Traduzione

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

L'UNUCI per l'Umbria

Il Volume "La Divisione "Perugia" Dalla Tragedia all'Oblio" è disponibile in tutte le librerie. ISBN 886134305-8, Roma, 2010, Euro 20,00 pag. 329.



Ordini: ordini@nuovacultura.it, http://www.nuovacultura.it/ Collana storia in laboratorio; per ordini diretti risorgimento23@libero.it; per info:ricerca23@libero.it; per entrare in contatto con gli autori: massimo.coltrinari@libero.it



Ricordare i nostri Caduti

Ricordare i nostri Caduti
Per acquistare il volume, cliccare sulla foto per il sito della Casa Editrice e seguire il percorso: Pubblica con noi-Collame scientifiche/ Collana Storia in laboratorio/ vai alla schede/ pag.1 e pag. 2

Cerca nel blog

lunedì 19 settembre 2011

Napoleone: la fase iniziale della seconda cmapagna d'Italia

Storia Militare III


Une armée n’est rien que par la tête ( )






Storia MIlitare III


Luigi Manfredi


Anche nella seconda campagna risalta, prima ancora che l’aspetto tattico, la grande intuizione strategica. Bonaparte, Primo Console, costituì in brevissimo tempo un’armata di riserva a Digione, valicò le Alpi dove nessuno lo aveva immaginato possibile, aggirò l’intera armata austriaca protesa dal Piemonte verso la Provenza sull’onda dei successi ottenuti l’anno precedente, realizzando così la sorpresa non solo in campo tattico ma addirittura strategico. Battè infine l’armata austriaca al comando del feldmaresciallo von Melas a Marengo (14 giugno 1800).


Marengo non fu però il capolavoro di Bonaparte che egli si sforzò di far credere, in verità riuscendoci. Tanto fu brillante la manovra che condusse l’armata francese nella pianura padana alle spalle degli austriaci quanto la condotta dello scontro di Marengo fu miope. Napoleone errò nella valutazione delle intenzioni del nemico e disperse le forze. Il Corpo di Desaix solo fortunosamente ritornò in tempo sul campo di battaglia.



La battaglia di Marengo non consentì l’annientamento dell’Armata di von Melas, lasciò i contendenti alla sera del 14 giugno sulle stesse posizioni sulle quali si trovavano al mattino, indebolì quasi nella stessa misura austriaci e francesi. Fu vinta da Bonaparte solo perché il Comandante in capo austriaco non trovò di meglio che arrendersi spontaneamente. Marengo non pose termine alla guerra che sarebbe terminata solo a febbraio dell’anno successivo (Pace di Lunéville), dopo la vittoria, questa sì determinante, del Generale Moreau a Hohenlinden nel dicembre del 1800.



Il felmaresciallo von Melas accumulò sbagli su sbagli:



• perse l’occasione di occupare la Provenza in primavera;

• sottovalutò l’Armata di riserva e non averla bloccata sulle Alpi;

• disseminò l’Armata in Piemonte e in Lombardia;

• accettò lo scontro invece di portarsi verso Mantova o Genova;

• suddivise la propria cavalleria, che era un punto di forza determinante;

• non effettuò ricognizioni sul terreno, pur avendo preso l’iniziativa;

• costituì colonne d’attacco “ad hoc” smembrando reparti organici;

• informò scarsamente i Comandanti in sottordine sul piano d’operazioni;

• non motivò i reparti alla vigilia della battaglia;

• abbandonò al nemico il giorno 13 sera proprio l’area di Marengo che il giorno dopo fu costretto a riconquistare a caro prezzo.



A Marengo anche Bonaparte non fu però immune da errori:

• non individuò a tempo le intenzioni offensive degli austriaci;

• distaccò tre Divisioni (Desaix e Lapoype) in inutili esplorazioni;

• non perseguì l’annientamento dell’Armata austriaca.

sabato 17 settembre 2011

Napoleone ed i principi dell'arte della Guerra

Storia Militare II


La fase iniziale della prima campagna d’Italia

Luigi Manfredi

Nel 1796 durante la guerra contro la prima coalizione (Inghilterra, Austria, Piemonte) il Direttorio riteneva che il fronte principale fosse a nord delle Alpi e considerava le operazioni dell’Armata d’Italia secondarie e destinate solo a fare cassa nella ricca Italia.

