martedì 15 maggio 2018
Il Ruolo di Spoleto
IL PASSAGGIO DELL’UMBRIA DALLO STATO
PREUNITARIO ALLO STATO NAZIONALE
1860
Il 7 settembre 1860 Giuseppe Garibaldi entrava a Napoli e proclamava
chiaramente che dopo il potere borbonico avrebbe abbattuto il potere temprale
dei Papi, ovvero marciare e conquistare Roma. Il processo unitario italiano
aveva avuto la sua nascita nel 1799 con la formazione delle repubbliche filofrancesi.
A Vienna veniva ripristinato il potere temporale dei Papi ma il sentimento
nazionale si sviluppo per tutta la prima metà dell’ottocento.
Sconfitto nel 1848-49, si sviluppò attraverso quello che fu definito il
decennio di preparazione. Papa Pio IX con gli altri regni conservatori si
opponeva ad ogni forma di unità nazionale.
Nel 1859 La Francia scese in campo per aiutare i protagonisti del
processo unitario e con l’Armistizio di Villafranca sembra tutto compromesso. Ma nel maggio 1860 l’iniziativa Garibaldina ,
voluta dal partito progressista, volta a portare la rivoluzione nel meridione,
altera ogni cosa. . Napoli in mano garibaldina apre nuovi scenari.
L’equilibrio europeo poteva essere fortemente alterato da questa
iniziativa. La Francia, e soprattutto, l’Austria, non avrebbero permesso un
simile affronto al Soglio pontificio ed erano pronte ad intervenire. Era
necessario fermarlo.
Cavour colse questa occasione che l’iniziativa progressista e
rivoluzionaria gli offriva e offri a Napoleone III la soluzione per mantenere
la situazione in equilibrio. Il 31 agosto 1860 due suoi plenipotenziari,
Cialdini e Farina si recarono a Chambery ove incontrarono Napoleone II.
Esposero il piano del primo ministro sardo, che consisteva nello scendere nella
bassa Italia, attraverso l’Umbria e le Marche, non toccare il Lazio e
incapsulare la rivoluzione garibaldina nell’alveo moderato. Napoleone vedeva in
questo un ridimensionamento dell’influenza austriaca in Italia e una
limitazione del potere del Papato, a tutto vantaggio della Francia, che avrebbe
sicuramente portato nella sua orbita il nuovo Stato. Sembra che in questa occasione
abbia pronunciato la famosa frase “Fate, ma fate presto”.
Ottenuta l’approvazione francese, il Cavour operò immediatamente, in una
situazione ad alto rischio in quanto non si era certi dell’atteggiamento
dell’Austria. Posto a difesa della Lombardia e del restante territorio sabaudo
il grosso dell’Esercito (147.000 uomini) incaricava Manfredo Franti di
organizzare una forza di invasione che doveva conquistare, in una prima fase le
marche e l’Umbria, e successivamente scendere nel meridione per andare incontro
a Garibaldi e fermarlo.
Fanti organizzò questa forza su due Corpi d’Armata (Lastrina 21) il IV,
al comando di Enrico Cialdini ( 20.000 uomini) che doveva operare lungo la
litoranea adriatica con obiettivo Ancona; il V, al comando di Enrico Morozzo
della Rocca, (15.000 uomini) che doveva
invadere l’Umbria con obiettivo Perugia nella loro marcia dovevano conquistare e
rendere inoffensive le piazzaforti pontificie catturane le guarnigioni,
sostituendole con forze sarde. La 13a Divisione, al comando di Raffaele Cadorna ,
doveva operare lungo la dorsale appenninica con compiti di collegamento e
raccordo con i due Corpi d’Armata.
La difesa pontificia era in mano al generale francese Cristoforo de La
Moricière, l’eroe di Costantina e delle guerre per la conquista del nord Africa
e l’inventore del corpo coloniale degli Zuavi. Il piano di difesa approntato
nel maggio-giugno 1860 prevedeva di lasciare Roma e il Lazio alla difesa delle
truppe francesi (Gen. Goyon, 15.000 uomini), mentre tutte le forze operative
pontificie furono stanziate in Umbria sull’asse terni, Spoleto, Foligno
perugia. La 1a Brigata (3500 uomini, al comando del Gen. De Pimodan, a terni;
la Brigata di Riserva ( 3000 uomini, gen. Cropt, a Spoleto-Foligno, la 2a
Brigata (3000 uomini, gen.Schimdt, quella che si era resa protagonista delle
sanguinose giornate del 1859
a Perugia passate alla storia come “le stragi di
Perugia) tra Foligno Città della Pieve e Perugia. Quartier Generale,
baricentro, a Spoleto. La 3a Brigata operativa ( 3500 uomini, al comando del
gen. De Courthen), a Macerata ed Ancona con elementi irradianti in tutte le
Marche per controllare il territorio da ogni insorgenza e per assicurare i
collegamenti con Ancona e quindi con l’Austria. La minaccia principale era
l’azione garibaldina da sud, materializzatesi alla fine di agosto, e tutto il
dispositivo sia operativo che quello ancorato sulle piazzeforti era orientato a
sud. L’Esercito Pontificio aveva già sconfitto i garibaldini. Durante la sosta
a Talamone, Garibaldi sbarco un contingente di 60 uomini al comando dello
Zambianchi con il compito di portare la rivoluzione nello stato pontificio, a
sostegno della sua azione da sud. Queste forze furono disperse il 19 maggio
1860 dal de Pimodan al comando di una colonna di gendarmi e cavalleria alle
Grotte di Castro, e i garibaldini furono costretti a riparare in Toscana.
