Master I Livello in
“Terrorismo e Antiterrorismo Internazionale. Obiettivi, Piani e Mezzi”
“SPIONAGGIO E CONTROSPIONAGGIO DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE”
Analisi e considerazioni
Anno Accademico 2022 -2023
Il triangolo “segreto”
a. Attacco
al cuore dei servizi austroungarici
A
seguito dei due attentati ai danni delle due corazzate italiane, Benedetto Brin
prima e Leonardo Da Vinci dopo, negli alti Comandi delle Forze Armate si
vennero a creare situazioni di incredulità e confusione. Queste due pesanti perdite
che, per numero di vittime (724) equivalsero ad una vera e propria sconfitta
navale, gettarono nello sconforto e nella paura l’opinione pubblica del tempo. Perché,
oltre al nemico esterno, era oramai chiaro che se ne doveva fronteggiare anche
uno più pericoloso: quello interno, difficilmente individuabile e definito
traditore.[1]
L’inchiesta
che si costituì in seguito, portò alle dimissioni degli alti vertici della
Marina Militare, accusati di non aver prevenuto le azioni di sabotaggio.
Rinunciarono all’incarico il Duca d’Aosta, Capo di Stato Maggiore e il Capo
della 1° Squadra Navale, l’Ammiraglio Cutinelli.[2] I nuovi vertici della
Marina Militare italiana decisero, dunque, di costituire un ufficio di
controspionaggio per impedire il verificarsi di episodi simili a quelli già
accaduti. A capo di questo ufficio fu nominato il Capitano di Vascello Marino
Laureati che, unitamente ad un numero esiguo di agenti segreti, avviò una serie
di indagini. Si verificarono, fortunatamente, due episodi che agevolarono il
lavoro di questa nuova task force. Nel primo fu protagonista un fruttaiolo
napoletano che comunicò – indispettito – alla Polizia italiana di essere stato
contattato da un esule italiano in Svizzera “per affari molto delicati”.
Il
commerciante fu comunque spinto ad andare a Zurigo nelle vesti di infiltrato
speciale per cercare di carpire più informazioni possibili.[3] Il secondo episodio riguarda
un progetto di attentato alla diga del bacino idroelettrico di Terni ubicato
nelle Marmore alte. Il controspionaggio venne a sapere che un certo Giuseppe
Larese fu designato quale esecutore materiale di questo attentato.
Immediatamente fu messo sotto sorveglianza dagli agenti dei servizi segreti
italiani. Larese ebbe in consegna una valigia nel cui sottofondo erano nascoste
delle cariche di dinamite. La valigia fu prontamente ed abilmente sostituita
dagli agenti con una identica ma carica di finti esplosivi. Ovviamente
l’attentato non riuscì e il Larese fu arrestato mentre tentava di allontanarsi
dalla diga. Sotto interrogatorio, confessò di essere al soldo dei servizi
segreti austroungarici e rivelò i piani di cui ne era a conoscenza. Le
informazioni raccolte da questi due episodi portarono allo smascheramento
dell’Evidenzbureau dietro tutti gli attenti verificatisi in Italia e
soprattutto venne individuato il loro quartier generale a Zurigo nella locale
sede del Consolato austriaco. A capo della loro organizzazione vi era Rudolph
Mayer, Ufficiale della Marina austriaca, il quale ricopriva, come copertura, la
carica di Vice console. Ricevute tutte le informazioni utili, Laureati costituì
una squadra in grado di operare in territorio svizzero al fine di fare
irruzione nel quartier generale dell’Evidenzbureau per impadronirsi di
documenti, progetti e nomi degli agenti che operavano in Italia. Il piano prevedeva
di entrare nell’ufficio di Mayer ed aprire la presunta cassaforte al cui
interno si trovavano i progetti di sabotaggio e le cartelle dei sabotatori. A
capo dell’operazione fu scelto il Capitano Pompeo Aloisi il quale scelse
diversi soggetti che, per mestiere e ruolo ricoperto, potevano portare ad esito
positivo l’operazione.
