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martedì 30 dicembre 2008

La caduta di un regime

Il crollo di un castello di carte. Perché gli esponenti fascisti non salvarono il Fascimo

L’origine della Guerra di Liberazione, come causa remota, è da ricercarsi nel sostanziale fallimento del fascismo sia come movimento che come regime, fallimento che venne a maturazione nella primavera del 1943. Alla luce di quello che poi accadde e che fu uno dei temi della Guerra di Liberazione, ovvero il “tradimento” da parte Italiana della Alleanza con la Germania, il ritorno del fascismo nelle forme e nella attività che diedero vita alla repubblica Sociale Italiana, è interessante e necessario capire il perché il fascisti, che avevano tutte le leve del potere e controllavano tutto lo Stato non difesero Mussolini ed il loro regime nel luglio 1943.

Occorre prendere atto che il fascismo, in tutte le sue manifestazioni, nella primavera ed ancor più all’inizio dell’estate 1943, aveva ormai raggiunto il punto più basso in termini di consenso e di fiducia presso il popolo italiano e nella considerazione internazionale, sia fra i nemici che fra gli alleati.
Aveva fallito tutti i suoi obbiettivi di guerra e la serie ininterrotta di sconfitte, oltre a provocare la perdita di prestigio internazionale, aveva anche alimentato la disistima dell’Alleato germanico e degli alleati minori.
Con l’invasione della Sicilia la guerra era arrivata in casa e nulla sembrava potesse arrestare tanto sfacelo.
Secondo Ruggero Zangrandi, “agli inizi del ’43 il fascismo era spacciato, in conseguenza di tre fattori per buona parte connessi.
Il primo ( che si deve riconoscere come determinante) fu la disfatta militare: la quale completò l’opera di discredito e di corrosione già compiuta dalla guerra, rilevando anche a tanti italiani che, illusi o ingannati, non avevano capito prima, la vera essenza del fascismo.
L’altro fattore che indicava prossimo il crollo del regime era, appunto, costituito dall’insofferenza e dall’opposizione popolari, pressoché generali ormai, non più dissimulate e ogni giorno più pressanti.
C’era infine la circostanza, forse più di tutte significativa, che non esistevano più, praticamente, fascisti. Anche se i vari gruppi di congiurati non se ne erano accorti e, anzi, misurassero i propri sforzi in vista di una temibile resistenza. In realtà, fatta eccezione per gli elementi troppo compromessi, qualche raro fanatico e una minoranza di giovanissimi e di combattenti che, nel clima di esaltazione e di disorientamento provocato dalla guerra, non riuscivano aprendere coscienza, non vi era, in campo fascista, neppure tra i massimi gerarchi, nessuno che avesse intenzione e volontà di difendere il regime. Il vecchio regime aveva, dunque, cessato di esistere di fatto già nella primavera del 1943; e coloro che ne rimossero il cadavere, con qualche anticipo rispetto alle ormai indifferibili esequie, ma con troppo ritardo per rendere l’operazione utile al popolo italiano, non ebbero altri meriti se non quelli che si sogliono riconoscere ai becchini. La loro azione, d’altro canto, fu esclusivamente ispirata a considerazioni di convenienza personale. Le forze che si rilevarono determinanti ebbero come unico stimoloquello di trovare una via di scampo al disastro in cui, insieme al fascismo, s trovarono coinvolte”[1]
E’ in questo clima di ampia sfiducia verso il fascismo che vanno cercate le cause e le motivazioni che, all’indomani della proclamazione dell’armistizio, saranno alla base delle scelte degli Italiani che daranno vita ai “fronti” della Guerra di Liberazione.

