venerdì 24 marzo 2017
La prima Guerra Mondiale
I Volumi che sono stati oggetto della conferenza di ieri presso la Sede sono disponibili per tutti i Soci presso la Presidenza della Sezione.
chi desidera acquistarli può farlo direttamente alla
casa editrice
ordini@nuovacultura.it
o
contattando l'autore alla email
direttore.cesvam@istitutonastroazzurro.org
mercoledì 22 marzo 2017
22 marzo 2017 ore 16,30. Incontro con i Soci
CONFERENZA
"I PRIMI DUE ANNI DI GUERRA"
L’Italia, l’entrata in guerra ed il tradimento degli Imperi Centrali” 1914-1916
di Massimo Coltrinari
La conferenza ha lo scopo di illustrare gli
avvenimenti diplomatico-politici-militari nel momento della rottura degli equilibri europei
a seguito dell’attentato di Sarajevo; saranno illustrate le ripercussioni
all’interno della Triplice Alleanza, l’esclusione dell’Italia dalla
applicazione della Convenzione militare del marzo 1914, l’attacco alla Francia
ed alla Russia, ed alla Serbia. La conseguenza di tutto questo fu la forzata
neutralità italiana che acuì un problema strategico generatosi nel 1866 e che
fu uno degli argomenti centrali nel problema della difesa del confine
orientale.
Il dibattico svoltosi tra i componenti il vertice
militare italiano di fine ottocento su dove occorreva difendersi o sulla linea
el Piace o sulla linea dell’Adige durò fra gli strateghi italiani per oltre 40
anni. I Piani di difesa del confine orientale furono redatti dai Capi di Stato
Maggiore: dal piano Ricotti Magnani (1873) a Cosenz (1883), da Tancredi Saletta
(1904) ad Alberto Pollio (1914) a
Luigi Cadorna. Si sono espoti, quindi, questi vari piani in una
sintesi espositiva.
Anche per questo l’Italia, in contrasto con la Francia e la Gran Bretagna , non
può che aderire alla alleanza con Germania ed Austria nel 1882, una sorta di
Alleanza preventiva, quasi di una assicurazione sulla esistenza del giovane
stato unitario italiano. La Triplice Alleanza venne rinnovata di cinque anni
in cinque anni fino al 1914.
Accanto alla Triplice, venne firmata una Convenzione
Militare che fu rinnovata nel marzo 1914, in cui l’Italia era partecipe all’attacco
alla Francia, con oltre 150.000 uomini,con previsto anche un attacco alla
neutrale Svizzera.
La esclusione da parte della Germania e dell’Austria
dell’Italia, al momento della rottura degli equilibri europei nel 1914, in
quanto entrambi si ritenevano sufficiente forti per conseguire una vittoria che
non volevano dividere con l’Italia. Da qui dalla Triplice alleanza alla
neutralità da parte di un Italia che nel 1914, allo scoppio della guerra europa
non aveva ne amici ne alleati..
La figura del von Konrand e di parte del consiglio aulico
di Vienna che voleva la guerra all’Italia, decisamente ostile all’Italia,
èemblematica. Progetti portati a punto per la guerra preventiva nel 1908 (
terremoto di Messina) nel 1912 ( guerra di Libia) con l’intento di rioccupare
non solo il Vento ma anche la Lombardia, riaprendo la questione risorgimentale
erano nel 1910-1915 all’ordine del giorno a Vienna.
Dal momento della dichiarazione della neutralità, il 2
agosto 1914, l’Italia, come detto, non ha più ne alleati ne amici e si deve
inventare tutta una nuova politica estera. Fino agli inzi del 1915 non viene
presa nessuna decisione. Poi Sonnino e Salandra, rispettivamente Ministro degli
Esteri e Presidente del Consiglio con l’accordo del Re, in contrasto con la
maggioranza giolittina, decidono di fare il grande salto con la discussione e
la firma del Patto di Londra (febbraio-marzo 1915). In Italia scoppia lo
scontro tra la maggioranza neutralista, composta da giolittiani, cattolici e
socialisti, ed interventista, repubblicani, sia storici che risorgimentali e nazionalisti,
con figure di rilievo come D’Annunzio, Mussolini, Filippo Corridoni. Prevalgono
gli interventisti, ma le belle parole non risolvono il problema prinicipale: la
impreparazione delle Esercito, depauperato dalla guerra di Libia, e non pronto
per una guerra all’Austria.