In caso di attacco, la Francia e
l’Austria sicuramente sarebbero accorse e compito dell’esercito pontificio era
resistere quel lasso di tempo per permettere alle truppe francesi, via
Tolone-Civitavecchia, e austriache, via Trieste-Ancona, di portare aiuto e
soccorso.
L’11 settembre, dopo un ultimatum di Torino al Governo Pontificio,
naturalmente respinto, iniziano le operazioni di invasione, al comando del
Fanti mentre la Flotta al comando del Persano lascia Napoli destinazione
Ancona. Cialdini in breve si rende padrone di Pesaro e Fano e macia su
Senigallia che raggiunge il 14 settembre.
Le truppe del V Corpo d’Armata, non da meno, operarono celermente.
Varcato il confine con la Toscana, primo obiettivo era occupare Città di Castello,
che fu conseguito alla sera del 12 settembre; senza por tempo in mezzo le forze
di Morozzo della Rocca puntarono su Fratta che fu investita e conquista nella
giornata del 13. A
sera le truppe sarde erano in grado di minacciare Perugia.
A fronteggiarle si era diretta la
Brigata del gen. Schimdt pontificia, ma presto dovette ritornare su i suoi
passi e rinserrarsi a Perugia.
Intanto le forze pontificie
stanziate in Umbria, si erano radunate, nei giorni 11 e 12 settembre e avevano
preso la strada per Macerata ed Ancona, via Colfiorito, tanto che alla sera del
13 settembre l’Umbria non aveva più truppe operative pontificie. Il loro
intento era di raggiungere Ancona, rinserrarsi e dare vita ad un assedio, per
permettere ad Austria e Francia di intervenire. Durante la marcia su Ancona, De
La Moricière riceve un dispaccio da Roma che lo informa che “L’Imperatore ha
dato ordine a truppe di fanteria di imbarcarsi a Tolone”. Questo viene
interpretato come il primo segnale dell’intervento francese. In realtà tali
truppe servono solo a rinforzare la guarnigione francese di Roma.
Certo che i Francesi non si sarebbero mossi dal Lazio, Morozzo della
Rocca il 14 settembre diede l’assalto a
Perugia, alla fortezza Paolina che, in virtù dell’ardimento e del valore del I
Reggimento Granatieri, ove trovo gloriosa morte il cap. Ripa di Meana, medaglia
d’oro alla memoria, fu conquistata. La guarnigione pontificia si arrese e
Morozzo della Rocca potè comunicare a Fanti che il suo obiettivo era stato
raggiunto. Ma la situazione era in movimento e tutto il V Copro d’Arma,
oltrepassa perugia e il 15 settembre raggiunge Foligno. Qui si riordina e
organizza colonne di marcia per raggiungere, via Colfiorito, sulle orme delle
truppe pontificie, Ancona. Mentre inizia a valicare l’Appennino, Morozzo della
Rocca distacca un colonna, al comando del generale Brignone, con il compito di
conquistare Spoleto.
Lo scopo di questa azione era quello di crearsi, per le forze Sarde, un
avamposto in funzione antifrancese.