Tutti gli esponenti fascisti erano consci che da soli non avrebbero avuto la forza di salvare la situazione. E saranno proprio loro che provocheranno la caduta e l’arresto di Mussolini. L’occasione fu la seduta del Gran Cosiglio del Fascismo con la messa ai voti del cosiddetto “Ordine del Giorno Grandi”, con il quale si riaffidavano al Sovrano Vittorio Emanuele III tutte le sue prerogative; con ciò,in pratica, si esautorava Mussolini e si decretava la fine del regime fascista. Un passo grave, che poneva fine ad una ventennale dittatura di un solo partito, passo aveva motivazioni e ragioni complesse, ma che fu determinato, come elemento scatente la decisione, dall’esito infelice dell’incontro di Feltre del 19 luglio 1943 tra Mussolini e Hitler. In questo incontro l’alleato germanico, con sprezzante alterigia, non aveva concesso nulla a un Mussolini ormai impotente ed esausto. La delegazione italiana era andata a Feltre nella speranza che Mussolini, con il suo prestigio e la sua autorità, riuscisse di trovare il modo per strappare alla alleata Germania una sorta di consenso per uscire dignitosamente dalla guerra; queste speranze andarono deluse; il Duce del Fascismo ebbe un atteggiamento remissivo e succube, non riuscì nemmeno ad accennare la questione ad un Hitler deciso e sicuro di se, e Mussolini ne uscì con una netta sconfitta, ponendo le premesse reali della sua destituzione.
Il bombardamento dello scalo di San Lorenzo a Roma, il 19 luglio 1943 in contemporanea con l’incontor di Feltre, da parte Alleata, in cui si violava in modo quasi irrisorio le difese antiaere, mise a nudo ancor auna volta tutta l’impotenza dell’Italia, e fu visto come il preludio ad altri lutti e rovine, se non si fosse prese decisioni drastiche.