La dichiarazione di guerra fu prematura e la prima
offensiva Cadorna la lancia il 23 giugno 1915, un mese dopo la dichiarazione di
guerra.
In tutto questo gli Austriaci, che con i Tedeschi fecero
di tutto per tenerci fuori dalla guerra offrendoci ogni cosa meno dandoci
l’unica cosa che contava, Trieste, videro aprirsi un nuovo fronte e subito ci
accusarono di tradimento.
Ma il vero tradimento fu quello di Berlino e Vienna del
1914, che poi fu mascherato da una campagna di propaganda ignobile che sarebbe
ora di contrastare e respingere.
I
Contenuti della Conferenza, possono
essere approfondi nei volumi qui riprodotti:
Richidibili alla Casa Editrice Nuova Cultura
(ordini@nuovacultura.it)
oppure
all’Autore
(studentiecultori2009@libero.it)
giovedì 23 febbraio 2017
Mercoledi del Nastro Azzurro. 1 marzo 2017 ore 17
ISTITUTO DEL NASTRO AZZURRO
FRA COMBATTENTI DECORATI
AL V.M.
(Ente Morale R.D. 31 maggio
1928 n. 1308)
Piazza Galeno, 1 - 00162 ROMA
Federazione Provinciale di
Roma
Roma, 22
febbraio 2017
Comunicato Stampa
Mercoledì 1 marzo 2017
presso la Sala Convegni dell'Istituto
del Nastro Azzurro Piazza Galeno,1 – Roma
dalle ore 17,00 alle ore 19,00
si terrà il 6° incontro del 2° ciclo
de "I Mercoledì
del Nastro Azzurro"
verranno presentati i volumi
'Caschi Blu Italiani'
'ReportagEsercito'
a cura di 'Informazioni
della Difesa'
rivista
dello Stato Maggiore della Difesa
Interverranno:
Stefano Pighini, Tommaso Gramiccia,
Massimo Coltrinari, Mario Renna, Giuseppe Tarantino.
info:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org
venerdì 10 febbraio 2017
giovedì 26 gennaio 2017
Immigrazione e Strategie
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lunedì 16 gennaio 2017
Casa Bianca: l'arrivo del nuovo Presidente
sabato 31 dicembre 2016
mercoledì 21 dicembre 2016
SCenari e minacce al termine di un anno
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Quali sono le minacce? Tutto ruota attorno alla individuazione delle minacce alla sicurezza dell’Europa e al ruolo che potrà o vorrà giocare la Nato (in questo caso essenzialmente gli americani) per contrarle e dissuaderle. Da sempre la costruzione europea si è sviluppata in un quadro di sicurezza garantito dalla Nato e dalle forze convenzionali e nucleari che gli Stati Uniti hanno dedicato alla difesa del vecchio continente. Ciò era vero quando si pensava di istituire la Comunità europea di difesa (Ced) negli anni ’50, ed è rimasto a maggior ragione vero negli anni successivi quando la costruzione europea si è indirizzata in campo politico-economico. Ora si riparla di difesa europea, ma in sostanza si parte ancora dai limitati “compiti di Petersberg” identificati dall’Unione europea occidentale nel 1992, poi incorporati, dal 1997, nei Trattati dell’Unione europea (Ue). Allargati e approfonditi, essi riguardano essenzialmente le missioni di gestione delle crisi al di fuori dell’Europa e lasciano la difesa vera e propria alla competenza della Nato. Naturalmente l’Ue contribuisce alla difesa: alcune sue politiche (sorveglianza delle frontiere, compiti di addestramento e di intelligence, missioni di sicurezza interna e di sicurezza cibernetica, eccetera) svolgono importanti funzioni di supporto. Inoltre l’Unione sta progressivamente sviluppando una sua politica industriale, di ricerca e sviluppo e di integrazione dei mercati europei che potrà contribuire a mantenere l’importante vantaggio tecnologico occidentale nei confronti del resto del mondo. Guardiamo bene agli scenari Tuttavia queste politiche devono ora fare i conti con l’arrivo dell’inverno. Gli sviluppi in Russia e nei paesi dell’ex-Unione Sovietica possono mettere a rischio la