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Contro tutti e tutto. I soldati Italiani nei Balcani nel 1943

Il Volume "La Divisione "Perugia" Dalla Tragedia all'Oblio" è disponibile in tutte le librerie. ISBN 886134305-8, Roma, 2010, Euro 20,00 pag. 329.



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Un Triste destino per la Divisione "Perugia"

Un Triste destino per la Divisione "Perugia"
La Divisione "Perugia" avrebbe avuto miglior sorte se Informazioni ed Intelligence avessero trovato più ascolto presso i Comandi Superiori

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domenica 20 luglio 2025

Tesi di Laurea Luigi Di Lorenzo Spionaggio e Contro spionaggio durante la Prima Guerra Mondiale. Il Triangolo segreto. Papa Benedetto XV e lo Stato Italiano

 Master I Livello in

“Terrorismo e Antiterrorismo Internazionale. Obiettivi, Piani e Mezzi”

“SPIONAGGIO E CONTROSPIONAGGIO DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE”

 Analisi e considerazioni

Anno Accademico 2022 -2023

II CAPITOLO

Il triangolo “segreto”

a.      Papa Benedetto XV e lo Stato Italiano

La Santa Sede e il Vaticano pensano alla storia ed alle relazioni internazionali da sempre in ottica di lunga durata, cercando sempre di unire attività pastorale e politica, diplomazia e fattore umano. Nella sua storia la Chiesa ha affrontato minacce vere e concrete, ha affrontato imperi e repubbliche, sovrani e movimenti sociali, affrontato cambiamenti e subito minacce alla sua unità. Ha sempre fatto dell’utilizzo del potere informativo e cognitivo, di una vera e propria abilità d’intelligence, un fattore chiave per predire e rispondere alle minacce. Non a caso Iosif Stalin considerava il Vaticano “un centro reazionario […] molti preti cattolici e missionari del Vaticano sono delle spie matricolate di livello mondiale[1]. Andò molto vicino il dittatore sovietico, perché è stato scoperto che da quasi cinquecento anni, grazie a una rete composta da semplici sacerdoti, alti prelati e comuni laici, il Papa ha avuto a disposizione il servizio segreto più affidabile della storia.

Ci fu una fase delicata nella storia della Chiesa compresa tra l’inizio del Novecento e il periodo tra le due guerre in cui il combinato disposto tra attività sotto copertura e diplomazia fu messo in campo con discrezione. Privata della statualità nel 1870, la Santa Sede mirava allora a perseguire una politica di contenimento di quelle che erano ritenute tre minacce diverse ma convergenti. In primo luogo, il modernismo diffusosi nel mondo episcopale; in secondo luogo, l’arrivo sul suolo europeo del comunismo anti-cristiano e ateo; infine, la perseveranza al potere in Europa delle potenze di cultura protestante. Per reagire al timore della marginalizzazione, dunque, la Santa Sede agì per ricordare la sua capacità di giocare un ruolo nel mondo. In questa grande instabilità mondiale di inizio novecentesco, emerge la figura incompresa di Papa Benedetto XV.

Nominato a capo della chiesa nel settembre del 1914, con trentotto voti e non uno di più (quanto bastava per l’elezione), non venne visto subito di buon occhio dalla maggior parte degli Stati mondiali. Non aveva nulla del physique du rôle dei predecessori. Gracile, affetto da una forte miopia, di statura assai basso. “Con la sua figura non impressionante e il suo viso privo di espressione, in lui non c’è né maestà spirituale né temporale”, commentava un giornalista americano che l’aveva osservato durante la sobria incoronazione nella Cappella Sistina.[2]

Benedetto XV iniziò così i suoi otto anni di permanenza sul Soglio di Pietro. Anni di bombe e trincee, del guerrone che Papa Pio X aveva previsto e temuto con orrore. Anni in cui il mondo cambiò come forse mai si era visto prima: il conflitto di trincea con i suoi milioni di morti, la dissoluzione di quattro imperi plurisecolari, la rivoluzione bolscevica, l’esplosione del nazionalismo, l’insorgere della questione mediorientale. Alla Segreteria di Stato, massimo incarico nel Vaticano nominò il Cardinale Ferrata, segnale molto chiaro di un cambio di politica. Ferrata era filofrancese ed era stato stretto collaboratore di Leone XIII, e il suo compito principale sarebbe stato quello di riconquistare la simpatia della Francia. Ma Ferrata morì nel giro di un mese e a questo punto Benedetto ricorse ad un altro francofilo, il suo vecchio amico e collega Pietro Gasparri, a cui affidare il massimo incarico del Vaticano. Insieme a Gasparri nominò il Barone Carlo Monti, suo vecchio amico, quale suo “intermediario” non ufficiale con il governo italiano. Monti aveva la collocazione ideale per svolgere questo compito, essendo direttore generale dell'ufficio per gli Affari di culto del Ministero della giustizia (in seguito Ministero degli interni). Gli Affari di culto avevano a che fare praticamente con tutte le questioni che toccavano le relazioni della Chiesa con lo Stato italiano, specialmente proprietà e finanze della Chiesa sotto il controllo statale.