Il
primo fu l’avvocato livornese Livio Bini, un rifugiato a Zurigo per problemi finanziari,
che segnalò l’ubicazione del covo di Mayer. Poi due ingegneri triestini, ottimi
agenti segreti: Salvatore Bonnes e Ugo Cappelletti. Infine, gli “uomini di
mano”: il sottoufficiale di Marina ed esperto tecnico Stenos Tanzini, già
arruolato nel controspionaggio navale, e un meccanico triestino, Remigio
Bronzin. Infine, uno scassinatore professionista, Natale Papini, prelevato dal
carcere di Livorno con una doppia scelta: o Zurigo o il fronte. Inoltre, i
documenti ci narrano anche la presenza di un basista nell’ufficio che poteva
muoversi indisturbato al suo interno: il suo nome però è rimasto ancor oggi
incognito. Quest’ultimo fu importantissimo per tracciare il percorso da
seguire, e per come prese i calchi delle serrature delle sedici porte che
conducevano alla cassaforte. [4]
Il
consolato
austriaco a Zurigo era situato al centro della città, all’ultimo piano del
civico 69 della Bahnhofstrasse, in un edificio esistente tutt’oggi all’angolo
tra la stessa Bahnhofstrasse e la Seidengasse.[5] L’inizio dell’operazione
fu deciso per la notte del 16 febbraio 1917. Tanzini, capo squadra, unitamente
a Bini, conoscitore del posto, Bronzin e Papini, “bracci” dell’operazione,
entrarono nell’edificio. Giunti dianzi alla porta che dava accesso all’ufficio
di Mayer, si accorsero di non aver effettuato la copia di quest’ultima porta
poiché non fu conteggiata nelle sedici precedenti. A quel punto dovettero
abbandonare l’operazione. Recuperato il doppione dell’ultima porta, si decise
di ripetere l’operazione nella notte del 21 febbraio. Gli stessi fecero accesso
nuovamente nell’edificio ed in pochi minuti entrarono nell’ufficio di Mayer
trovandosi di fronte la famosa cassaforte tanto ricercata. Dopo circa tre ore
di lavoro la cassaforte fu aperta dall’esperto Papini. Il preziosissimo
contenuto, soldi, gioielli di varia natura e documenti segreti, rinvenuto
all’interno della stessa fu portato nell’ambasciata italiana a Berna al Capitano
Aloisi, dove fu analizzato, catalogato e successivamente trasportato in Italia,
a Roma. I documenti contenevano tutti i nomi degli attentatori e collaboratori
italiani, ma anche quelli degli agenti segreti austroungarici operanti in
Italia e negli altri paesi dell’Intesa, nonché i piani per nuovi attentati. Anche
il controspionaggio della Francia e dell’Inghilterra ne beneficiarono,
riuscendo a rendere inoffensive le reti spionistiche austriache sul proprio
suolo. Dai documenti sottratti risultò il coinvolgimento austriaco nello
scoppio del deposito di munizioni Black Tom avvenuto il 30 luglio del 1916 nel
New Jersey. L’esplosione era stata talmente violenta da danneggiare perfino la
statua della libertà. Quest’informazione contribuì a determinare l’entrata in
guerra degli USA contro Austria e Germania. Seguirono poi una quarantina di
arresti e quasi altrettante condanne a morte. Fu un trionfo. L’intera rete di
spionaggio austroungarica venne spezzata, compiendo così un atto che, secondo
anche il parere del Comandante Supremo della Regia Marina, “valse più di una battaglia”.
[1] Galli Gabriele, “21 FEBBRAIO 1917:
“COLPO DI ZURIGO”, sezione Accade oggi in sito web Il dito
nell’occhio, 21 febbraio 2016.
[2] Napolitano Silvano, “007 ITALIANI
IN AZIONE: IL COLPO DI ZURIGO”, in sito web HistoriaPage STORIA E ALTRE
STORIE.
[3] Galli Gabriele, “21 FEBBRAIO 1917:
“COLPO DI ZURIGO”, sezione Accade oggi in sito web Il dito
nell’occhio, 21 febbraio 2016.
[4] Galli Gabriele, “21 FEBBRAIO 1917:
“COLPO DI ZURIGO”, sezione Accade oggi in sito web Il dito
nell’occhio, 21 febbraio 2016.
[5] Napolitano Silvano, “007 ITALIANI
IN AZIONE: IL COLPO DI ZURIGO”, in sito web HistoriaPage STORIA E ALTRE
STORIE.