Infatti la conquista di Spoleto avrebbe permesso di sbarrare alle massime
distante eventuali azioni francesi o anche pontificie, anche se queste erano
estremamente improbabili. Avere le spalle coperte era essenziale, in caso di
alterazione della situazione generale. Nessuno poteva assicurare che Napoleone
III non avrebbe, sotto la pressione del partito cattolico, cambiato politica e
deciso l’intervento. In questo caso la situazione sarebbe precipitata e il
Regno di Sardegna avrebbe dovuto fronteggiare
a nord la minaccia, o l’intervento, dell’Austria,a sud l’intervento
Francese. Il Due corpi d’Armata avrebbero, secondo il piano di Fanti, assunto
una nuova funzione. Il IV, operante nelle Marche, si sarebbe ritirato verso le
Romagne ed avrebbe costituito il fianco sud del fronte contro l’Austria; il V
Corpo operante in Umbria, passati gli Appennini, percorrendo la litoranea
adriatica, avrebbe assunto il ruolo di unità di riserva del IV Corpo Tutte queste operazioni sarebbero state
svolte nel presupposto che i Francesi sarebbero stati fermati, con arresto
temporaneo, a Spoleto, dalle unità ivi stanziate. Questo il significato
ulteriore del distaccamento della colonna Brignone per la conquista di Spoleto
La Rocca spoletina è difesa, come
vedremo, da un battaglione di Irlandesi, il Battaglione San Patrizio. Cattolici
ferventi e determinati, oppongono una serie resistenza, e solo dopo reiterati
assalti, il 17 settembre 1860, Brignone si rese padrone di Spoleto. Fu una
azione precisa e persistente, ed efficace, volta soprattutto a por termine nel
più breve tempo possibile la resistenza pontificia, anche per il desiderio del
gen. Brignone di riunirsi al più presto alle unità del V Corpo per partecipare
agli eventi che lui considerava principali della campagna.
Con la conquista di Spoleto e il passaggio dell’Appennino da parte del V
Corpo d’Armata, che aveva lasciato guarnigioni nelle principali piazzeforti
pontificie conquistate, si completa il passaggio dell’Umbria dallo stato preunitario
allo stato nazionale; in pratica viene a finire il potere temporale dei Papi,
iniziato dieci secoli prima.
Contemporaneamente, il 18 settembre i pontifici furono sconfitti a
Castelfidardo e, con i due corpo
d’armata convergenti su Ancona, la piazzaforte cadde il 29 settembre, in virtù
anche dell’Azione del Cialdini e del Persano Il re arrivò ad Ancona il 3
ottobre e con questo gesto la campagna di invasione per l’annessione dell’Umbria
e delle Marche ebbe termine.
Fatto l’Italia occorreva fare gli
Italiani e in questo ruolo si distinsero le Forze Armate che nei 50 anni
successivi cementarono il sentimento di unità nazionale e che messo a dura
prova nella Prima Guerra Mondiale, si affermò definitivamente, al costo di
gravi sacrifici, con la vittoria del 1918.
Spoleto, centro della difesa
pontificia
Se per la parte sarda, Spoleto era una piazzaforte da conquistare per
trasformarla subito in un punto di difesa nel quadro generale delle operazioni
nelle Marche, Spoleto nel 1860 fu un centro essenziale per la difesa
pontificia.
Per la sua posizione e per la sua organizzazione come piazzaforte, erede
di un grande passato, Spoleto fu scelta dal de La Moricière come Quartier
generale dell’Esercito Pontifico, in posizione baricentrica rispetto a Roma ed
Ancona, le due principali piazzaforti dello Stato: la prima che permetteva di tenere i contatti con la
Francia, la seconda che permetteva di tenere i contatti con l’Austria; Francia
ed Austria erano le due potenze cattoliche che in caso di bisogno, secondo i
responsabili pontifici, sarebbero accorse a difendere il Papa, come già era
avvenuto nel biennio rivoluzionario 1848-1849.
Dopo aver assunto il comando dell’Esercito il giorno di Pasqua del 1860,
e svolto la più fervida attività per rendere o strumento militare atto a
fronteggiare la minaccia descritta in precedenza, ai primi di settembre 1860 le
forze pontificie erano così composte e distribuite sul territorio.
I Brigata , con quartier generale a Foligno, al comando del gen. Schmidt,
così articolata:
. 2° Reggimento di linea, su due battaglioni
. 2° Reggimento di linea esteri, su due battaglioni
. 6a Batteria , su sei pezzi
. Una compagnia di Gendarmeria mobile
. Un distaccamento di Gendarmeria a cavallo
In totale quattro battaglioni di fanteria, una batteria e una compagnia
rinforzata di gendarmeria.
II Brigata , con quartier generale a Terni, al comando del gen. De
Pimodan, così articolata:
. I Battaglione Cacciatori
. II Battaglione Cacciatori
. II Battaglione Bersaglieri
. I Battaglione Carabinieri Svizzeri
. mezzo Battaglione Franco-Belga (Cacciatori)
. due Squadroni di Dragoni
. uno Squadrone di Cavalleggeri
. 11a Batteria su sei pezzi
In totale quattro battaglioni e mezzo di fanteria, tre squadroni di
cavalleria, ed una batteria
III Brigata , con quartier generale a Macerata, al comando del gen. De
Courten, così articolata:
. I Battaglione Bersaglieri
. II Battaglione Bersaglieri
. I Battaglione Fanteria di Linea
. II Battaglione Fanteria di Linea
. uno Squadrone di Gendarmeria
. 7a Batteria su sei pezzi
. 10a Batteria su sei pezzi
Brigata di Riserva, con quartier generale a Spoleto, al comando del gen.