Benedetto XV, Papa riservato, freddo e forse troppo intellettuale, definì la Grande Guerra “inutile strage”, consapevole che essa poneva diversi problemi al mondo cattolico. In primo luogo, la spaccatura tra le nazioni cattoliche del Vecchio Continente. In secondo luogo, il rischio, poi avveratosi, di un collasso dell’ Impero austro-ungarico, baluardo del cattolicesimo in Europa. In terzo luogo, la percezione del suicidio dell’Europa di fronte all’egemonia potenze “anti-papiste”, Regno Unito e Stati Uniti. La partita andava ribaltata rispetto all’idea di Pio X. Non era più l’interno della Chiesa il fronte da presidiare, o non solo. Bisognava portare avanti una strategia sistemica capace di unire attività informativa e diplomazia nei “punti caldi” d’Europa. Delle vere e proprie sentinelle avanzate capaci di monitorare la temperatura dei vari scenari. È noto che fin dall'inizio del conflitto il Vaticano fu accusato di simpatie nei confronti degli imperi centrali, Germania e Austria-Ungheria, al punto che Benedetto era regolarmente descritto alla stampa francese come il Pape boche. Le potenze dell'Intesa avevano già chiuso i rapporti con la Santa Sede: la Gran Bretagna aveva ritirato la sua rappresentanza non ufficiale a Roma quattro anni dopo il crollo finale del potere temporale dei papi nel 1870, gli Stati Uniti avevano ritirato la loro rappresentanza nel 1867, e la Francia naturalmente aveva rotto le relazioni con la Santa Sede nel 1905.

Sul pontificato dell’aristocratico genovese c’è un grosso punto interrogativo che ha un nome e cognome, Rudolph Gerlach. Nobile bavarese, arrivato al sacerdozio dopo aver tentato invano la carriera di ufficiale nell’esercito tedesco, era stato nominato maggiordomo segreto del papa nel 1914 e frequentava assiduamente da allora l’appartamento pontificio. Nel 1916 fu accusato dal governo italiano di spionaggio e di tradimento poiché sospettato d’essere il perno di un sistema di spionaggio, messo in piedi da tedeschi e austroungarici, che portò al clamoroso affondamento delle due corazzate Benedetto Brin e Leonardo Da Vinci, vanto della nostra Marina Militare. Bilancio: oltre 700 marinai uccisi. L’imponente nave da battaglia Benedetto Brin, lunga 130 metri e dotata di 44cannoni, cola a picco il 27 settembre 1915 dopo essere esplosa nel porto di Brindisi, trasformandosi in una tomba per 456 uomini, tra marinai e ufficiali. Il referto delle autorità parlava di un semplice incidente, causato da uno scoppio nella santabarbara stipata di munizioni. L’immancabile commissione d’inchiesta si affretta ad escludere che l’affondamento della Brin sia dovuto a un attentato. La Marina Militare rassicura il Ministero dell’Interno di non esserci stato alcun sabotaggio. Ma il capo della Polizia, Giacomo Vigliani, non ci crede e infiltra agenti segreti nelle reti dello spionaggio austriaco a Zurigo. Uno di questi è un avvocato tarantino, Archita Valente: si dichiara “socialista rivoluzionario” ma in realtà lavora per l’Ufficio Affari Riservati. L’altro infiltrato è un fruttivendolo napoletano, Enea Vincenzi, esperto di controspionaggio con alle spalle attività nell’intelligence della Marina Militare. In Svizzera, Vincenzi farà il doppio gioco: verrà coperto di soldi e incaricato dagli austriaci di sabotare la flotta italiana. Detto fatto: Vincenzi fa sapere ai tedeschi che l’esplosivo sarà introdotto a bordo dell’altra corazzata, la Leonardo Da Vinci, nascosto in un carico di frutta. La grande nave, lunga quasi 170 metri ed armata con 52 cannoni, è in servizio da appena due anni quando salta in aria nel Mare Piccolo di Taranto dove vi era ancorata. Altra catastrofe: 249 militari uccisi. Di nuovo, il governo minimizza il disastro e impone la censura alla stampa. Nuova commissione d’inchiesta: le conclusioni sono “riservatissime” e formulate solo nel 1917: «Un’azione delittuosa, favorita da un deplorevole stato di abbandono in conseguenza del quale, a bordo, non si vegliava». Al che, Polizia e servizi segreti italiani capiscono che Vincenzi ha fatto il doppio gioco. Da allora, l’ex “fruttivendolo” sparisce: forse eliminato dagli italiani come traditore, o liquidato dagli stessi tedeschi per non lasciare in vita un testimone scomodo. Affondata anche la seconda corazzata, l’intelligence della Marina Militare cambia politica e passa al contrattacco, impossessandosi della cassaforte dei servizi austro-tedeschi a Zurigo.[3] Tale operazione verrà trattata nel sotto capitolo successivo.