stabilità strategica europea. L’importante riarmo nucleare e convenzionale della Russia si accompagna ad una politica espansionista, dal Mediterraneo ai territori ex-sovietici, e forse anche in Asia, se ad esempio venisse confermata l’intenzione russa di riaprire una base navale in Vietnam. A questo aggiungiamo gli equilibri asiatici già sottoposti a forti stress dal riarmo nucleare della Corea del Nord, dalle rivendicazioni marittime della Cina e dalla confusissima situazione in Medio Oriente, dove si delinea un confronto a quattro tra Turchia, Iran, Arabia Saudita e Israele (con impliciti rischi di proliferazione nucleare). L’Europa ha sinora guardato a questi scenari con un certo distacco, ritenendosi garantita dal baluardo dissuasivo della Nato. È possibile che il nuovo Presidente americano confermi la solidità di questo impianto (pagato per circa ¾ degli stessi americani), ma è anche possibile che la Nato cominci a mostrare crepe pericolose. Che farà la Russia? Sinora Vladimir Putin si è limitato a piccole punture di spillo (come i sorvoli non autorizzati da parte di aerei militari), ma non ha esercitato significative pressioni militari contro l’Alleanza, ma in compenso è più volte caduto nella tentazione della escalation retorica e soprattutto ha abbracciato con entusiasmo la politica di liquidazione degli accordi di disarmo e controllo degli armamenti, improvvidamente iniziata da Washington con la denuncia del Trattato sui sistemi antimissile (Abm) e l’introduzione di nuove tecnologie destabilizzanti. Ora egli annuncia che considera decaduto anche il Trattato che bandiva i missili a medio raggio (Inf), che preoccupano in primo luogo l’Europa, e non rimpiange certo la perdita, dal 2007, del Trattato che regolava le dislocazioni e i livelli delle forze militari convenzionali in Europa. Egli sta conducendo un processo unilaterale di riarmo, che l’Europa sembra guardare con un eccesso di compiacenza, senza reagire, anche se in ballo ci sono paesi partner di una certa importanza come la Georgia e l’Ucraina, e l’equilibrio di aree strategicamente significative, dal Caucaso all’Asia centrale. Ciò non servirà certo ad influenzare positivamente il nuovo Presidente americano: al contrario lo confermerà nella sua convinzione che, in questo campo, gli europei siano sostanzialmente dei saprofiti. Una svolta positiva, ma incompleta La svolta che l’Unione sta dando alla Pesd è certamente positiva e potrà contribuire, se ben sviluppata, sia alla sua buona salute che a quella della Nato. Tuttavia le sue limitazioni, che un tempo erano state concepite anche per renderla più accettabile agli occhi dell’Alleanza Atlantica (per non entrare in competizione e duplicazione con la Nato) ora delineano uno scenario del tutto insufficiente e rischiano di apparire come l’ennesimo tentativo di sfuggire alle proprie responsabilità parlando d’altro. Non possiamo ignorare la minaccia più importante che esiste ai nostri confini, e sperare di essere presi sul serio. Certamente la questione della Russia non è solo militare, ma anche politica. È mancata una strategia coerente e lungimirante nei confronti di Mosca che aprisse la strada ad una reale partnership continentale. Ma un simile sviluppo non potrà basarsi sulla debolezza militare e sulla crisi della dissuasione. Il rischio che corriamo è quello di un progressivo indebolirsi della credibilità dell’Alleanza che potrebbe incoraggiare sia pericolose scelte avventuriste russe sia reazioni improvvisate e caotiche in Europa. Come ad esempio quando, nel commentare l’elezione di Donald Trump e la possibilità di un ritiro americano dall’Europa, il portavoce dei Cristiano-democratici