I quarantacinque giorni
Il 26 Luglio, dopo un colloquio a Villa Savoia con il Re, Mussolini fu arrestato e il governo affidato al Maresciallo Badoglio. Questi si affrettò a proclamare che la guerra sarebbe continuata affianco alla Germania, ma in pochi , compresi i tedeschi erano orientati a crederlo. Infatti iniziarono da più parti contatti con gli Alleati per negoziare l’uscita dell’Italia dalla guerra. Nei giorni che vanno dal 27 al 30 luglio, Gli Alleati si aspettavano una prima mossa da parte del Governo Badoglio, tesa a stabilire un primo contatto per avviare trattative per arrivare al meno a far cessare le ostilità. Questa era opinione diffusa, ed anche i Tedeschi, sopresi dalla caduta del Duce in modo cos’ repentino, erano sul chi va là in merito alle vicende italiane ed anche loro avevano ben chiaro che la mossa successiva di Roma sarebbe stata una iniziativa, nonostante tutte le manifestazioni di volontà in termini di “la guerra continua”, volta ad uscire dalla guerra.[2] Anglo-americani e Tedeschi, quindi, si erano messi in misura tale di essere pronti alla richiesta italiana di uscire dalla guerra, ed avevano entrabi le idee chiare sul come affrontare questo evento. Chi invece non aveva le idee chiare ed era molto lontano dalla realtà era il Governo Badoglio ed il suo capo. Ci si era posti il problema che oramai la situazione imponeva di uscire dalla guerra. Il primo passo era stato fatto, ovvero l’allontanamento di Mussolini, che la guerra aveva voluto. Ora si tratta di attuare il come uscirne, con il meno danno possibile.
Le ipotesi erano le seguenti: a) con una immediata richiesta di resa agli angloamericani e contemporanea denuncia della Alleanza con al germania; b) guadagnare qulahce settimana al fine di intavolare serie e dignitose trattative con gli anglo americani, e nelle stesso tempo intavolare serie e risolutive trattative con i tedeschi, venendo con loro ad una franca e defintiva spiegazione sulle reali condizioni dell’Italia non più in grado di condurre la guera. In entrambi i casi alto era il rischio di venire a combattere su due fronti, quello aperto con gli angloamericani e quello interno che sarebbe stato aperto dai tedeschi. Un fattore era determinante: occorrevano decisioni fulminee, precise ed efficaci, per non dare la possibilità ai nostri avversari di preparare le contromosse alla azione italiana.
Questo non fu attuato e si percosero strade, ed anche sentieri, così tortuosi che alla fine risucimmo screditati sia agli occhi dei Tedeschi[3], sia agli occhi degli Angloamericani.
In breve ripercorriamo le tappe di queste trattative, i cui protagonisti da una parte, quella italiana, furono il Re Vittorio Emanale III, Badoglio, Ambrosio, Capo dello Stato Maggiore generale ed Acquarone, ministro della Real Casa, e personaggi minori che a vario titolo entrarono nella vicenda, dall’altra gli Angloamericani. Queste trattative passano attraverso fasi, che sinteticamente possiamo individuare in un momento in cui Badoglio spervalutò la situazone italiana, avviando trattative da pari a apari e dettando anche condizioni, una seconda fase in cui dovette constatare che i margini di discussione erano quasi nulli ed una terza in cui si accettarono tutte le condizioni senza rendersi conto delle conseguenze immediate e reali. Tutto questo, mentre continuavamo a manifestare professioni di lealtà e cameratismo verso i tedeschi, nella speranza che non sospettassero che si stava trattando segretamente con gli Alleati.
Persa l’occasione di agire immediatamente, e contemporaneamente scarata senza un reale motivo la possibilità di utilizzare emissari accreditati presso gli Alleati e di prestigio come Dino Grandi[4] e il Maresciallo Caviglia, noto antifascista, e molto stimato per i suoi trascorsi militari presso i Comandi Alleati. Fu scarata anche la possibilità di utilizzare le ambiascuate statunitensi e britannica presso il Vaticano perche non si aveva fiducia nei Codici diplomatici che queste ambasciate utilizzavano e che si riteneva fossero stati penetrati dai tedeschi. Vi furono nel contempo anche altre iniziative minori, che si sono perse nell’blio del tempo. Vi era in atto l’iniziativa dell’industriale Alberto Pirelli, che fu mandato in Svizzera ia primi di agosto, ma la sua missione non sortì effetti. Si disse che Badoglio tentò anche la carta della Massoneria, per aver autorizzato l’emissione di passaporti di comomodo, elargizione di somme ed altro, con la collaborazione del ministro della guerra Sorice e con una parte attiva del figlio di Badoglio, Mario, ma anche questo canale su perse nelle nebbie degli avvenimenti successivi. Vi era anche il tentativo del banchiere Giorgio Schiff-Gorgini[5], ma anche questo si perse nel nulla. Vi era poi il contatto stabilito a seguito della cattura di un nostro agente del SIM da parte inglese a Bendasi; gli inglesi erano disposti a mandare in cifrario e aprire questo canale, ma anche questa opportunità fu fatta cadere.
Questi tentativi che possiamo definire minori contribuirono, con il passare dei girni, ad elevare la soglia di diffidenza da parte Alleata, che di giorni in giorni divennero sempre più guardinghi per timore di essere raggirati dagli Italiani.
Si preferì, quindi, utilizzare diplomatici di secnda schiera, assolutamente sconosciuti agli occhi degli Alleati, e sostanzialemente privi di quel carisma e profilo internazionale che la situazione richiedeva. Queste missioni diplomatiche, come se la situazione fosse normale, già compromesse proprio perché tali, paetivano dal presupposto di trattare da pari a pari con gli Alleati, con l’intento di chiedere aiuti agli Alleati, nella convinzione, del tutto irreale, che era nell’interesse angloamericnao portare l’Italia nel proprio campo e quindi abbreviare la guerra, ovvero gli angloamericani dovevano portare soccorso all’Italia che era in serie difficoltà con i Tedeschi[6]
Le missioni diplomatiche avviate erano quelle el Consigliere di Legazione Blasco D’Ajeta[7] e quella del Console Alberto Berio.
D’Ajeta si doveva presentare all’ambasciatore britannico a Lisbona, sir Ronald Campbell, e presentargli gli intendimenti del governo italiano. A premessa di questi si doveva prospettare 1) l’atteggiamento apparentemente tempreggiaotre della monarchia e del governo Badoglio non doveva essere frainteso dagli Alleati, poiché era determinato dalla pressione tedesca; 2) che tale pressione si concretizzava in una massiccia occupazione militare geermanica[8] 3) che Roma era praticamente minacciata di occupazione, 4) che le condizioni dell’Italia erano disastrose.
D’Ajeta quindi doveva, al fine di attuare lo sganciamento, chiedere l’aiutoangloamericano, in attesa del quale gli angloamericani dovevano sospendere i bombardamenti e porre fine la campagna diffamatoria radiofonica contro il governo Badoglio e l’Italia in genere. In pratica D’Ajetta doveva far comprendere agli anglo americani che l’uscita dell’Italia era nel comune interesse, che se attuata ( secondo le indicazioni italiane) avrebbe grandemente giovato a Londra e Waschington.[9] L’incontor ebbe luogo a Lisbona , il 4 agosto 1943, dalle 11,30 alle 13, ma i risultati furono praticamente nulli.
Il tentativo del Console Berio si tinge dei contorni del romando d’avventure. Berio[10] era latore delle seguenti proposte: 1) i tedeschi erano padroni dell’Italia, eal primo sospetto si sarebbero impadroniti di Roma, facendo prigionieri Re e Badoglio: 2) Gli Alleati dovevano attenuare se non sospendere i bombardamenti, per agevolare la tenuta del fronte interno 3) Gli Alleati dovevano affettuare uno sbarco nella Francia meridionale, nei Balcani onde attirare forze tedesche e alleggerire la pressione sull’Italia. Tutto questo per dare la possibilità al governo italiano di effetture con successo lo sganciamento dai tedeschi e l’uscita dalla guerra. Nel corso delle conversazioni Berio doveva anche chiedere che gli Alleati effettuassero uno sbarco il più possibile a nord di Roma, onde ulteriormente agevolare l’azione italiana.
Queste proposte furono presentate al console britannico aggiunto Watkinson ( il titolare era in ferie) il 5 agosto 1943