Cropt, così articolata:
. 1° Reggimento di linea esteri, su due battaglioni
. I Battaglione Volontari Pontifici a cavallo
. II Battaglione Volontari Pontifici a cavallo
. 8a Batteria su sei pezzi
Le piazzeforti erano presidiate dalle seguenti forze
Ancona, con la guarnigione
composta da:
.. IV Battaglione Bersaglieri Austriaci
.. metà del V Battaglione Bersaglieri Austriaci ( in via di completamento)
.. metà del Battaglione di San Patrizio (Volontari Irlandesi)
.. 1a Compagna del 2° Reggimento fanteria esteri
.. 2a Compagna del 2° Reggimento fanteria esteri
.. Una Compagnia di
Gendarmeria mobile.
Pesaro, la cui guarnigione era
composta da 600 uomini;
Perugia, la cui guarnigione era
composta da 500 uomini;
Orvieto, la cui guarnigione era composta da 200
uomini;
Viterbo, la cui guarnigione era
composta da 600 uomini;
Spoleto, la cui guarnigione era
composta da 800 uomini;
San Leo, la cui guarnigione era
composta da 200 uomini;
Pagliano, la cui guarnigione era
composta da 200 uomini;
Civita Castellana, la cui
guarnigione era composta da 200 uomini;
A Roma, per i servizi di guardia
vi erano circa 300 uomini, due compagnie meno, del 1° Reggimento di Fanteria
esteri.
Tranne il Battaglione San
Patrizio, che era suddiviso nelle guarnigioni di Spoleto, Perugia ed Ancona, i
battaglioni erano ordinati su otto compagnie.
In totale le forze disponibili
assommavano a 16 battaglioni, più due mezzi battaglioni, di cui 14 operativi in
quanto due battaglioni dovevano essere assegnati alla guarnigione di Ancona.
Sotto il profilo logistico la
situazione era abbastanza seria. Il servizio sanitario praticamente
inesistenza, disponendo di poche ambulanze; i treni di equipaggi mancavano in assoluto; l’armamento
individuale lasciava a desiderare, in quanto uno solo dei battaglioni era
armato con carabina “miniè”, mentre un altro era armato con carabine svizzere
che richiedevano un approvvigionamento particolare, aggravando quindi il
sistema di sostegno logistico; due battaglioni e mezzo erano armati con fucili
rigati; i rimanenti con fucili ad anima liscia, ormai superati. Il Governo
Pontificio fece ogni sforzo per avere dalle potenze europee amiche armamento
adeguato, ma tutto fu inutile.
L’artiglieria era stata formata
in fretta; quella da fortezza aveva in retaggio pezzi delle epoche precedenti,
spesso inutili o inefficienti o assolutamente superati; quella da campagna era
in condizioni precarie; ogni pezzo era tirato da quattro cavalli; quando
necessitava il tiro a sei si dovevano requisire cavalli o buoi, con scompensi
non indifferenti; gli uomini, poi, erano scarsamente addestrati e l’impiego
tattico dei pezzi lasciava molto a desiderare.
Il morale era un problema costante.
Dover tenere uniti uomini provenienti da vari paesi europei, che parlavano
diverse lingue, ma soprattutto avevano formazioni e motivazioni diverse
rappresentava uno sforzo costante che i Comandanti pontifici dovevano fare e la
loro azione di comando, spesso era compromessa da eventi esterni.
Uno di questi fu la comunicazione, giunta ai
primi di settembre, “di S. M.
l’Imperatore Francesco Giuseppe indirizzata agli Ufficiali ed ai soldati dei
quattro battaglioni bersaglieri reclutati in Austria, (che) venne a gettare qualche esitazione tra loro,
e fra i reggimenti di lingua tedesca. Ciò era avvenuto, a mio avviso, per una
falsa interpretazione del pensiero di S. Maestà. Ma siccome nella citata
circolare prevedevasi il caso in cui il nostro esercito assalito da forze
superiori, vedesse trionfare la rivoluzione, e si prometteva a coloro che
avessero gloriosamente resistito e combattuto fino all’ultimo momento di
riceverli nell’esercito austriaco, in cui la maggior parte aveva già servito,
certe immaginazioni lavoravano su questo tema. Licevasi che S. Maestà
prevedendo il caso in cui la rivoluzione doveva trionfare, ciò provava che noi
avevamo essere assaliti, ad una volta, dalla parte del Nord e dalla parte del
Sud, e che non saremmo sostenuti da alcuna potenza. E ciascuno misurava dal suo
coraggio la lunghezza della resistenza che bisognava fare per ottenere i
promessi vantaggi. Gli avvenimenti dovevano ben tosto metter fine a queste
preoccupazioni senza danneggiare tuttavia il deplorevole effetto.”[1]
Se questo era vero per i soldati di lingua tedesca, lo era ancor più per
gli Irlandesi che componevano la guarnigione di Spoleto. Nel corso delle
operazioni, nel momento in cui tutte le forze presero la via delle Marche, si sentirono quasi abbandonati, ed il
morale ne fu intaccato. La loro resistenza fu breve anche per questo, in quanto
non si vedeva prospettive di sorta ed ogni sacrifico appariva inutile.