tedeschi, Roderich Kiesewetter, ha dichiarato che al limite lo scudo nucleare americano avrebbe potuto essere sostituito da uno scudo nucleare anglo-francese. Non è la prima volta che queste idee sono state fatte circolare (anche se in genere riguardano più la Francia che il Regno Unito, le cui forze nucleari sono quasi integralmente dipendenti da quelle americane), ma non hanno mai dato frutti, soprattutto perché i paesi nucleari europei sono inerentemente più vulnerabili degli Usa, e hanno molte meno opzioni operative. Ciò non significa che un deterrente europeo, nazionale o collettivo, sia impossibile, ma che per avere una credibilità sufficiente a coprire gli attuali paesi membri dell’Unione, richiederebbe importanti investimenti e soprattutto un livello di coesione e solidarietà oggi tutt’altro che evidente. Prima di tentare disperate fughe in avanti è dunque opportuno che l’Europa mostri, con urgenza, la sua volontà di essere all’altezza delle sfide reali, e che accetti di dimensionare il suo sforzo militare ai livelli della minaccia (e non di sottolineare solo quelle minacce che il suo attuale livello di impegno le permette di contrare). Qualcosa si muove, ma è una grave debolezza il fatto che, nella strategia globale e nelle sue linee programmatiche, questo punto non venga affrontato di petto. Possiamo capire le ragioni politiche e di opportunità che hanno portato a questo, ma non possiamo accettarle. Stefano Silvestri è direttore di AffarInternazionali e consigliere scientifico dello IAI. | ||||||||
venerdì 9 dicembre 2016
Lanzarotto Malocello
PonentevazzinoNews
Varazze, 12.12.2016. Home page
Varazze, 12.12.2016. Home page
Tradotto e pubblicato in lingua spagnola il libro di Licata su Lanzarotto Malocello
Il volume sarà presente e potrà essere consultato in tutte le biblioteche pubbliche delle Isole Canarie nonché diffuso, attraverso i canali istituzionali, in tutta la penisola Iberica.
Nell’opera, compendio, sono riportate le fonti documentali genovesi che parlano di un Lanzarotto Malocello già defunto, nel più ampio quadro di una rassegna delle fonti storiografiche italiane assieme a quelle straniere, soprattutto francesi, anglosassoni ed ispaniche.
Un ampio spazio viene riservato alla trattazione delle prime esplorazioni atlantiche da parte di navigatori liguri, ossia italiani, alla relazione di Giovanni Boccaccio sulla navigazione, questa con data certa, lungo la medesima rotta verso le Canarie, e forse Madera e le Azzorre, di Nicoloso da Recco e sul trattato De insulis di Domenico Silvestri, non dimenticando il quadro di riferimento mitico che faceva delle Canarie le Insulae Fortunatae.
L’opera, arricchita da numerose illustrazioni, non tralascia di tratteggiare lo stato delle Isole Canarie al momento del primo impatto con una civiltà che arrivava da lontano e si conclude con un doveroso omaggio alle ricerche archeologiche, tuttora in corso, che mirano a mettere in chiaro eventuali residue tracce del passaggio di Lanzarotto Malocello sull’isola di Lanzarote, indissolubilmente legata con il proprio nome al navigatore ligure-varazzino.
Il volume, come è noto, non è in commercio ed è riservato alle Istituzioni, alle Università, agli accademici, docenti, studenti e appassionati di storia medievale e delle scoperte geografiche i quali, ove vogliano consultarlo nella originaria versione in italiano, potranno farlo on line sul sito del “Ministero della Difesa” oppure, entro il limite delle copie disponibili, richiederlo al “Comitato per le Celebrazioni del VII Centenario“, o all’Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Difesa: quinto.segrstorico@smd.difesa.it.