Vari furono i tentativi di avviare trattative di armistizio,molte velleitarie, altre maldestre, che in parte insospettirono gli Alleati. Alla fine, in situazioni che daranno la stura a polemiche ancora oggi non sopite, si arrivò alla firma a Cassibile il 3 settembre 1943 del cosiddetto “armistizio corto”. Sulla base di intese non controllate e sensazioni il Governo a Roma ritenne che la proclamazione dell’armistizio dovesse avvenire non prima del 12 settembre. In realtà gli Alleati lo fecero coincidere con lo sbarco a Salerno, programmato per il 9 settembre, nella convizione che la resa delle truppe italiane avrebbe favorito lo sbarco, come in effetti avvenne. Proclamato alle 18,30 dell’8 settembre da Algeri e alle 19,45 da Radio Roma con un messaggio del maresciallo Badoglio, l’armistizio aprì una delle pagie più controverse e buie della nostra storia recente.
La non reazione per oltre 48 ore da parte delle Forze Armate italiane, combinata dalla pronta e decisa azione tedesca, fece sì che tutto l’apparato statale italiano crollò immantinente. Il Re ed il Governo si trasferono, via Pescara, a Brindisi, aprendo una crisi costituzionale gravissima. Il fatto grave da parte del Sovrano e del Governo non fu che lasciarono la capitale e si trasferirono in altra parte del territorio dello Stato al sicuro della minaccia tedesca; il fatto grave fu che per oltre 48 ore non si diede ordini a chicessia, lasciando nella più totale incertezza Comandi e Ministeri e l’intero apparato statale. Venir meno a questi doveri da parte del Re e da parte del Capo di Governo, in momenti delicati e difficili come quelli armistiziali, è inammissibile e inaccettabile sapeva quello Il motivo di questo atteggiamento?. Viarie le ipotesi

Al di là di ogni considerazione venne per ogni italiano il momento delle scelte. Prima per i soldati, che si trovarono spianate davanti le armi dei tedeschi poi per ogni cittadino italiano fu l’inizio di quella stagione, in cui a fronte di assenza di ogni autorità nazionale, non era possibile non reagire e schierarsi, pena la sopravvivenza.
Per i soldati all’indomani della proclamazione dell’armistizio le scelte erano le seguenti:
. in presenza o in assensa di ordini precisi, lasciare la divisa e cercare di raggiungere le proprie case, sottraendosi alla cattura tedesca; in molti vi riuscirono; altri, furono catturati e internati in Germania.
. resistere, combattendo, ad ogni richiesta di cessione delle armi.
Coloro che si trovarono al Sud in territorio controllato dagli Alleati, ebbero la possibilità o di rimanere alle proprie case, oppure di entrare a far parte della Organizzazione Logistica Alleata, oppure di entrare nelle fila del Regio Esercito, che si andava formando tra mille difficoltà.
Coloro che si trovarono al Nord in territorio controllato dai Tedeschi, ebbero la possibilità di rimanere alle proprie case, ma con maggiori difficoltà in quanto minacciati dalle retate tedesche, dai rastrellamenti, e dalla continua ricerca di mano d’opera forzata. Oppure di entrare nella fila del movimento partigiano sia nelle formazioni di città che in quelle della montagna, sceltà che si cominciò a palesare verso la fine del 1943. Oppure per coloro che vollero essere fedeli alla vecchia alleanza, aderire alla Repubblica Sociale Italiana, entrando nelle fila delle sue Organizzazioni civili e militari.
Sia al nord che al sud vi fu una massa di italiani che cercarono di scegliere il più tardi possibile cercando di superare la situazione contingente; diedero vita all’”attendismo” ovvero che si delineasse un vincitore certo e sicuro per poi fare le proprie scelte. L’attendismo è la mafestazione più di basso profilo della Guerra di Liberazione, frutto della sconfitta e delle necessità materiali che divennero di giorno in giorno sempre più impellenti, nella convizione che erano gli “altri” che dovevano condurre e concludere la guerra.