L’offensiva di Bonaparte ribaltò la gravitazione degli sforzi e le sue brillanti vittorie furono la dimostrazione della bontà della sua strategia. Contravvenne anche alle direttive del Direttorio che intendeva salvaguardare il Piemonte dei Savoia mentre egli volle neutralizzarlo e costringerlo a una pace separata. Partendo da Nizza arrivò quasi alle porte di Vienna. La sua genialità rifulse nella prima parte della campagna, quando aveva di fronte ancora le due armate piemontese ed austriaca.

Contro due armate, una austriaca di 40.000 uomini al comando del feldmaresciallo Beaulieu e una piemontese di 42.000 uomini al comando del feldmaresciallo Colli, avendo a disposizione 47.000 uomini in pessime condizioni, facendo leva sulla disciplina ma anche sulla promessa di onori e di bottino, riuscì a galvanizzare una truppa sfiduciata, senza soldo, senza viveri e senza scarpe, a separare le due armate, battere la piemontese costringendola, dopo appena un mese dall’inizio delle ostilità, all’armistizio di Cherasco e proseguire poi contro gli austriaci. Fu certo aiutato in questo dalla mancanza di cooperazione tra gli avversari che fecero a gara per farlo vincere.

In sintesi, gli austriaci e i piemontesi commisero errori esiziali:

• operarono con obiettivi divergenti (salvare Torino e salvare Milano) ed esclusivamente in difensiva;

• non strinsero un patto di comando unico;

• disseminarono le forze (doppie dei francesi);

• non coordinarono operazioni di soccorso reciproco;

• non sfruttarono successi locali, che pur ci furono.

Bonaparte non fece invece praticamente errori e l’offensiva che condusse all’armistizio di Cherasco fu una guerra lampo “ante litteram”.

martedì 6 settembre 2011

Storia Militare I

Une armée n’est rien que par la tête ( )


Napoleone ed i principi dell’Arte della Guerra
di Luigi Manfredi

Napoleone a Sant’Elena affermò, conscio delle sue eccezionali qualità, che anche dopo la sconfitta di Waterloo di lui si sarebbe parlato in futuro mentre invece i suoi avversari sarebbero stati dimenticati. Anche in questo la sua intuizione è stata esatta: pare che su Napoleone Bonaparte siano state scritte più opere che su qualsiasi altro personaggio storico.
Napoleone aveva sicuramente assimilato la teoria dell’arte della guerra sin dai tempi della scuola di Brienne, alla quale l'aveva iscritto il padre e, soprattutto, alla scuola militare di Parigi, dove però i risultati negli studi non furono brillanti: diventò infatti sottotenente di artiglieria classificandosi tra gli ultimi del suo corso.
Ciò peraltro non deve stupire se si pensa che Napoleone era un piccolo nobile di una provincia d'oltremare, la Corsica, in mezzo ai più noti rampolli della grande nobiltà francese che lo prendevano in giro per la sua pelle olivastra e la scarsa conoscenza del francese. Anche allora probabilmente non era estraneo il principio della raccomandazione.

Inoltre, non si deve dimenticare che Napoleone Buonaparte (così si chiamava fino al marzo del 1796, quando francesizzò il proprio nome in Bonaparte) non padroneggiava la lingua francese come i suoi compagni di scuola ed eccelleva in matematica ma non nelle altre materie.
La teoria ha codificato i principi dell’arte della guerra sostenendo che essi sono immutabili nel tempo. Nella storia moderna i maestri in materia sono stati, come tutti sappiamo, Machiavelli e Clausewitz e nei testi didattici delle scuole militari moderne sono ormai consolidati alcuni principi fondamentali che tutti conosciamo, come la massa, la velocità, la sorpresa.
Machiavelli è stato sicuramente studiato da Napoleone ed è stata pubblicata anche un'edizione de “Il principe” annotata da Napoleone; il testo sarebbe stato ritrovato nella carrozza dell'imperatore al rientro dall'infausta campagna di Russia. Le annotazioni di Napoleone appaiono verosimili perché sostanzialmente confronta la figura del principe con se stesso, ma si ritiene che l’opera sia sostanzialmente apocrifa.