L’iniziativa di tradurre il testo del libro in varie lingue è finalizzata alla più ampia diffusione, divulgazione e valorizzazione dell’eccezionale impresa del navigatore varazzino ben oltre i confini nazionali.
A tal proposito, l’edizione in lingua spagnola del volume , che era stata preannunciata dall’autore nel corso di una conferenza al Parlamento Europeo lo scorso 31 maggio 2016, sarà presentata l’11 febbraio 2017 a Roma, presso la sede della Casa dell’Aviatore (Viale dell’Università n.20), in occasione della Cerimonia internazionale di Gemellaggio/Hermanamiento tra il Distretto Lions 108L d’Italia (Lazio, Umbria e Sardegna) e il Distretto Lions 116B di Spagna (Andalusia, Extremadura, Ceuta e Melilla, Isole Canarie) nel corso della quale alla Delegazione lionistica spagnola ed alle Autorità presenti sarà fatto omaggio dell’opera editoriale.
lunedì 14 novembre 2016
Mercoled' ' 16 Novembre ore 16,30. Conferenza.
Titolo
"L'Ultima difesa Pontificia - 1860"
di Massimo Coltrinari
La descriverà gli avvenimenti che sottrassero le Marche e l'Umbria nel 1860 al Potere Temporale dei papi e quindi annesse al regno d'Italia
In particolare il settembre 1860, con particolare riguardo alle vicende a Spoleto
Sintesi dei volumi qui presentati
Carlo d’Angiò è il cavaliere che campeggia al centro dello stemma d’Ancona. Lo sostiene, senza porre dubbi, l’ultimo governatore pontificio di Ancona, conte de Quatrebarbes. Dopo giorni di lotte accanite, con suo grande rammarico, lo stemma pontificio, il 29 settembre 1860 doveva essere abbassato per far posto allo stemma sabaudo, significando la fine del potere temporale dei Papi nelle Marche. La descrizione degli avvenimenti di parte pontificia per la difesa di questo potere è il filo conduttore del presente volume, che pone Ancona al centro degli avvenimenti del 1860. Avvenimenti che sono descritti nell’ottica di coloro, i legittimisti cattolici, che volevano difendere questo potere, perdurante da oltre tre secoli, che ritenevano indispensabile per l’esercizio della missione del Papa e della Chiesa Cattolica.
Nel adottare il principio che è con la geografia che qualsiasi storia deve iniziare, caro all’Autore, il volume dedica ampio spazio ad Ancona come città e come piazzaforte. Ne esce un quadro di come Ancona era nel 1860, un quadro che si può considerare come il punto di partenza dello sviluppo, non solo urbanistico, della Dorica negli ultimi 150 anni.

Massimo Coltrinari, generale, analista militare, giornalista, è contitolare della Cattedra di Dottrine Strategiche e Storia Militare all’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze, e ricercatore del Centro di Studi Strategici al Centro Alti Studi per la Difesa. È Cultore della Materia alla Cattedra di Geografia Politica ed Economica alla Facoltà di Scienze Politiche della Università “La Sapienza” di Roma. È direttore della Rivista “Il Secondo Risorgimento d’Italia” e collabora a giornali e riviste specializzate. Medaglia Mauriziana per i dieci lustri di servizio continuativo, è Cavaliere Ufficiale al merito della Repubblica.
