305-8, Roma, 2010, Euro 20,00 pag. 329.



Ordini: ordini@nuovacultura.it, http://www.nuovacultura.it/ Collana storia in laboratorio; per ordini diretti risorgimento23@libero.it; per info:ricerca23@libero.it; per entrare in contatto con gli autori: massimo.coltrinari@libero.it



Ricordare i nostri Caduti

Ricordare i nostri Caduti
Per acquistare il volume, cliccare sulla foto per il sito della Casa Editrice e seguire il percorso: Pubblica con noi-Collame scientifiche/ Collana Storia in laboratorio/ vai alla schede/ pag.1 e pag. 2

Cerca nel blog

martedì 31 agosto 2021

Luci ed Ombre del Poeta Soldato

 


Maria Luisa Suprani Querzoli

Durante la Prima Guerra Mondiale le figure degli intellettuali rivestirono un ruolo essenziale nella comunicazione. Il più noto di essi coniò addirittura parte del lessico che rimane tuttora presente nel linguaggio: il termine ‘velivolo’ o la denominazione ‘Battaglia del Solstizio’, ad esempio, si debbono al Vate. Egli non si fece scudo della propria penna ma partecipò in prima persona alla guerra, impegnandosi in imprese anche rischiose (il Volo su Vienna) senza paura di perdervi la vita.

Si può parlare nel suo caso di ‘coraggio’ o forse sarebbe più opportuno riferirsi al concetto di  ‘temerarietà’ in obbedienza ad un gusto estetico capace di richiedere totale identificazione fra ideali professati ed esistenza?

D’Annunzio era immerso profondamente nel clima bellico in cui, forte della sua cultura notevolissima dei classici, poteva sperimentare dal vivo le dinamiche proprie della ferinità che si sprigionano dal conflitto. Ne era consapevole e non ne faceva mistero:

 

Ricordo una disputa alla mensa di Comando a Vi­cenza – Villa Camerini – (Cadorna non vi parteci­pava) quando un ufficiale, pensoso di problemi osò parlare di guerra e di pace a proposito del ro­manzo di Tolstoi. Il D’An­nunzio reagì con violenza – fors’anche per un istintivo timore di confronti coll’ombra del grande «barbaro». Reagì pallido e iroso. Non so se nel suo sdegno, come spesso av­veniva in lui, non si confondesse a una reale ma­nifestazione di sentimenti autentici, una certa vo­luta drammaticità dell’attore – e quale attore! – ben co­sciente della scena su cui recitava. Ma ciò che di lui in quel momento mi parve schietto è la confessione di ciò che gli appariva essenziale nel­le supreme finalità del nostro intervento. Non ba­stavano Trento e Trieste per giustificarlo. Non era ragione sufficiente l’antico con­flitto contro l’Au­stria reazionaria. L’Italia aveva bi­sogno di una prova esaltatrice e rinnovatrice – di un «bagno di sangue».

«L’Italia ha bisogno di un lavacro per purificarsi dalle sozzure, dalle pusillanimità, dalla vigliac­cheria di seco­li» - insisteva - «è necessaria una ecatombe colossale per rinvigorirla, per farne una ‘unità d’acciaio’. Guai ai pacifici! È necessario che gli italiani siano condotti dal­l’esasperazione a nu­trirsi delle cervella del proprio ne­mico» (sic).[1]

 

L’esperienza bellica incide profondamente nella sfera morale di un Paese. La coesione che il giovane Regno d’Italia guadagnò con la Grande Guerra gettò le basi sostanziali di un concetto di ‘Nazione’ presente nelle menti ancora di pochi. Ciò non toglie che la pars destruens richieda la pietas necessaria di fronte al sacrificio della vita della gioventù combattente, anche avversaria. Charle Montague afferma che la furia (e non il valore) è propria di chi non combatte: tale osservazione parrebbe pertinente alla figura del Poeta Soldato, impegnato più in senso estetico che propriamente militare. La conferma a ciò traspare dalle parole dello stesso D’Annunzio:

 

