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martedì 4 gennaio 2011

Presentazione del vol. n. 6 della Collana Storia in Laboratorio


Il Comune di Osimo, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia A.N.P.I., Associazione Combattenti della Guerra di Liberazione, Venerdi 14 Gennaio 2011 ore 17,30, nella Sala Grande del Palazzo Municipale, organizzano, con l’introduzione di Massimo Morroni, la presentazione del volume di

Giorgio Prinzi e Massimo Coltrinari

“Salvare il Salvabile”
La crisi armistiziale dell’8 settembre 1943. Per gli Italiani il momento delle scelte
Edizioni Nuova Cultura Università La Sapienza Roma

L’incontro si inserisce nelle attività per dotare Osimo di un Giardino della Memoria dedicato alle vittime civili del 1940-1945, e quelle per il riaddobbo del Monumento al Corpo Italiano di Liberazione in località Casenuove

Elementi indicativi e contenuti del volume sono disponibili su www.coltrinarimassimo.blogspot.com

domenica 2 gennaio 2011

Relazione

Il Consiglio della Corona dell’8 Settembre 1943, nelle memorie del maggiore Luigi Marchesi
e nelle motivazioni
del Maresciallo Pietro Badoglio e di S. M. il Re Vittorio Emanuele III

Riccardo Scarpa

Il Consiglio della Corona, convocato da S. M. il Re Vittorio Emanuele III, alle cinque e mazza pomeridiane dell’8 Settembre 1943, nella sala Don Chisciotte del Palazzo del Quirinale, nel quale verrà deciso di dare notizia dell’armistizio firmato a Cassibile da parte del Generale Giuseppe Castellano e del Generale Walter Bedell Smith, e gli eventi che hanno immediatamente preceduto la riunione, condizionandone l’esito, e ne sono seguiti, costituiscono tasselli imprescindibili per ricostruire esattamente un momento determinante nella Storia d’Italia. Eventi, peraltro, descritti solo da testimonianze dei presenti, con tutti i limiti che tale fonte pone. La descrizione più dettagliata è senza dubbio contenuta nella testimonianza dell’allora Maggiore Luigi Marchesi, in servizio allo Stato Maggiore del Regio Esercito, proveniente dagli Alpini. Figlio d’un Colonnello del Regio Esercito, era entrato nella Regia Accademia di Fanteria e Cavalleria nel 1928. Sottotenente nel 1931 ed inviato al 3° reggimento Alpini sulle Alpi occidentali, alpinista ed istruttore di sci, ammesso alla Scuola di Guerra a ventisette anni, nel 1940 era stato inviato in missione al Comando Supremo della Wermacht, per la sua conoscenza della lingua tedesca, sulla linea Maginot. Dallo scoppio della guerra era stato, per ben tre anni, col Generale Vittorio Ambrosio, che aveva seguito all’ufficio operazioni della 2ª Armata, allo Stato Maggiore del Regio Esercito, al Comando Supremo, ed a Cassibile, col Generale Giuseppe Castellano, durante la fase conclusiva del negoziato per l’armistizio. Il Marchesi ha pubblicato, su questi eventi, due memorie: Come siamo arrivati a Brindisi, uscito per i tipi della Bompiani nel 1969, e: 1939-1945 – Dall’impreparazione alla resa incondizionata, edito da Mursia nel 1993. Il Generale Enrico Boscardi, Direttore del Centro Studî e Ricerche Storiche sulla Guerra di Liberazione, nel presentare quest’ultima pubblicazione del Marchesi, il 17 Giugno del 1993, in Palazzo Barberini, ha evidenziato alcuni elementi essenziali, sull’oggetto che ci concerne. Il Maggiore Luigi Marchesi era rientrato a Roma il 5 di Settembre del 1943, da Cassibile, per riferirne al Generale Vittorio Ambrosio, e consegnare, oltre ad una lettera del Gen. Giuseppe Castellano che accompagnava il testo dell’armistizio e delle clausole aggiuntive, un biglietto del Gen. Bedell Smith pel Maresciallo Pietro Badoglio e due pro memoria, per i Capi di Stato Maggiore della Regia Marina e della Regia Aeronautica e, per il SIM, l’Ordine di Operazioni per la 82ª divisione airborne degli Stati Uniti d’America, cioè il piano della famosa operazione GIANT DUE, colla quale quella divisione americana avrebbe dovuto essere aviotrasportata a Roma, il giorno stesso della pubblicazione dell’armistizio, per garantire la difesa della Capitale