domenica 23 ottobre 2016
lunedì 10 ottobre 2016
UN problema da affrontare
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Da allora la Conferenza del Disarmo di Ginevra, l'organo istituzionalmente competente per condurre tali negoziati, è rimasta paralizzata. È deprecabile che per oltre un ventennio non si sia riusciti a sfruttare le occasioni offerte dall'allentamento della tensione post-guerra fredda il quale va oggi tramontando. Una novità per la messa al bando dell’arma atomica La frustrazione si riscontra in particolare in seno alla Prima Commissione dell'Assemblea Generale dell'Onu che si riunisce ogni anno a New York nel mese di ottobre e che segue i temi del disarmo e della sicurezza internazionale. Quest'anno si prevede un elemento di novità: verrà infatti discussa e votata una nuova risoluzione in cui un gruppo di Paesi capeggiati da Austria, Brasile, Irlanda, Messico e Nigeria, propone la celebrazione nel 2017 di una Conferenza per negoziare uno "strumento legalmente vincolante per proibire le armi nucleari che conduca alla loro totale eliminazione". Si tratterebbe in sostanza di perseguire "in un solo colpo" l'ambizioso obiettivo della messa al bando dell'arma atomica. È la prima volta che in Prima Commissione viene proposto un testo così perentorio in cui vengono già individuati i partecipanti, la data,il luogo e la durata della prevista Conferenza. Ad aprire la strada è stata in realtà la Conferenza di Riesame del Trattato di Non proliferazione nucleare, Tnp, tenutasi nel 2010 a New York dove si convenne sull'obiettivo di un mondo privo di armi nucleari e si giunse ad affermare il principio degli effetti catastrofici dell'uso di tali armi. Per approfondire questo ultimo tema si sono tenute successivamente, sotto gli auspici dei Paesi citati, tre conferenze internazionali che hanno affinato gli argomenti a favore di un'eliminazione delle armi nucleari ed allargato la piattaforma dei Paesi che condividono tale obiettivo. La resistenza delle potenze nucleari Le cinque potenze nucleari riconosciute dal Tnp (Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti) che pure avevano aderito ai principi enunciati nel 2010, si trovano ora a resistere a questa iniziativa che giudicano irrealistica. Ad essi si affiancano i quattro Paesi (India, Israele,Pakistan e Corea del Nord) che si sono dotati unilateralmente dell'arma nucleare e che restano al di fuori del Tnp. Non si trova a proprio agio neppure la Nato, la cui dottrina si fonda sul principio della deterrenza nucleare. Vista l'eterogeneità delle posizioni dei suoi membri sulla questione nucleare, l'Unione europea, Ue, incontrerà difficoltà a trovare un orientamento comune su tale spinoso argomento. Gli ostacoli procedurali che gli agguerriti oppositori potranno frapporre sono molteplici. Le parti possono chiedere una votazione sui singoli paragrafi del testo ed esercitare ogni tipo di pressione. Le risoluzioni dell'Assemblea non sono comunque giuridicamente vincolanti e un'analoga conferenza sulla proibizione delle armi di distruzione di massa in Medio Oriente, fissata per il 2012, non ha mai visto la luce. Ciononostante, è assai probabile che la risoluzione finisca per ottenere la maggioranza dei consensi e che quindi si inneschi a New York (e non nella sede istituzionale ginevrina) un effettivo meccanismo negoziale. Probabilmente molti degli oppositori opteranno per non partecipare all'incontro e per dichiararsi non vincolati dai suoi esiti. Ma dall'esterno gli assenti avranno minori possibilità di influire sui negoziati i cui risultati rischiano in tal modo di essere ancora più contrari a quella che è la loro percezione dei propri interessi. Molti si domandano se abbia un senso avviare una trattativa sulle armi nucleari se saranno assenti i principali detentori di tali armi. È quanto è già avvenuto allorché,mutatis mutandis, vennero concluse, rispettivamente nel 1997 e nel 2008, le convenzioni sulla proibizione delle mine anti persona e quella sulle munizioni a grappolo dalle quali rimasero estranei paesi importanti come Stati Uniti, Russia, Cina e India. Tali convenzioni furono