La difesa dello Stato nel 1860 era un vero problema. Spoleto come centro
della organizzazione di questa difesa vide i grandi sforzi fatti dal de Merode
e dal de la Moricière per dotare lo
stato Pontificio di un esercito degno di questo nome.
Le difficoltà incontrate nel
riorganizzare l’esercito pontificio partendo sulle basi dell’ordinamento
esistente furono tantissime; né è espressione la frase, già citata, del De
Merode, che pressappoco suona così “ il voler introdurre riforme in vaticano
sarebbe lo stesso che pulire le piramidi d’Egitto, con uno spazzolino da
denti”. Una frase che da la misura
della quantità di resistenze incontrate, anche nell’ora del pericolo, da chi
sovraintendeva alla organizzazione militare.
Nelle Forze Armate pontificie è
sempre presente il dualismo tra l’elemento italiano, che sostanzialmente non
credeva in una difesa armata diretta, e l’elemento straniero, soprattutto dei
legittimisti francesi e belgi, che invece volevano battersi direttamente a
difesa del Soglio Pontificio. Tutta l’opera di rinnovamento e preparazione fu un opera di riorganizzazione che dovette
pagare lo scotto di questa frattura interna allo Stato pontificio.
La riorganizzazione dell’Esercito
ebbe momenti veramente interessanti dal punto di vista della partecipazione e
dell’entusiasmo di chi credeva nella difesa diretta dello Stato, tanto che il
ricordo di quei mesi, in tutto sei, riecheggiò per molti decenni a venire ed
anche oggi in Francia e in Belgio se ne hanno echi.
La riorganizzazione si estese ad
ogni ramo dipendente dal Ministero delle Armi, fu lodevole, energica, ma
arrivava in ritardo. Come è sempre stato e sempre sarà anche in questo caso si
dimostra che un ordinamento militare non si improvvisa nè si modifica con le
sole doti di chi lo presiede, ma che occorrono programmazione, pianificazione
tempo ed ambiente favorevole. Uno Stato che non cura le sue Forze Armate e le
tiene a livello tale da fronteggiare le possibili minacce reali e
potenziali, secondo convenienza, è
destinato a soccombere se non a scomparire.
In questo contesto Spoleto rappresentava
sempre uno dei punti di riferimento della attività messa in atto dal De La
Moricière e dai suoi diretti collaboratori.
Le prime attenzioni furono dedicate ai Quadri dell’Esercito, di cui in
parte già si è detto; per avere volontari si davano spalline da ufficiale a
chiunque conducesse un gruppo di quaranta soldati; molti gradi furono dati a
rappresentanti giovani della nobiltà e dell’alta borghesia. Con questi sistemi,
però, si arrivò ad avere i quadri al completo di quattro nuovi battaglioni,
quando se ne erano formati solo tre. Si pose rimedio ordinando il divieto,
verso luglio, a qualsiasi arruolamento di ufficiali. Una ampia riesamina delle
posizioni degli Ufficiali trovati in organico portò a pensionarne un numero
discreto, nella constatazione che questi erano solo degli impiegati o funzionari
atti alle cerimonie ed alle parate ma
carenti su tutto il resto; i vuoti
lasciati dal personale estromesso furono rimpiazzati con la promozione di
ufficiali meritevoli o con volontari.
Le maggiori cure furono dedicate al reclutamento all’estero.
Sotto l’usbergo di una intensa propaganda, fatta verso i cattolici di
tutta Europa incentrata sul tema della “crociata cattolica” contro i nuovi
mussulmani quali erano definiti rivoluzionari italiani, si sollecitò
l’arruolamento volontario, le rimesse in denaro e la raccolta d’armi da far
affluire all’esercito. Anche queste iniziative approfondirono il solco con
l’elemento romano ed italiano, che si vide sempre più messo da parte e
soprattutto guardato con diffidenza, come potenziale traditore. Fu un grave
errore. Oltre ad agire tra popolazioni ostili si perse quell’utile strumento
che era l’elemento indigeno che poteva frenare e contrastare, con l’esempio,
l’azione dei rivoluzionari.
Il reclutamento avveniva per lo più in Francia e in Austria.