Clausewitz, invece, ha scritto la sua opera “Della guerra” avvalendosi delle esperienze e degli ammaestramenti tratti anche e soprattutto dalla strategia e dalla tattica napoleonica.
Il celebre aforisma di Clausewitz “La guerra non è soltanto un atto politico, ma un vero strumento politico: una prosecuzione dell'attività politica, una sua continuazione con altri mezzi” è una perspicace osservazione della vicenda napoleonica.

Bonaparte fu prevalentemente un autodidatta ed era notoriamente un grande lettore e conosceva approfonditamente i classici della storia e della strategia, da Tito Livio a Giulio Cesare e Machiavelli, per non citare che i più noti, e ne portava i testi con sé anche durante le campagne di guerra. Derivò però la sua vera cultura in tema di strategia e di tattica soprattutto dagli insegnamenti del Maresciallo Maillebois, un condottiero francese della metà del settecento che egli studiò e apprezzò in modo particolare.

Napoleone tuttavia non fu mai un teorico bensì un grande pragmatico. Le memorie che dettò a Sant'Elena possono apparire come una codificazione di principi dell'arte della guerra che egli aveva sperimentato e padroneggiato. Non è così: sono piuttosto un tentativo brillantemente riuscito di mettere in rilievo per la posterità le sue straordinarie capacità non solo di ingegno ma anche di lavoro, determinazione e soprattutto di ambizione.

Napoleone Bonaparte durante le sue campagne, sia come giovane generale, sia come Primo Console e anche come imperatore, ha applicato i principi dell'arte della guerra in maniera intuitiva e pragmatica; egli stesso sostiene, infatti, che nessuna battaglia è uguale alla successiva e che nessuna battaglia è condotta e terminata come era stata pianificata.

Il piano strategico-tattico preventivo è indubbiamente necessario ma è ancor più necessario, affermava, avere il coraggio e la capacità di adattarlo alla situazione del momento e all'evolvere del conflitto ( ).

L’immaginario collettivo è, ad esempio, affascinato dalla vittoria di Austerlitz nella campagna del 1805 contro la terza coalizione (Inghilterra, Austria e Russia) che si concluse appunto con quella celeberrima battaglia.

a quella campagna non fu caratterizzata solo dall’esito della giornata di Austerlitz ma, soprattutto, dalla determinazione e dalla capacità dell'Imperatore di spostare nel giro di un mese dalle coste della Manica un esercito di 300.000 uomini, con i quali si riprometteva di invadere l’Inghilterra, attraversare vittorioso tutta l'Europa per giungere oltre Vienna, ad Austerlitz appunto, concentrando nel momento e nel luogo più idoneo le forze per battere la coalizione avversaria ( ).

Ritengo che sia più interessante, piuttosto che analizzare sotto il profilo teorico la genialità di Napoleone, conoscerne le vicende più significative. In altri e più chiari termini s’impara di più la strategia e la tattica studiando l’evoluzione delle campagne dei grandi condottieri piuttosto che mandare a memoria il Clausewitz. Ho scelto a questo scopo le fasi iniziali delle due campagne d'Italia del 1796 e del 1800, dove egli, ancora giovanissimo (nel 1796 aveva solo 27 anni), seppe agire con quella genialità pratica che è l’essenza della sua arte della guerra.

Non a caso ho scelto queste due campagne, anche se altri eventi bellici successivi hanno un maggior valore nell'immaginario collettivo (mi riferisco alle battaglie di Austerlitz, Jiena o Wagram, per non citare che alcune delle 100 battaglie combattute da Napoleone).

Si tratta di operazioni belliche condotte su un territorio che noi italiani ben conosciamo ma soprattutto, più che nelle altre, da esse si può capire come Napoleone abbia armonizzato brillantemente movimento, massa e sorpresa e come esigenze politiche, esigenze strategiche ed esigenze tattiche siano state un insieme inscindibile nella sua mente.

(per note ed informazioni: 57sessione@libero.it)