adottate e vengono ora applicate senza la partecipazione dei "major players" che si sono trovarono relegati in un angolo. Due sentieri negoziali da tenere insieme Nel valutare i pro e i contro dell’iniziativa nucleare, che è però ben diversa da quella delle mine e delle munizioni a grappolo, occorre tener conto che va lentamente maturando il convincimento di un tramonto del dogma della bomba atomica come arma egemonica ed assoluta. Il Presidente Usa Barack Obama se ne è reso primo interprete attraverso la sua dichiarata propensione a ridurre il ruolo dell'arma nucleare nella strategia di difesa statunitense. I tempi di Hiroshima e Nagasaki sono in effetti superati da nuove tecnologie che permettono a mezzi convenzionali più sofisticati e precisi di svolgere un ruolo strategico analogo a quello del nucleare senza averne gli effetti catastrofici. Un piccolo e disastrato Paese come la Corea del Nord, con le poche risorse di cui dispone, è riuscito a procurarsi l'arma atomica. Qust'ultima, lungi dall'assicurare l'egemonia dei grandi, può permettere a stati fuorilegge ed eventualmente a gruppi terroristici di sfidare anche le maggiori potenze nonostante la loro schiacciante superiorità militare. Attraverso il Trattato di non Proliferazione si è riusciti sinora a contenere la cerchia degli stati nucleari ma India, Israele, Pakistan e ora la Corea del Nord sono già riusciti a sfuggire dalle maglie di questo meccanismo. Altri paesi li potrebbero seguire. Le tecnologie nucleari si diffondono ormai anche via internet ed i costi delle apparecchiature più sofisticate sono sempre più alla portata anche dei paesi meno abbienti. In queste circostanze viene da domandarsi se, in aggiunta alle sacrosante considerazioni di umanità e di civiltà, non militino a favore di questo negoziato anche motivi di convenienza strategica delle stesse grandi potenze. Occorre mettere in conto tuttavia che il processo dall'esito incerto che si va profilando a New York rischia di richiedere anni di trattative. Sarebbe quindi prematuro gettare alle ortiche l'approccio alternativo al negoziato "in un solo colpo": quello che mira a perseguire una proibizione, come si è fatto sinora purtroppo con risultati deludenti, attraverso un processo per tappe successive.I due sentieri non si escludono tra loro, possono convivere e rafforzarsi vicendevolmente. L'Ambasciatore Carlo Trezza è Presidente uscente del Missile Technology Control Regime. Ha presieduto la Conferenza del Disarmo ed il Advisory Board del Segretario Generale dell'Onu per le questioni del Disarmo. È stato Ambasciatore d'Italia a Seoul e presso la Conferenza del Disarmo a Ginevra. |
giovedì 15 settembre 2016
Terrorismo: come affrontarlo
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Una barbarie che investe innanzitutto gli “stati falliti” di Iraq, Libia e Siria, ma che da lì si riflette a casa nostra. Queste forme arretrate di violenza beneficiano paradossalmente di social media avanzati quali veicoli principali di rivendicazione, propaganda e mobilitazione. Attraverso essi vengono fatte filtrare e amplificare motivazioni, che vanno dai fanatismi islamisti ai rigurgiti neo-nazisti e che permeano una gamma di patologie mentali e frustrazioni sociali, dando loro collocazioni religiose o politiche spesso solo pretestuose. Il linguaggio dei deboli: paura e violenza Ma la violenza sta anche inquinando il linguaggio e la pratica della lotta politica nei nostri paesi che si dicono democratici. Durante la Convention repubblicana alcuni sostenitori di Trump agitavano cartelli che chiedevano la morte per impiccagione della Clinton. Si dirà che l’America non è nuova a slogan politici estremi: Dallas era tappezzata di manifesti con il ritratto di Kennedy e la scritta “ricercato per tradimento”in quel giorno del novembre 1963 in cui il Presidente visitò la città texana e vi fu assassinato. Ma la pratica di insultare gli avversari per delegittimarli e additarli al disprezzo, quando non all’odio, della gente si è molto accentuata nell’ultimo decennio o due. Le argomentazioni e la terminologia di reti televisive come la Fox hanno di fatto preparato