Dovetti confessare al Poeta a che punto i suoi amici soffris­sero nel vederlo ad ogni istante rischiare la propria vita: che non volasse più, per piacere! Che si riposasse fi­nalmente, aveva dato al suo paese tutto quello che i mi­gliori cittadini potevano dare alla patria, la sua anima e il suo spirito, la sua volontà, la sua energia, il suo sangue, la sua vita quasi … «Ma non la propria vita!» esclamò allo­ra. «Come potete voi, che dite di essere mio amico, non de­siderare una morte in combattimento, in cielo? A quale vecchiaia mi volete destinare? A quella di un uomo di let­tere in mezziguanti che scriverà opere, seduto come un travet [figura di ‘colletto bianco’ schiavo del dovere] alla sua scrivania? Oh, no! Ho assaggiato troppo la vita teme­raria, la vita sublime dello spazio e del vento, ho troppo goduto del pericolo, ho a oggi troppo bisogno di tentare, di osare! Amo con passione il volo. Vorreste da me che con­ducessi la vita di un comandante gottoso che firma carte? Mai mi sento più felice che lassù, lontano da tutte le po­vertà e i languori umani … E poi, se lo si può confes­sare, adoro la guerra. […] Non fosse per il sangue altrui che gronda, sarei tentato di aver paura della fine stessa della guer­ra».[2]

 

Il terribile amore per la guerra[3] che pervadeva il Poeta si arresta, umanamente, di fronte al sangue versato.

Le forze potentissime che si sprigionano dalle dinamiche del conflitto costituiscono invece per il Militare non un elemento di fascino a cui soggiacere bensì un fattore psicologico essenziale da gestire efficacemente: solo la consapevolezza del Dovere permette il distacco necessario al raggiungimento di un’affermazione indirizzata al disegno di nuovi sofferti equilibri.

L’estetica del pensiero strategico risponde a criteri altri da quelli dell’edonismo.

Gabriele D’Annunzio rimane un grande Poeta ma non fu un Soldato.



[1] T. Gallarati Scotti, Idee e orientamenti politici e religiosi al Co­mando Supremo: appunti e ricordi, Roma: Edizioni Cinque Lune, 1963, p.7 (in M.L. Suprani Querzoli, La Grande Guerra di Francesco Baracca, Forlì: CartaCanta, 2020, pp. 159 – 160).

[2][2] M. Boulenger, Chez D’Annunzio - a cura di A. Pietrogiaco­mi, prefazione di G. B. Guerri - Rimini: Odoya, 2018, pp. 40 – 41.

[3] Il riferimento è all’omonima opera di James Hillman.

venerdì 20 agosto 2021

Franesco Baracca. Dalla Cavalleria all'Aviazione

 

Maria Luisa Suprani Querzoli


 

Il nove maggio del 1888 nasceva a Lugo di Romagna Francesco Baracca, futuro Asso dell’Aviazione militare italiana.

La vita di paese nell’Ottocento era scandita dai ritmi della natura e ogni evento capace di interrompere la prevedibilità propria di quell’ordine veniva accolto con grande meraviglia e conservato dall’eco dei ricordi. Proprio a Lugo nel 1878 un aeronauta aveva sfidato la forza di gravità innalzandosi in cielo sul suo globo aerostatico (salvo poi precipitare nelle campagne circostanti)[1]. Nel 1904 in occasione della festa del Re Vittorio Emanuele III un’imponente rivista militare a cui parteciparono ben ottomila uomini[2] coinvolse la cittadina romagnola: Francesco Baracca, sedicenne, ebbe modo di assistervi e probabilmente ne conservò un’impressione tale da indirizzare le sue scelte future, incurante delle reazioni del padre e dello zio militare[3] non proprio concordi con il suo intento già ben radicato. Gli studi non riuscirono a diminuire la sua passione per il movimento: alla sua predilezione per cavalli si affiancò l’interesse per le moto.