A Vienna fu istituito un ufficio
arruolamento presso la Nunziatura, con il beneplacito del Governo austriaco. Le
reclute vestite ancora con la divisa o parti di esse austriaca, venivano
concentrate a Trieste e qui, con vapori del Lloyd austriaco, fatte affluire in
Ancona. Ancona, di conseguenza, divenne
il centro principale di raccolta di austriaci, intendevano con questo
nome tutti i volontari delle sedici nazionalità che componevano l’Impero
d’Austria, o tedeschi in genere, ma
anche di belgi ed irlandesi.
Da Ancona, dopo un primo sommario addestramento, le reclute venivano
mandate ai vari corpi di destinazione. Ancona formò con questo sistema i 5
battaglioni bersaglieri austriaci, per un totale di 5 mila uomini, nonché il
battaglione San Patrizio, che ebbe la sua stanza a Macerata. e poi inviati a
formare la guarnigione di Spoleto
Il centro di reclutamento dei francesi e in parte dei Belgi ed Irlandesi,
era a Marsiglia. Da qui le reclute venivano fatte affluire a Civitavecchia
e quindi smistate ai corpi di destinazione. Civitavecchia formo il
battaglione Tiragliatori o dei franco-belgi, nucleo base di quello che poi
diverrà, nel dicembre del 1860, il reggimento degli Zuavi Pontifici. Inoltre fu
creato, con i figli delle migliore famiglie dell’aristocrazia francese, un nucleo
di cavalleggeri chiamato “Guide del De La Moricière”, che assolse anche compiti
di stato maggiore e coordinamento.
Il reclutamento dei francesi creò qualche problema. I Francesi, tutti
legittimisti, erano inclini alla critica ed alla discussione; ogni occasione
era buona per sottolineare la loro superiorità ed erano fermamente convinti di
essere superiori a tutti; come se ciò non bastasse manifestavano con grandi
sottolineature il loro profondo disprezzo per i romani in particolare e per gli
italiani in generale e questo, essendo legittimisti, si estendeva al Governo
francese ed al suo esercito. Questo rendeva problematico ed impossibile ogni forma di convivenza con
le forze francesi a Roma, creando ulteriori problemi[2]
Gli Svizzeri risposero con la tradizionale lealtà alla Santa Sede e si
arruolarono in 4000, secondo il sistema di reclutamento ormai ben collaudo.
Alimentarono soprattutto il battaglione “carabinieri esteri” che tanto si
distinse nelle operazioni di settembre.
Gli Irlandesi si presentarono in
buon numero tanto da poter formare un battaglione Tra costoro che si
dimostrarono subito ottimi soldati e combattenti, però, vi erano anche molti
disillusi, molti in cerca di avventure, alcuni malcontenti e un certo numero di
delinquenti e facinorosi. Il comportamento di quest’ultimi fu tale che si
ebbero diversi problemi con la popolazione civile e in qualche caso si mise a
repentaglio la vita degli stessi Ufficiali d’inquadramento arrivando a dar vita
a vere e proprie rivolte. L’imbarazzo per queste situazioni per il Governo
pontificio fu notevole; a peggiorare le cose, molti trovarono gli ingaggi e le
possibilità offerte al di sotto delle loro aspettative e non vollero
arruolarsi. Il De La Moricière, con estrema decisione, impose la disciplina e risolse
il problema rinviando in Irlanda chi non era in grado di dare un sicuro
affidamento. Il battaglione di San Patrizio non risultò a pieno organico, ma si
dimostrò compatto e degno della fierezza irlandese che ostentava ad ogni
occasione.
Non vi fu un afflusso in massa da parte dei cattolici Spagnoli e
Portoghesi. Uno dato oggettivo, se si pensa che a Castelfidardo nelle fila
pontificie vi era un solo spagnolo. Certamente avrà influenzato questa non
affluenza la situazione politica dei due Stati, la Spagna ed il Portogallo, in
piena decadenza dopo i fasti del sei-settecento.
In tutto questo fervore di attività, non poteva non sorgere delle
difficoltà e problemi che avrebbero
potuto compromettere in gran parte il lavoro svolto. A Roma si presentò un personaggio
pittoresco con un piano di arruolamento atto a formare un battaglione senza un
preciso organico i cui componenti, desiderosi di combattere i nemici della
santa sede, dovevano indossare una tunica con una gran croce sul petto, firmare
una ferma temporanea di sei mesi, avere completa libertà di impiego e di
istruzione, avere la possibilità di
eleggere i loro ufficiali, adottare una bandiera propria. Era, in versione
pontificia, quello che in campo sardo rappresentavano i volontari che
accorrevano agli ordini di Garibaldi. Ma la situazione era alquanto diversa.
Simili organizzazioni devono avere un fortissimo controllo, altrimenti non sono
utili e possono solo fare danni. Il De La Moricière, valutando tutto ciò,
impose delle condizioni molti restrittive ( nessuna bandiera, adozione del
regolamento di disciplina, uniforme approvata dal Comandante in Capo ed altro).