del Regno d’Italia dalle forze germaniche. Il successivo 7 Settembre giunsero a Roma il Gen. Maxwell Taylor ed il Col. William Tudor Gardiner per verificare la fattibilità dell’operazione GIANT DUE. Essi vennero ricevuti dal Col. Salvi e dallo stesso Marchesi. Questi assicurò al Gen. Taylor che i campi d’aviazione erano, con tutta probabilità, stati preparati per l’atterraggio dei velivoli che avrebbero dovuto trasportare la 82ª divisione aerotrasportata nordamericana. Infatti i relativi ordini erano stati impartiti allo Stato Maggiore della Regia Aeronautica il giorno 5. Perciò suggerì un’incontro col Gen. Giacomo Carboni, nella sua veste di Comandante del Corpo d’Armata Motorizzato, dal quale avrebbe dovuto dipendere la 82ª divisione aerotrasportata nordamericana durante l’operazione GIANT DUE, secondo gli accordi di Cassibile. Il Gen. Maxwell Taylor, tra l’altro, informò il Magg. Luigi Marchesi che «l’indomani notte saranno lanciati i paracadutisti e subito dopo gli aerei cominceranno ad atterrare». Egli aggiunse che, sempre l’indomani, 8 Settembre, sarà, contestualmente, il giorno dell’operazione Avalanche, cioè dello sbarco, ed il giorno in cui il Maresciallo Pietro Badoglio dovrà divulgare l’armistizio. Ciò malgrado il Marchesi avesse fatto presente all’ospite che il Comando Supremo non s’attendeva tale comunicazione prima di quattro o cinque giorni. Tuttavia, come ribatté il Taylor, l’armistizio di Cassibile non predefiniva alcuna data. Sopraggiunto il Generale Giacomo Carboni, questi volle parlare col Gen. Maxwell Taylor senza il Marchesi dichiarando, alla fine:«tutto aggiustato, adesso andiamo da Badoglio». Il Gen. Giacomo Carboni, dopo un colloquio col Gen. Maxwell Taylor ed il Col. William Tudor Gardiner ed un secondo colloquio a Villa Italia, residenza del Maresciallo Pietro Badoglio, indusse quest’ultimo a firmare un telegramma pel Gen. Dwight D. Eisenhower che chiedeva di ritardare la proclamazione dell’armistizio e cancellare l’operazione GIANT DUE: «dati cambiamenti e il precipitare situazione ed esistenza forze tedesche zona di Roma». Forze che renderebbero, a detta del Carboni, impossibile l’operazione della 82ª divisione paracadutisti, in quanto non ci sarebbero state forze sufficienti per garantire gli aeroporti. Solo dopo il messaggio di risposta del Gen. Dwight D. Eisenhower, che intima al rispetto degli impegni assunti e minaccia, in caso contrario, di far conoscere a tutto il mondo l’«affare», viene avvertito, dal Ministro Acquarone, S. M. il Re, che dispone immediatamente la convocazione del Consiglio della Corona per le ore cinque e mezza pomeridiane, nella sala del Don Chisciotte. Sono presenti il Capo del Governo Maresciallo Pietro Badoglio, il Capo di Stato Maggiore Generale Vittorio Ambrosio, il Ministro della Guerra Generale Antonio Sorice, il Ministro della Regia Marina Ammiraglio Raffaele De Courten, il Ministro della Regia Aeronautica Gen. Renato Sandalli, il capo del SIM, Gen. Giacomo Carboni, il Sottocapo di Stato Maggiore del Regio Esercito De Stefanis, in rappresentanza del Gen. Mario Roatta, Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito, impegnato in un colloquio col Gen. Westphall, l’Aiutante di campo di S. M. il Re Paolo Puntoni, ed il detto Magg. Luigi Marchesi. In quella sede il Gen. Giacomo Carboni, che aveva mandato a casa il Gen. Maxwell Taylor ed il Col. William Tudor Gardiner dopo aver di fatto annullato l’operazione GIANT DUE, attacca violentemente il Generale Giuseppe Castellano, la sua conduzione del negoziato per l’armistizio, tace ogni cosa sull’operazione GIANT DUE, che aveva rifiutato senza avvisare nessuno, e propone di sconfessare Capo del Governo, Capo di Stato Maggiore Generale, il Gen. Giuseppe Castellano, e di ritrovare immediatamente un’intesa coi germanici, e riconfermare l’alleanza dell’Asse e la volontà di proseguire la guerra al fianco del Terzo Impero Germanico nazionalsocialista. Il Magg. Marchesi, che era stato chiamato fuori dalla sala, vi rientra per dare la notizia che Radio