Per le truppe all’estero la situazione fu ancora più dolorosa. Abbiamo varie categorie, tra i soldati, che operarono diverse scelte, che furono:
Quelli che si sottrassero alla cattura tedesca, e si nascosero e nel prosieguo della loro permanenza all’estero o rimasero sempre nascosti oppure entrarono nelle fila della resistenza locale;
Gli “internati”. ovvero quelli che direttamente o indirettamente caddero in mano ai tedeschi e furono Internati nei campi di concentramento in Germania o in Polonia.
I “combattenti”, ovvero quelli che, senza abbandonare le proprie armi, raggiunsero le formazioni esistenti della Resistenza locale ed iniziarono la lotta al nazifascismo.
I “fortunati”, coloro che riuscirono a rientrare in Italia (sia quella liberata che quella occupata dai tedeschi) usufruendo dei convogli o navi, mandate dal regio Governo o organizzate anche con il consenso dei tedeschi. A questi, con il passare dei mesi, si aggiunsero coloro che, datasi alla macchia in attesa degli eventi, organizzarono attraversate dell’Adriatico o a passare i confini con mezzi di fortuna o utilizzando mezzi della Regia Marina inviati appositamente.
I “fedeli alla vecchia alleanza”, cioè coloro che accettarono le offerte dei tedeschi e passarono, anche in virtù di scelte dovute al caso ed alle circostanze, nei loro ranghi in nome degli ideali fascisti seguendo le motivazioni che a suo tempo portarono alla guerra dell’Asse. Fra questi vi furono anche coloro che, inzialmente “Internati” aderrono alle proposte tedesche e della Repubblica Sociale di entrare nelle loro organizzazioni militari.