nel tempo la retorica dell’antagonismo e della rabbia,che è divenuta dominante nella campagna del preteso magnate newyorkese dai capelli a nuvola gialla. Si dirà anche che l’America non è sola. Il dibattito britannico sull’uscita dall’Unione europea è stato fortemente influenzato dai media popolari e scandalistici, che hanno sistematicamente propalato storture e falsità sul ruolo e le pratiche delle istituzioni di Bruxelles. E che hanno spesso esaltato la paura degli immigrati: il polacco che sottraeva il lavoro agli idraulici francesi, secondo una bufala corrente nella campagna che portò al fallimento del Trattato dell’Unione nel referendum tenutosi oltr’Alpe nel 2005, è diventato potenziale stupratore di donne inglesi,quando ci si accingeva a votare per la Brexit. Qui alla durezza delle parole è di fatto seguita quella dei fatti con l’assassinio della deputata Jo Cox, socialmente impegnata e politicamente europeista, da parte di un fanatico del “Britain first”. La retorica delle vittime e della guerra La casistica potrebbe essere estesa ad altri paesi, in alcuni dei quali, come il nostro, la dialettica politica si sta indurendo e involgarendo così da rendere plausibili derive di imbarbarimento. Ma qui ci si vuole soffermare sull’uso delle parole, a cominciare da quello, appunto dilagante, di “paura” e “rabbia”, che sono indicative del fatto che viviamo in società insieme deboli e violente. Sembrano contribuirvi ancora una volta i media, compresi quelli che intendono essere obiettivi, indipendenti e moderati, siano essi su carta o in onda. L’insistenza sulle immagini delle vittime innocenti, a Nizza come Monaco di Baviera, o della gente che fugge in preda al panico, all’aeroporto di Bruxelles come al museo di Tunisi, spesso riproposte ossessivamente, aiutano il diffondersi della paura e perciò stesso costituiscono un successo per i perpetratori, tanto più se organizzati, e uno stimolo all’emulazione per gli aspiranti terroristi, tanto più se isolati nei loro problemi di psiche e/o di collocazione sociale. È dubbio che il diffuso ricorso alla retorica della guerra, ancor più se colorita di religione, ci aiuti ad uscire dal quasi ossimoro della debolezza cum violenza. A meno che non si indulga al libero uso delle armi da parte dei semplici cittadini, come vuole certa destra americana, grande sostenitrice di Trump, il monopolio dell’uso della forza resta ai poteri pubblici secondo le regole di civiltà ereditate dall’Illuminismo. È solo all’esterno che, nella misura necessaria e nelle modalità adatte al carattere ibrido del guerreggiare, l’impiego dello strumento armato può assumere carattere bellico, mentre spetta ai vari corpi di polizia e militari riconvertiti, nonché a quelli di intelligence, difendere la sicurezza interna e ridurre la paura. Parole diverse, come coraggio, o ragione Ma anche il linguaggio può contribuire, riscoprendo parole quasi desuete come il “coraggio”che serve a vincere la paura e la “ragione” da contrapporre alla rabbia. L’uno e l’altra coinvolgono i semplici cittadini, come quel francese che cercò di fermare la corsa del Tir sulla Promenade des Anglais, o gli uomini e donne in uniforme, che abbiamo visto rischiare la vita nel loro operare spesso in condizioni di manifesta impreparazione e disorganizzazione. Il coraggio e il raziocinio sono requisiti da esaltare nella vasta gamma di interventi che si rendono necessari. Ne tengano ben conto, innanzitutto nei nostri contesti europei e occidentali, sia la politica, reggitrice dei poteri pubblici, sia i media, formatori di opinioni con parole e immagini. Saper “parlare alla pancia” della gente, più che stimolare la ragione, aiutare le scelte e suscitare i valori, sembra invece essere diventato un merito, fonte di potere e di audience. Donde il successo dei partiti e movimenti populisti, nazionalisti e xenofobi, che nella paura e nella rabbia dei cittadini ci sguazzano. Cesare Merlini è Presidente del Comitato dei Garanti dello IAI. | ||||||||
lunedì 12 settembre 2016
mercoledì 31 agosto 2016
.Italia. Affrontare l'emeergenza
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