Algeri, alle ore sei e mezza pomeridiane, aveva diffuso la proclamazione dell’armistizio col Regno d’Italia, sia col messaggio del Gen. Dwight D. Eisenhower che colla traduzione in Inglese del messaggio del Maresciallo Pietro Badoglio. Il Gen. Giacomo Carboni, a questo punto, riprese a parlare sostenendo che ciò non cambiava nulla nella sua proposta. Viene, però, interrotto dal Maggiore Luigi Marchesi, che inizia: «con una precisa esposizione degli accordi intervenuti con il Comando Alleato dopo la firma dell’armistizio, illustrai – egli prosegue – l’importanza che gli anglo-americani annettono alla nostra collaborazione militare. Essa soltanto, ed in misura della sua entità, avrebbe potuto cancellare la durezza delle clausole armistiziali». E proseguì:«La anticipazione dell’armistizio da parte degli alleati era per noi una dolorosa sorpresa. A rigore, però, gli alleati erano nei termini degli accordi, perché la data ipotetica del 12, indicata dal Gen. Castellano, (…) era frutto di una deduzione del generale stesso (…) Era stato un errore non dare credito alla comunicazione del Gen. Taylor e, peggio ancora, illudersi circa la possibilità di ottenere una proroga. Parlare di tradimento da parte degli anglo americani, come il Gen. Carboni aveva appena accennato, era assurdo (…) Non mantenere fede agli accordi presi e firmati avrebbe costituito storicamente un indelebile macchia di disonore per l’Italia. La firma dell’armistizio da parte del delegato italiano il giorno 3 era stata fotografata e cinematografata da giornalisti, fotografi e curiosi. Il testo del proclama che doveva subito, senza ulteriori ritardi, essere diramato dal Maresciallo Badoglio, si trovava nella sua stesura integrale nelle mani degli Alleati. C’era da aspettarsi, ritardando ancora, che ne dessero essi stessi lettura dalle loro stazioni radio (come, infatti, fecero). Dissi che qualora non avessimo mantenuto gli impegni presi, potevamo contare con tutta sicurezza su una vastissima reazione alleata. Raccontai che il Gen. Alexander ci aveva accolti a Cassibile, dopo aver saputo che il Gen. Castellano non aveva ancora la delega per firmare l’armistizio e come egli ci aveva fatto sapere che, sui campi dell’Africa settentrionale e della Sicilia, era concentrata la più grossa formazione da bombardamento che mai si fosse avuta durante la guerra. Il bombardamento aereo tedesco della città ci sarebbe, forse, stato; niente tuttavia, in confronto a quello che certamente avremmo potuto subire dagli anglo americani». Dopo un silenzio degli astanti, il Gen. Giacomo Carboni tentò di riprendere la parola, ma Sua Maestà il Re glielo impedì, con un gesto perentorio, si alzò, il Consiglio era sciolto. Uscirono tutti, tranne il Capo del Governo. Il Sovrano decise con rapidità; dopo qualche minuto uscì anche il Maresciallo Pietro Badoglio, e dichiarò: «Il Re ha deciso che l’armistizio venga proclamato secondo gli accordi». Chiese, quindi, al Gen. Vittorio Ambrosio da dove potesse trasmettere l’annuncio alla Nazione e, poiché non era stato installato al Quirinale nessun impianto per trasmissioni radiofoniche, come avrebbe dovuto essere installato per chiare disposizioni date al Gen. Carboni, si recò alla sede dell’EIAR, in via Asiago. Sul contesto nel quale si svolse il Consiglio della Corona l’8 Settembre del 1943, e sulle necessitate decisioni operative che ne seguirono, così ebbe ad esprimersi il Maresciallo Pietro Badoglio, pochi giorni dopo lo sbarco a Brindisi, parlando a Limone delle Puglie: «Mi si fa colpa di avere tardato a concludere l’armistizio. Cosa questa ingiusta, poiché è evidente che per addivenire ad una conclusione bisognava prima che aderisse anche l’altra parte: e sino al 3 Settembre noi non abbiamo avuto il consentimento alleato. Una semplice dichiarazione di resa, umiliante, ossia soltanto da parte nostra, ci avrebbe consegnato in pieno potere ai tedeschi senz’alcuna speranza di aiuto da parte degli anglo-americani ancora ben lontani da Roma […] Proclamato l’armistizio, subito le divisioni