Se gli Italiani sono chiamati a scegliere come impegnarsi e come affrontare il presente, appare chiaro che essi sono in situazione subordinata di fronte ad Alleati e a Tedeschi. Sono, in sostanza, esponenti di un Paese sconfitto, che non può accampare, al momento, alcun diritto. Hanno perso totalmente la sovranità del loro territorio. Questa è in mano al Sud agli Anglo-Americani e loro alleati, al Nord alla Germania. Sobo gli Occupatori, che instaurono le loro Amministrazioni le quali saranno, fino alla fine delle ostilità, in varia misura, le padroni assolute e le gerenti della Sovranità su tutto il territorio italiano in senso assoluto
Ogni Italiano o organizzazione o formazione italiana di qualunque tipo è al servizio al Nord come al Sud degli Occupanti, a prescindere da ogni considerazione. L’ultima parola, in ogni problema, circostanza o altro non spetta agli Italiani ma ad Angloamericani a ai Tedeschi. In base alla loro benevolenza o non benevolenza ci sarà spazio di manovra per gli Italiani per la realizzazione dei loro desideri ed interessi.
Occorre tenere sempre presente, quindi, che nella Guerra di Liberazione sia a Nord che a Sud è l’Occupante sia esso Anglo-americano o Tedesco che decide tempi e modi di ogni azione. Non vi sarà spazio per gli Italiani per incidire in questo meccanismo. Ne discende uno dei corollari della Guerra di Liberazione: gli interessi Italiani, qualunque siano, sono e saranno sempre subordinati a quelli dell’Occupante. Sarà solo la benevolenza del medesimo se qualche cosa verrà accordato, ma solo in vista o in virtù di un preciso tornaconto di chi lo concede.
Occorre prendere atto di questo, e sgombare il campo da ogni altra considerazione. E’ tipico anche della storiografia trasformare alcuni aspetti sopra descritti in elementi a noi favorevoli. Il movimento partigiano non ebbe mai la forza di sostituirsi alle Armate Alleate e la sua azione dipese sempre dal sostegno materiale degli Alleati. Il proclama Alexander del novembre 1944 fu un vero e proprio trauma per tutto il movimento partigiano, che fu superato solo per la forza morale ed etica di coloro che avevano scelto di combattere in montagna. Asserire che “furono i partigiani” avincere la guerra, significa non conoscre o non voler riconoscre ciò che realmente accadde in quei anni di guerra. Altre sono le “versioni” che nel corso di questi decenni si sono via via affastellate, a giustificare questo o quello, ma sono versioni di comodo, al servizio delle esigenze del momento e di determinate forze politiche, che nulla hanno a che fare con la realtà della Guerra di Liberazione.
Se sul piano dei rapporti di forza e sul piano strettamente materiale la situazione è quella sopra descritta, ben diversa era quella sul piano morale e politico. Se è pur vero che molti italiani si rifugiarono nell’attendismo, se forze conservatrici come la Chiesa Cattolica, peraltro fortemente compromessa con il Fascismo, furono un freno ad ogni inziativa voltà ad avere una Italia futura diversa da quella passata, è pur vero che la Guerra di Liberazione vi è stata perché alimentata da una tensione morale ed etica senza pari. Si sperava, attraverso l’impegno ed il superamento dell’attendismo e degli interessi personali, in qualcosa di diverso per le future generazioni. Si combatteva e si affrontavano rischi e difficoltà in vista di un domani migliore che non fosse il presente. Si subivano e si sopportavano gli Occupatori, e al Nord che al Sud, nella convizione che presto tutto sarebbe finito e che ci sarebbe stata la possibilità di poter scegliere un modello di vita sociale diverso da quello avuto fino ad allora. Era la spinta ideale del movimento partigiano al Nord che raccolse nelle sue fila uomini di provenienza la più disparata, spesso antagonisti tra loro, come il dopoguerra stara a dimostrae, ma uniti nel combattere il nazifascismo; come i soldati del sud, che superando il “chi to fa fa”, seppero combattere e reagire a tanto disfattismo; come gli Internati in Germania che, cn una semplice firma avrebbero posto fine a tutte le loro sofferenze, ma che resistettero in nome di un qualcosa che sarebbe stato il tessuto connettivo dell’Italia del domani; come coloro che all’estero combatterono per la libertà di altri popoli nella speranza di averla anche in Italia al loro rientro ed infine come coloro che in prigionia aderirono e collaborarono allo sforzo contro il nazifascismo come cooperatori sempre nella speranza che qualcosa dovesse cambiare per il futuro. E’ il patrimonio della Guerra di Liberazione, che subordinata all’Occupante sul piano materiale, vincolata agli interessi altrui, fu scuila e terreno di impegno morale ed etico, un investimento per il futuro, una speranza in un futuro migliore.
Questo approccio alla Guerra di Liberazione, ben può far comprendere come essa sia stata il crogiuolo della nostra storia recente e che in essa siano confluite tutte le componeti della nostra società, dall’estrema destra all’estrema sinistra, che, grazie alla partecipazione di tutti, ha fatto si che l’Italia potesse risalire con brillantezza il baratro in cui era sprofondata a seguito di una guerra malamente condotta e ancor più malamente persa.