Conclusi gli studi alla Scuola Militare di Modena, proseguì la formazione alla Scuola d‘applicazione di Cavalleria di Pinerolo, culla della tradizione sabauda, dove l’ambiente dalle frequentazioni internazionali accrebbe di molto le sue prospettive. La cittadina piemontese conservava in quegli anni viva memoria della figura brillante di Federico Caprilli, scomparso prematuramente in circostanze mai del tutto chiarite. Oltre che Ufficiale di Cavalleria capace di sovvertire rapidamente con il suo Sistema Naturale di Equitazione  i canoni obsoleti ancora in auge, Caprilli fu addentro all’ambiente che vide la costituzione dell’Automobile Club d’Italia e la fondazione della FIAT: in lui, la vocazione al movimento propria della Cavalleria si rivolgeva con autentico interesse agli sviluppi tecnologici che avrebbero informato il nuovo secolo appena agli albori.

Francesco Baracca seppe farsi portatore di tale eredità impegnativa.

Nel 1911 a Tor di Quinto, durante un’esercitazione a cavallo, si trovò ad assistere a un incidente di volo che si rivelò letale per Raimondo Marra, pilota impegnato nella prova dei sei giri del Tevere pressoché suo coetaneo: la conquista dell’aria, a pochi anni dal fatidico 1903 (anno legato all’invenzione dei fratelli Wright) iniziava a suscitare un interesse e a esercitare un fascino difficilmente descrivibile. Gli inevitabili incidenti costituivano quasi nell’immaginario collettivo il sacrificio necessario per compensare la conquista del cielo, pregna di fortissime valenze simboliche, prossime al mito. Anzi, il pericolo accresceva il fascino: «[a] Mirafiori, quando arrivammo, si vedeva già qualche aereo per il cielo. Noi si stava a guardare a bocca aperta e ci sembrava un miracolo. Quei pochi piloti che vi erano, a noi allievi, non sembravano degli uomini ma dei semidei. Spesso si sentiva parlare di disgrazie mortali, ma ciò aumentava per noi di più il loro prestigio»[4].

L’interesse nei riguardi del volo trovava però un argine tenace nella diffidenza; l’impiego dei velivoli per scopi militari venne poi decisamente sottovalutato nonostante la voce di Giulio Douhet si levasse alta, a sostegno delle prospettive future (che si delineavano già distinte al suo sguardo) dell’arma aerea.

Francesco Baracca, conquistato dalle potenzialità che intravvedeva nella sua scelta, nel 1912 si recò a Parigi (tacendone alla madre, preoccupata circa tale eventualità) per conseguire il brevetto: «[q]ui a Reims volare è la cosa più normale di questo mondo ed ho avuto per questo un senso di sollievo poiché in Italia si considerano gli aviatori ancora come dei pazzi o almeno dei temerari»[5], confida al padre.

L’ingresso in guerra dell’Italia avvenne fra molteplici criticità di ordine diverso che non mancarono di riversarsi anche sull’ l’Aviazione, allora ai primordi. L’urgenza dettata dalle necessità ridusse però i tempi necessari all’assimilazione delle novità tecnologiche: «[v]i sono in paesi qui vicino moltissimi reggimenti di cavalleria e vengono spesso miei colleghi a vedere gli apparecchi e mi invidiano perché io posso fare azioni utili col mio apparecchio mentre per ora i regg. di cav. sono qua tutti inutilizzati»[6] scrive Baracca a pochi mesi dall’inizio del conflitto.

Le parole dell’allora Tenente Baracca colgono il momento in cui l’Aviazione subentra alla Cavalleria e, soprattutto, in cui la diffidenza si muta in quella considerazione generale nei riguardi del volo che di lì a breve avrebbe dato luogo ad una trasformazione irreversibile, non solo in ambito bellico.



[1] Le informazioni riguardanti l’ascensione di Raffaele Rossini sono state tratte dalla mostra I Lughesi e il sogno del volo (Biblioteca ‘Trisi’ di Lugo, 4 maggio – 15 giugno 2019).

[2] Cfr. E. Iezzi, Francesco Baracca. Luci e ombre di un grande Italiano, Lugo: Walberti, 2008, p. 12.