germaniche stanziate nei pressi della capitale si mossero contro la città, e, per cause che saranno a suo tempo appurate, dopo qualche episodio di eroica resistenza, la difesa crollò. Non era più possibile rimanere a Roma senza cadere nelle mani dei tedeschi (cioè, senza lasciare l’Italia priva di un governo legittimo); perciò, tutta la famiglia reale, io, e i ministri che avevo potuto avvertire, ci recammo a Brindisi, passando per Tivoli e Pescara» . Sua Maestà il Re, Vittorio Emanuele III, così descrive il contesto e le decisioni da Lui prese in base a quel Consiglio della Corona: «La sera dell’8 Settembre le divisioni tedesche che si trovavano nei pressi della capitale, mossero verso Roma. Se il lancio dei paracadutisti alleati nei dintorni della città avesse avuto luogo, oppure se lo sbarco ad Anzio fosse avvenuto l’8 Settembre, né il governo, né tantomeno il Re e la famiglia reale, si sarebbero mossi da Roma. Invece, rimanere prigionieri nella capitale, significava lasciare l’Italia priva del capo dello Stato e del governo legittimo, od unicamente con un governo illegittimo alla mercé dei tedeschi. […] Nulla di glorioso, ha detto qualcuno? Ma sembra che alla gloria un Re debba saper rinunciare quando l’interesse del Paese esige che egli operi in libertà e con vantaggio per la Nazione. Rimanere a Roma sarebbe stato fare la fine del reggente Horthy che i tedeschi costrinsero a dire alla radio il contrario di quanto spontaneamente espresso qualche giorno prima. Se nel 1940 gli inglesi fossero rimasti a Dunkerque per morire tutti sul posto, avrebbero scritto una pagina evidentemente più gloriosa, ma inutile, o ben poco utile, mentre gli stessi soldati servirono molto meglio dopo, quando l’esercito britannico, ricostituito, passò all’offensiva. Quindi, non fuga, né rifugio all’estero, per me, ciò che sarebbe stato abbandonare la Patria. Se mi recai col governo a Brindisi, cioè in una parte libera del suolo della Nazione, fu per creare in piena libertà un governo legittimo, ricostruire un esercito, come subito avvenne, evitando che i soldati delle divisioni italiane rimaste al Sud fossero considerati prigionieri di guerra. La cobelligeranza, ottenuta dal mio governo, salvò parecchie cose, compresi gli interessi personali di molti antimonarchici, specie dell’ultima ora, che con il loro carico d’odio non sarebbero rientrati in quel periodo in Italia senza la cobelligeranza» . Quindi il Re ed il governo avrebbero deciso diversamente se, l’8 Settembre del 1943, avesse avuto luogo l’operazione GIANT DUE, che non ebbe luogo perché, prima che S. M. il Re fosse informata d’alcun ché e convocasse il Consiglio della Corona, il Gen. Giacomo Carboni s’assunse la responsabilità morale, militare e politica di imporre agli alleati di rinunciare all’operazione già programmata. Dal tono delle dichiarazioni del Gen. Giacomo Carboni nel Consiglio della Corona si evince, altresì, come l’iniziativa del medesimo fosse ispirata dal tentativo di porre il Sovrano ed il governo nelle condizioni di denunciare l’armistizio appena sottoscritto e costringerli all’alleanza col Terzo Impero Tedesco, sino alla completa debellatio delle potenze dell’Asse, nel quadro d’una scelta politica decisamente filogermanica. Il Re, sentito l’intervento del semplice Maggiore Luigi Marchesi, invece, operò una scelta decisamente opposta e la attuò avendo il coraggio di decisioni certamente gravi, per le conseguenze, ma che si dimostrarono le uniche in grado di salvare la personalità internazionale dello Stato italiano nato dal primo Risorgimento, e di porre le basi istituzionali, militari e politiche della Guerra di Liberazione, secondo Risorgimento d’una Nazione. E vennero scelte le province libere del mezzogiorno, anziché la Sardegna, come innanzi programmato, per essere più vicini al fronte, ed agli italiani delle province occupate, esattamente come in altre circostanze il Re soldato decise di resistere sulla linea del Piave, invece che ritirarsi sul Po, come anche allora avrebbero preferito gli alleati.