Note
[1] Zangradni R., 1943: 25 luglio – 8 settembre, Milano, Feltrinelli editore, 1964, pag. 40.
[2] Scrive Goebels nel suo diaro , all’indomani dell’annuncio dell’Armistizio “9 settembre 1943. Si dalla caduta di Mussolini abbiao sempre pensato ed atteso qusta mossa. Non avremo da fare mutamenti sostanziali nelle nostre misure. Possiamo mettere in motociò che il Fuhre avrebbe voluto fare immediatamente dopo la caduta di Mussolini”.
[3] Rinverdimmo agli occhi tedeschi la fama di “traditori”, ricordando il “giro di valzer” della Prima Guerra Mondiale, quando aderimmo all’Intesa dopo decenni di militanza nella “Triplice”, anche se formalmente l’alleanza era scaduta. I Tedeschi manifesteranno questo loro sentimento di disprezzo con l’insulto “Badoghlio”. Non da meno gli Angloamericani insriranno nel loro vocabolario il bereto “To badogliate” come sinonimo di inganno, superficialità mista a stupidità, mistificazione e quant’altro di ignominioso si può aggiungere nelle relazioni tra esseri umani.
[4] Grandi era stato ambasciatore per otto anni a Londra e vantava soldie amicizie anche nella cerchia più intima di Cherchill; chiese a gran voce e con insistenza di essere incaricato di condurre trattative, ma invano. Lo fu a fine agosto quando ormai tutto era compromesso e la sua missione, per l’evidenza delle cose, non fu mai avviata ma serv’ allo stesso Grandi ed alla sua famiglia di porsi in salvo in Spagna.
[5] Questi ebbe un ruolo primario nel 1914 quanto riuscì a portare a termine la sovvenzione erogata dalla Francia al “Popolo d’Italia”, diretto da Mussolini, per portarlo definitivamente, data la somma di denaro consistente, sulla sponda interventista.
[6] E’ veramente difficile capire questo modo di porre la questione di uscire dalla guerra in quanto l’Europa era dal 1939 sotto occupazione tedesca. Gli Angloamericani dovevano andare a portare soccorso all’Italia ed agli Italiani, non si sa in nome di che cosa o in cambio di chissa che cosa, mentre nulla era stato fatto ed era possibile fare per norvegesi, greci, belgi, cecoslovacchi, danesi, polacchi, russi, jugoslavi, francesi ecc. tutti sotto il gico tedesco e senza nessuna colpa.
[7] D’Ajetta era un uomo legato ad Acquarone, anche per la loro amicizia consolidata. Fu D’Ajetta che introdusse nei circoli esclusivi, che sia Acquarone che D’Ajetta frequentavano e noti per quello che una volta si sarebbe definiti di “doce vita”, Galeazzo Ciano, cosa che fruttò al genero del Duce, oltre al rancore ed all’odio della suocera Rachele, la nota fama di dissolutezza e amoralità. Si evidenzia ancor di più che la scelta del nostro emissario da mandare a trattare un così grande problema come l’uscita dalla guerra, affidata a personaggio di tal fatta, non fu proprio felice.
[8] D’Ajetta era in grado di dare ampie notizie su questo aspetto; certment el’accusa di “traditori” avanzata agli Italiani da parte tedesca in questo segmento ha fondamenti consistenti.
[9] A questa proposta, il commento di Cherchill fu “ Dalla prima all’ultima parola, D’Ajeta non ha mai minimamente alluso a termini di pace e tutta la sua esposizione non è stata che la preghiera che noi si salvi l’Italia, dai tedeschi e da se stessa, e al più presto possibile.”
[10] La copertura era data dall’assunzione del Berio del posto di console generale italiano a Tangeri, lasciato scoperto da Mario Badoglio. Si doveva avvalere dell’aiuto dei vice-consoli groppello e Castronovo oltre che dei buoni uffici della consoerte di Mario Badoglio, Giuliana. Doveva con tutte le cautele del caso prendere contatto con il console britannio Gascoigne, e porgergli le richieste italiane. Assolutamente si doveva fare attenzione affinché nulla trapelasse, dato che Tangeri era piena di spie tedesche. E’ appena il caso di far notare che appena giunto Berio a Tangeri, alcuni giornali locali avevano pubblicato la notizia che un plenipotenziario italiano era giunto per prendere contatto con gli angloamericani e trattare l’uscita dalla guerra.

mercoledì 10 dicembre 2008

Progetto Storia in Laboratorio

Progetto "Storia In Laboratorio"
Il processo metodologico
La Conclusione del nostro Processo Unitario
La Prima Guerra Mondiale
La Memoria ed il Ricordo
1918 -2008

Nella estenzione del progetto Storia in Laboratorio, la data focalizzata è 4 Novembre (1918). La Giornata della Unità Nazionale
I Risorgimento, conclusione del processo unitario Italiano (Vittoria nella I Guerra Mondiale 1918) . Se si intende la Guerra di Liberazione come il Secondo Risorgimento d’Italia, occorre indicare gli eventi che portarono al Primo Risorgimento, ovvero all’Unita territoriale della nazione Italiana sotto la Guida di casa Savoia e del Regno di Sardegna.
Ad ogni componente una classe ssi chiede:
Svolgere una ricerca presso la sua famiglia per individuare i bisnonni o altri componebti la famiglia e ricostruire la loro partecipazione alla I Guerra Mondiale. Una volta raccolto il materiale, produrre una ricerca/relazione, su base informatica, che sarà consegnata la Professore coordinatore la classe.
B) Eventualmente, come lavoro di gruppo, la Classe può svolgere ricerche sulle operazioni a cui parteciparono i familiari degli alunni della Classe, con indicazioni varie. Es. IL ragatto mario Rossi, ha avuto il bisnonno che, come artigliere ha partecipato alla Battaglia del Solstizio (giugno 1918). La classe svolge una ricerca sulla Battaglia del Sostizio.
Tutto il materiale viene consegnato al Coordinatore del progetto (Col. Osvaldo Biribicchi), che raccolto, lo invia alla Redazione del II Risorgimento d’Italia che provvederà alla pubblicazione nella Rubrica Storia in Laboratorio.
A giudizio del Professore coordinatore, le migliori ricerche o le più significative, vengono presentate nella Giornata del 31 ottobre da parte dello studente.