[3] Cfr. Lettera di Gaetano Chetoni a Francesco Baracca, Catanzaro, 24 luglio 1907 in Archivio Storico dell’Aeronautica Militare, archivio di persona Francesco Baracca: lettera 2.

[4] G. Aliperta, Memorie di volo e di guerra, Bari: Arti Grafiche Favia, 1976, p. 12.

[5] Lettera di Francesco Baracca al padre, Reims, 5 maggio 1912, Museo del Risorgimento di Milano, raccolte storiche: cartella n. 36, n. reg. gen. 31941.

[6] Lettera di Francesco Baracca alla madre, Campoformido, 28 agosto 1915, Biblioteca ‘Trisi’ di Lugo, fondo Baracca, Corrispondenza: faldone I, fascicolo B, documento 19.

martedì 10 agosto 2021

UN protagonista della Prima Guerra Mondiale

 


Maria Luisa Suprani Querzoli

Coraggio e umanità: Ettore Viola

 

Una breve riflessione sul pensiero del Fondatore dell’Istituto Nazionale del Nastro Azzurro permetterà di comprendere come il Valore Militare sia di matrice prevalentemente morale. Risulta superfluo sottolineare il coraggio e la valentia del giovane Ettore Viola[1], Medaglia d’Oro, ma, per dissipare il sospetto diffuso che confonde il concetto di ‘valore’ con quello di ‘bellicosità ferina’, converrà riportare alcuni episodi narrati dallo stesso Protagonista dove il rispetto per l’Uomo e la stima per l’Avversario denotano una visione della vita che, anche nei suoi aspetti più critici,  ha in sé i semi potenziali della pace.

 

In una notte ugualmente fredda e triste, quasi duemila anni prima, era nato il Redentore, ma l’umanità continuava a rimanere sorda al suo insegnamento.

Gli austriaci vollero darci prova di vedere ancora in noi, nonostante tutto, uomini della loro stessa fede religiosa, partecipando a un singolare sciopero d’armi, che durò fino al giorno dopo, e uscendo finanche dalle trincee per abbracciare, in qualche caso, coloro che avrebbero poi continuato ad essere loro nemici.

I superiori comandi presero tutte le misure per evitare il ripetersi di scene così significative ed anche così squisitamente umane. Non so se agli effetti della disciplina militare e degli obiettivi di guerra che bisognava  raggiungere, essi fecero bene; so soltanto che se gli uomini che presiedono alla sorte delle nazioni si nutrissero un po’ dei sentimenti che furono comuni ai combattenti italiani e austriaci nel primo Natale di guerra, la pace – grande mito – regnerebbe forse sulla terra.[2]

 

Il Natale di guerra è un topos legato, nella sua intrinseca contraddizione, agli aspetti emotivi più profondi. La stima del nemico continua però ad essere ribadita anche nel combattimento più aspro, dove la forza morale che sostiene le ondate dell’avversario suscita comunque la solidarietà del Soldato:

 

Gli austriaci cadevano a diecine, mietuti dall’inesorabile falce della morte; e nonostante il terribile destino, continuavano a venire avanti, ondata dietro ondata.

Benché con l’animo in sospeso per la sorte dei nostri, osservando dalla Rocca non si poteva non simpatizzare per quelle valorose truppe nemiche che davano una così fulgida prova di sprezzo della vita.[3]

 

La trincea, al termine dei combattimenti, verrà presa dagli Italiani.

Le riflessioni di Ettore Viola e il valore di cui diede prova dimostrano che nel fenomeno bellico può essere vita una manifestazione estrema delle dinamiche che presiedono all’ordine cosmico. Gli equilibri raggiunti molto devono al Valore Militare che connotò le gesta dei Soldati: ricordare le fondamenta di tale equilibrio, di per sé instabile, permette di continuare ad alimentarlo.

 

 

 



[1] Ettore Viola di Ca’ Tasson (Fornoli, 21 aprile 1894 – Roma, 25 febbraio 1986).

[2] E. Viola, Vita di guerra, Roma: Danesi Editore, 1952, p. 50.

[3] Ivi, p. 51.