Questo portò a frizioni con l’elemento volontario francese, che in parte
sosteneva il Cathelinau. La questione si protrasse fino alla fine di agosto
fino a che il Cathelinau non fu allontano da Roma. Troveremo questo personaggio
accanto al Quatrebarbes, ad Ancona a difesa della Dorica.
Per l’Artiglieria De La Moricière
trovò maggior difficoltà. Constatò che non vi era la scuola di artiglieria,
l’arsenale, i poligoni di tiro, ne armaioli abili nonché operai specializzati.
Affidò l’organizzazione di questo settore al Blumensthil, la cui esperienza era
assicurata in quanto aveva fatto la campagna di Crimea; essendo capitano
nell’esercito francese e non avendo ottenuto il benestare a servire in quello
pontificio, dette le dimissioni e subito fu promosso tenente colonnello. Come
prima azione ci si ripromise di rimettere in funzione la celebre fonderia
vaticana che nel passato aveva prodotto pezzi di artiglieria di gran valore[3].
Fu rimesso in ordine e a posto fucine, macchine, attrezzi e liberato di quanto
non era di pertinenza. In un mese la fonderia cominciò a funzionare a fornire
all’esercito i primi manufatti. Lo stesso fu fatto per i magazzini d’artiglieria
dislocati accanto al Museo del Belvedere nella cinta leonina. Fu fatta una
ricognizione di tutti i pezzi esistenti nelle piazze e risultò che gran parte
di tale materiale era arrugginito, fuori uso, parte risalente ai secoli passati
e per lo più inservibile; praticamente pochi i pezzi moderni.[4]
Il lavoro fu notevole e
all’inizio delle ostilità il materiale da campagna in dotazione era
accettabile. Consisteva in pezzi di bronzo da 6 rigati (sistema La Hitte),
calibro 86,5 cannoni da 4 da montagna, modi 1859, cannoni da 18 da campagna,
che venivano chiamati cannoni di riserva, obici da 120 mm .,
Per l’artiglieria da piazza si
faceva assegnamento su cannoni, obici, mortai e petriere. I cannoni da piazza
erano da 36, che lanciavano proietti dal peso di 22 kg , da 24 in ferro fuso e da 18 in bronzo; gli obici da 22 in ferro fuso ed in
bronzo, da 16, da 12, da montagna, con un affusto di 100 chili sommeggiabile.
Molto di questo materiale in precarie condizioni fu sostituito da cannone da 4
rigato. I mortai erano di quattro specie: da 320 mm ., da 270 mm ., da 220 mm ., da 150 mm ., e lanciavano
proiettili, rispettivamente, da 72, 49, 22 15 chilogrammi ; le petriere da 410 mm.
Per l’Intendenza le cose non
erano semplici. Scrive il Vigevano:
“Per ciò che riflette l’amministrazione del
vestiario, risultando in generale il versamento giornaliero delle masse era
troppo meschino, e che quindi specialmente le scarpe si trovavano in cattivo
stato e che gli abiti erano logori e di varie foggie, allo scopo di far fronte
all’occorrente in poco tempo, si ordinarono stoffe e confezioni anche
all’estero e…..si prescisse il modo unico di confezionare e prelevare gli
oggetti di vestiario e si ordinò la creazione a Roma di una sartoria militare
centrale per vestiti, camicie, mutande, cravattini, borse di pulizia sotto la
direzione diretta del Ministero delle Armi ed una sartoria succursale in
Ancona, che doveva anche attendere a ritirare tutti i panni provenienti per
mare dall’estero. Vennero stabilitigli oggetti da mettersi nello zaino, il modo
col quale dovevano esservi disposti[5]i
Questa attività di organizzazione
gestionale veniva affiancata da quella necessaria per far fronte a situazioni
pregresse negative.
La Piazza, come in tutto lo
Stato, vedeva frodi ed imbrogli in tutto quello che erano le forniture
militari. Con la sartoria militare centrale ogni contratto preesistente fu
rescisso Per il vitto le cose erano molto gravi. Il generale de La Moricière
intervenne personalmente presso gli organi del Ministero per rescindere il
contratto del pane per l’esercito. Aveva fatto analizzare ed esaminare da
professori della Sapienza, a Roma, la composizione del pane fornito
all’esercito e questi vi avevano trovato di tutto, tra cui polvere di marmo e
terra, meno che la farina.
Vi fu una forte tensione, e il de La Moricière dovette
minacciare le dimissioni se non si provvedeva a rescindere il contratto e farne
uno con altri fornitori onesti..
Oltre alla attività di riordino all’interno, molta attenzione fu rivolta
all’estero, ove si chiese la maggior parte delle armi e del materiale
occorrente.