Il progetto "Storia in Laboratorio ha lo scopo di far conoscere la Guerra di Liberazione 1943 –1945 alle giovani generazioni di studenti nel quadro dell’impegno della Associazione verso le scuole di ogni ordine e grado.
L’Associazione con questo progetto vuole mettersi a disposizioni dei Professori, degli operatori culturali e di chi mostra interesse verso la conoscenza degli eventi che caratterizzarono la Guerra di Liberazione. Questa disponibilità non deve essere teorica, ma pratica, e si realizza attraverso un percorso che è stato sperimentato dal 2004, quando il progetto è stato concepito ed affinato grazie all’impegno della Prof. Daniela Bravi dell’Istituto "Colomba Antonietti" di Roma.
Il percorso presto detto e consta dei passi (step) ed ha un presupposto essenziale, pena il fallimento o la sterilità di quanto si potrà fare: la disponibilità di un Insegnante, o Professore, o Operatore Culturale o persona in genere che sia motore e centro di tutta l’iniziativa. Il progetto, quindi, prevede i seguenti "passi":
Primo passo: L’anno scolastico è concepito sulla base di sei date "qualificanti" la Guerra di Liberazione", che sono
a) 8 settembre, l’Armistizio; 4 Novembre, I Risorgimento, conclusione del processo unitario Italiano (Vittoria nella I Guerra Mondiale 1918) ,8 Dicembre, La battaglia di Montelungo; 27 Gennaio, Giorno della Memoria, 25 Aprile, La conclusione di Liberazione, 2 giugno, proclamazione della repubblica, il frutto della Guerra di Liberazione
L’insegnante, dopo un colloquio di fattibilità con i rappresentanti dell’Associazione, delinea le linee di intervento, ed entro i primi di settembre, elabora il progetto da presentare agli organi della Scuola. (Cardini di tale progetto: la scelta della data da utilizzare; il livello di intervento; le modalità di esecuzione).
Secondo passo: L’associazione, preso atto dei lineamenti del progetto elaborato dall’Insegnate ed approvato, fornisce il materiale idoneo a svolgere accurate e approfondite ricerche in merito, al fine di mettere in condizione gli studenti di avere ogni riferimento documentale idoneo; inoltre si fa parte diligente a fornire all’insegnante ogni supporto per la realizzazione di incontri con personaggi, con protagonisti, di partecipazione degli studenti a visite a Musei e Luoghi della Memoria, convegni, congressi e visite, di lezioni frontali, visite nelle scuole, organizzazione di mostre ed ogni attività ritenuta utile.
Terzo passo: All’indomani dell’evento, gli studenti, sotto la guida del professore svolgono elaborati sotto forma di articoli, saggi, note o altro sul tema proposto. L’insegnante raccoglie questi elaborati e, senza alcuna correzione interventi di sostanza, ma solo di forma, e/o preceduti da un suo articolo di introduzione e o di commento, li invia alla Associazione
Quarto passo: Tutti gli elaborati vengono pubblicati sulla Rivista "Il Secondo Risorgimento d’Italia" e poi posti sul sito www.seconodrisorgimento.it. Copie della rivista vengono date al Professore, ai ragazzi, alla scuola. E’ il momento della gratificazione per lo studente. Il materiale documentario consegnato dall’Associazione rimane presso la Scuola e, se del caso, integrato con volumi e testi ulteriori da mettere presso la Biblioteca.
Il Progetto è ciclico, ovvero la fase di progettazione e decisione deve avvenire entro la fine dell’anno scolastico precedente; la fase condotta , da settembre a giugno dell’anno scolastico in corso. Quindi si può ripetere, gravitando su una data (evento) o l’altra a seconda del tema che si vuole affrontare.
La criticità del progetto sta nella individuazione dell’Insegnate/ professore il quale rappresenta l’elemento motore e qualificante della realizzazione. Qualora non si individuasse per ragioni vari tale elemento,.o questi avanzasse riserve di varia natura, il progetto non deve partire.