A complicare l’intreccio, si inserisce la vicenda, parallela, dell’altra spia, l’avvocato Archita Valente, «un avventuriero affamato di soldi», sul quale il capo della Polizia puntava per scoprire il ruolo del Vaticano, tramite Rudolph Gerlach, nell’organizzazione spionistica che aveva portato all’affondamento delle due corazzate. Vigliani era convinto che le notizie sulla flotta italiana arrivassero ai tedeschi tramite Gerlach, cioè il maggiordomo papale, l’uomo più vicino al Papa. Quest’ultimo, non vuole la guerra tra l’Italia e Vienna e teme che, crollando l’Impero Austro-Ungarico, baluardo del cattolicesimo in Europa e grande finanziatore di un Vaticano ancora gelido col governo italiano dai tempi della Breccia di Porta Pia, possa preludere all’ulteriore indebolimento del potere cattolico. Monsignor Gerlach è il suo uomo di fiducia. Dalle quinte della città leonina, l’affascinante monsignore bavarese può dirigere la rete di spionaggio a favore degli Imperi centrali e contro l'Italia. Può agevolmente inviare informazioni a Berna, in Svizzera, alla sede dell'Evidenzbureau, la regia unificata dello spionaggio austro-germanico, perché per la Corte Papale contavano i suoi eccellenti rapporti con le case imperiali di Vienna e Berlino, le cui generose donazioni ripianavano i bilanci del Vaticano.[4] Secondo la Polizia italiana, è “merito” di Gerlach se i servizi austro-germanici sono riusciti a colare a picco le due ammiraglie della Marina Militare. Per fermare Gerlach la Polizia italiana ha intenzione di usare l’avvocato Valente. Quest’ultimo viene spedito a Lucerna per spiare i servizi tedeschi, ma anche lui – sempre a corto di soldi – diventa un doppiogiochista, fino a rivelarsi un anello importantissimo nel caso Gerlach. Archita Valente, dovrà sostenere politici e giornalisti italiani con soldi tedeschi, per ammorbidire le loro posizioni verso la Germania e l’Austria: e lo farà tramite i buoni uffici del potentissimo Rudolph Gerlach, l’uomo del Papa, di fatto un decisivo operatore dell’intelligence. Anche stavolta il capo della polizia, Vigliani, intuisce il doppio gioco della spia italiana, ma lascia correre: spera di avvicinarsi il più possibile a Gerlach, scoprendolo “cassiere occulto” di Archita Valente per conto dei tedeschi. Poco tempo dopo Valente viene arrestato e il Vaticano teme che si arrivi all’arresto di Gerlach. Per evitarlo, si avviano trattative segrete con il Governo italiano per il tramite di Monti. Dinnanzi alle sue dichiarazioni di innocenza e per evitare la sua condanna Benedetto XV, aiutato sempre dal barone Monti, fornì al cameriere il passaporto per fuggire in Svizzera, facendolo scortare fino al confine da un funzionario della Questura. Uno scandalo capace di demolire il già fragile legame tra quel che all’epoca era la Santa Sede e l’Italia, anche perché non di spia qualunque si parlava, bensì di una delle persone più vicine al Papa. Nonostante l’impegno del Vaticano per dimostrare la sua innocenza, Gerlach fu ritenuto colpevole con una sentenza emessa il 3 luglio 1917 e condannato all'ergastolo in contumacia. Il Papa non crederà mai alla colpevolezza del suo maggiordomo e in un affettuosa lettera di conforto fattagli recapitare in Svizzera lo rassicurò dell'«antico, immutato affetto». Resta il fatto che il legame tra i due generò un grande intrigo di Stato, perché Gerlach, che era a capo di una potente rete di spionaggio al servizio degli Imperi centrali in guerra contro il nostro Paese, per la sua posizione e godendo della piena fiducia del Papa, era in grado di carpire i più importanti segreti militari italiani, causando anche pesantissime perdite di vite umane. Successivamente gli 007 italiani in Svizzera segnalarono che l’ex cameriere pontificio conduceva a Davos “vita di secolare convivenza” con una contessa. Qualche anno dopo Gerlach chiese di abbandonare l’abito talare, impegnandosi a restituire alcuni documenti vaticani che aveva portato con sé, e venne accontentato. Morirà in Gran Bretagna, nel 1945, dove viveva sotto falso nome collaborando con i servizi segreti di Sua Maestà.[5]



[1] Enver Hoxha, Con Stalin. Ricordi, Roma 1984, p. 160.

[2] Matzuzzi Matteo, “Un Papa mai amato”, in sito web Il Foglio quotidiano, 15 settembre 2014.

[3] “Lo 007 del Papa che fece affondare due corazzate italiane”, categoria Segnalazioni del sito web Libree. Associazione di idee, 6 maggio 2018.

[4] Intervista ad Annibale Paloscia rilasciata all’ADNKRONOS del suo nuovo libro “Benedetto fra le spie. Negli anni della Grande Guerra un intrigo in Vaticano”.

[5] Tornielli Andrea, “Un secolo fa l’ergastolo al cameriere infedele”, sezione Vaticano Insider Italia, 1 ottobre 2012 in sito web La Stampa.

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