Fu chiesto al Duca di Modena di inviare le proprie truppe, che
assommavano a 3000 uomini, ancora in armi, ma ai primi di settembre ancora la
questione non fu risolta ed il De La Moricière se ne ebbe a lamentarsi. La
questione era abbastanza complessa. In un
Un'altra richiesta a Sovrani
simpatizzanti per la causa pontificia fu inoltrata alla ex Duchessa di
Parma. Tramite il conte Carini, che ne aveva informato il De La Moricière, si
era appreso che la Duchessa aveva consegnato tutta la sua artiglieria al
comandante della piazza di Mantova. Fu inoltrata una richiesta volta a
convincere la Duchessa ed il comandante la piazza a cedere questa artiglieria o
sotto forma di cessione o di prestito. Allo scoppio delle ostilità, ancora non
si era ottenuto nulla.
In Belgio il de La Moricière, tramite il duca di Bisaccia, ligio alla
causa del Papa, chiese di costruire una batteria di pezzi di riserva. Su questa
scia, poco dopo, come vedremo più avanti, scrisse all’Imperatore d’Austria una
richiesta per la cessione di artiglieria e materiali di equipaggiamento.
Tutta questa attività era incentrata sul fatto che il de La Moricière
aveva sufficienti informazioni per constatare che i rivoluzionari erano ben
sostenuti dall’Inghilterra e dal Regno di Sardegna. In una lettera ebbe a
lamentarsi in questo modo:
“L’Inghilterra ed il Piemonte ne danno ai
nostri nemici, La Francia non vuol fornirci nulla, non possiamo dirigerci che
all’Imperatore d’Austria, pregandolo a vederci ciò che occorre per difendere lo
stendardo di Lepanto, che noi porteremo da Loreto ad Ancona, se saremmo
costretti a rinchiuderci in quella città”
[6]
In tema di Fortificazioni,
l’attività concernente il reperimento all’estero delle armi, munizioni ed
equipaggiamento fu costante. Furono creati Comitati in Francia e in Austria
oltre che nello Stato: in poche settimane fu possibile acquistare, con i fondi
raccolti da questi Comitati, carabine e fucili rigati in Francia in Belgio e in
Svizzera, mentre si insisteva con l’Austria per invio di bocche da fuoco per
l’artiglieria. de La Moricière nominò apposite commissioni per l’acquisto di
cavalli per l’artiglieria, muli per le ambulante presso le unità, nonché furono
acquistati carri che dovevano seguire le unità in marcia. Questi carri furono
destinati anche per il trasporto dei feriti e dei malati, ma si dimostrarono
poco adatti.
Alla prova dei fatti, tutta questa attività si rilevò inutile.
Infine un ultima annotazione. Il
Comandante della guarnigione di Spoleto, magg. O’ Really fu protagonista di una vicenda che vale la
pena di ricordare. Fatto prigioniero a Spoleto, e portato in Piemonte, fu
lasciato libero sulla parola. Rientrato nei ranghi pontifici, rimase
nell’esercito fino al 21 settembre 1860, quando, congedato per lo scioglimento
dell’esercito pontificio, rientrò in Irlanda. Qui imperversava in quei anni la
carestia dovuta alla malattia delle patate. Decise di emigrare negli Stati
Uniti; fece il viaggio nella stessa nave che trasportava la famiglia Kennedy ,
progenitori del Presidente degli Stati Uniti. Negli Stati Uniti si arruolò
nell’Esercito e fu manato nella Cavalleria, in quel 7 Reggimento Cavalleggeri
che, al comando de gen. Caster, affronto le tribù indiane a Little Big Horne
nel 1875. Qui cadde ucciso. Fonti accreditate americane sostengono che Toro
Seduto si ornasse per molto tempo della Medaglia di Castelfidardo presa al maggiore O’Relly come trofeo e che il maggiore si era
conquista a Spoleto.
Massimo Coltrinari.
[1] Relazione De La Moriciére.
[2] Come
è facile constatare all’interno della compagine pontificia vi erano profonde
fratture: quella tra i due partiti in seno al Governo, quella fra “indigeni” ed
esteri nell’esercito, quella fra le varie nazionalità, ognuna altezzosa e intollerante.
Questo on fece che minare in ampia misura ogni capacità di efficienza.
[3] Oltre
ai cannoni, la fonderia era famosa per la produzione di campane, anche di
grandi dimensioni. Un momento felice fu la fornitura delle placche della
colonna Vendome a Parigi.
[4]Russo F., La difesa costiera dello stato pontificio dal XVI al XIX secolo, Roma,
Ministero della Difesa, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, 1992
[5]
Vigevano A., Campagna delle Marche e dell'Umbria, Roma, Stabilimento Poligrafico
dell'Amministrazione della Guerra, 1923, pag. 120
[6]
Vigevano A., Campagna delle Marche e dell'Umbria,cit., pag. 115
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento