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Contro tutti e tutto. I soldati Italiani nei Balcani nel 1943

Il Volume "La Divisione "Perugia" Dalla Tragedia all'Oblio" è disponibile in tutte le librerie. ISBN 886134305-8, Roma, 2010, Euro 20,00 pag. 329.



Ordini: ordini@nuovacultura.it, http://www.nuovacultura.it/ Collana storia in laboratorio;

Un Triste destino per la Divisione "Perugia"

Un Triste destino per la Divisione "Perugia"
La Divisione "Perugia" avrebbe avuto miglior sorte se Informazioni ed Intelligence avessero trovato più ascolto presso i Comandi Superiori

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mercoledì 30 aprile 2025

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domenica 20 aprile 2025

Tesi di Laurea Luigi Di Lorenzo Spionaggio e Contro spionaggio durante la Prima Guerra Mondiale. Operazioni dietro le linee nemiche

 Master I Livello in

“Terrorismo e Antiterrorismo Internazionale. Obiettivi, Piani e Mezzi”

“SPIONAGGIO E CONTROSPIONAGGIO DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE”

 Analisi e considerazioni

Anno Accademico 2022 -2023

 

III CAPITOLO

I primi paracadutisti

L’uso del paracadute agli inizi della prima guerra mondiale riguardò essenzialmente l’aviazione delle varie nazioni con lo scopo di salvare le vite dei piloti in difficoltà a seguito di attacco nemico. Continui sviluppi e miglioramenti portarono questo nuovo strumento ad un discreto livello di funzionamento, talché moltissimi furono i piloti che sopravvissero ai loro aerei irrimediabilmente danneggiati in combattimento. Vi furono, però, altri e preziosi settori in cui il paracadute venne efficacemente utilizzato, come quello inerente il campo delle informazioni. Sin dal 1916 tedeschi, francesi ed inglesi avevano “trasferito”, via aerea, con il paracadute, in territorio nemico, alcuni Ufficiali qualificati, allo scopo di raccogliere informazioni sul nemico. A questa nuova forma di acquisizione dati informativi sul nemico l’Italia arrivò con un po’ di ritardo. Durante il ripiegamento conseguente a Caporetto, riflettendo sul fatto che era un peccato abbandonare posizioni che ormai si conoscevano bene, si ipotizzò che si potessero lanciare informatori che, acquisendo continuamente informazioni, fossero in grado di farle pervenire oltre Piave. Il progetto prese pian piano concretezza. Furono scelti soltanto friulani e veneti nord-orientali cioè originari dei territori occupati dagli austriaci poiché conoscevano, al meglio, i posti dove avrebbero operato ed avrebbero avuto sul terreno amici e parenti ai quali fare riferimento. Nel 1918, quindi, furono lanciati, oltre le linee nemiche, 4 ufficiali le cui famiglie abitavano nei territori occupati dai tedeschi. Gli Ufficiali prescelti per essere aviolanciati in territorio nemico, dopo aver avuto dagli inglesi i necessari paracadute, del tipo Calthrop, ed aver ricevuto da loro l’adeguato addestramento, furono i Tenenti: Alessandro TANDURA, Ferruccio NICOLOSO, Arrigo BARNABA e. Antonio PAVAN (quest’ultimo fu trasferito con l’aereo e non aviolanciato). Il primo a partire fu il Tenente Alessandro Tandura l’8 agosto 1918; nei mesi successivi partirono il Tenente Ferruccio Nicolosio e il Tenente Pier Arrigo Barnaba, mentre il Tenente Antonio Pavan non eseguì mai la missione in quanto il suo lancio con il paracadute non fu più necessario. Ai Tenenti Tandura e Barnaba venne concessa, per i risultati della missione, la Medaglia d’Oro al Valor Militare, mentre al Tenente Ferruccio Nicolosio fu assegnata la Medaglia all’Ordine Militare dei Savoia.

Il primo Ufficiale prescelto fu il TANDURA, originario di Vittorio Veneto, e per l’atterraggio fu prevista una località ad est di tale cittadina. Fu il primo paracadutista militare d’Italia. La sua avventura iniziò nel campo di volo Villaverla-Thiene. L’operazione fu coordinata dagli inglesi, che oltre a spiegargli l’uso del paracadute avevano il compito di lanciarli in territorio nemico. Il pilota che guidò l’aereo in territorio nemico era il canadese Maggiore W. Barker, che il quel periodo comandava la 139ª Squadriglia aerea di stanza nel medesimo campo di volo. L’obiettivo era quello di carpire informazioni circa l’effettiva consistenza dei reparti nemici al di là del Piave.

Il 1 agosto 1918 il Tenente Tandura viene informato dal Tenente Colonnello Dupont, capo dell’Ufficio Informazioni dell’VIII Armata, della possibilità di rivedere i suoi cari e nel contesto svolgere un attività di spionaggio in preparazione dell’offensiva finale. Gli vengono illustrati i vari modi per arrivare in territorio nemico, anche se ormai la decisione finale era già stata presa. Gli viene prospettato un lancio mediante il paracadute ma, quando Tandura chiede di poterlo vedere funzionare, Dupont gli fa presente che lo stesso costava molto ed anche perché gli inglesi ne avevano consegnati così pochi all’Esercito Italiano che non potevano essere sprecati. Tandura conosce quindi gli ufficiali inglesi che lo porteranno in volo in pieno territorio nemico e che lo addestreranno nell’uso del paracadute. Così riporta il Tenente Tandura nella sua biografia:

“1 agosto 1918

Intanto passa anche il tempo e finalmente scocca l’ora in cui devo presentarmi al Comando. Il colonnello Dupont capo dell’Ufficio Informazioni dell’VIIIArmata senza preamboli, tocca il nocciolo di ciò che mi sta a cuore. Tre sono le maniere per poter andare là. La prima passare il Piave di notte, vestito daaustriaco, mediante dei fili tesi da sponda a sponda tra Pederobba e le Grave di Ciano; la seconda atterrare con un aeroplano in una località del territorio invaso; la terza è lasciarsi cadere per mezzo di un paracadute da un nostro aeroplano, io credo, anzi sono certo, che questo ultimo mezzo sia il più

conveniente e il più sicuro. […] Scusi, signor colonnello, le faccio osservare che io non ho mai volato e tanto meno conosco il paracadute. Lei non abbia timore, non dico dell’aeroplano, naturalmente il paracadute è sicurissimo. Vede? E cosi dicendo il Ten. Col. Dupont presenta delle fotografie dove l’inventore, un ufficiale inglese, si lanciava nel vuoto. Sta bene - risposi - Però ne convenga, sarei lieto di vederlo funzionare. […] Alle ore 10.00 sono giunti gli aviatori inglesi che mi vengono subito presentati: il Maggiore W. Barker, pilota abilissimo e valorosissimo, squadrato come una lama di spada, che ha al suo attivo trenta vittorie su apparecchi nemici, e il Capitano Onorevole Welwood Benn, deputato alla Camera dei Comuni.”[1]

L’8 agosto 1918 Tandura viene accolto presso il campo di volo Villaverla-Thiene sia dal Maggiore Barker che dal Capitano Welwood, che gli spiegano che il volo sarà rinviato di un’ora o forse di due per alcune riparazioni all’aereo che lo porterà in azione. Ha occasione di vedere il velivolo e il paracadute. Per il lancio viene utilizzato un bimotore da ricognizione del tipo Savoia-Pomilio S.P.2 , in cui è stato ricavato un sedile ribaltabile nella parte posteriore, con l’ apertura comandata dall’ufficiale osservatore. Il paracadute, adeguatamente protetto, viene fissato sotto la fusoliera. Tandura ha paura. Per la prima volta si trova di fronte a una cosa ignota, ma da bravo ardito si fa forza. Giunge poi l’ora della partenza e dei saluti e ha inizio la missione. L’operazione si sviluppa con un tempo quanto mai inclemente in quanto l’aereo incappa in un terribile temporale, che mette a durissima prova uomini e macchina. Una volta arrivati sull’obiettivo, nonostante le pessime condizioni atmosferiche e la mancanza di esperienza in operazioni del genere, l’aviolancio riesce.

Il Tenente Tandura descrive così il momento del suo arrivo presso il campo di volo Villaverla-Thiene l’8 agosto 1918:

“8 agosto 1918

Appena giunto nel Campo di Villaverla, tutti gli ufficiali inglesi addetti ci vengono incontro, il Maggiore W. Barker e il Capitano On. Welwood mi dicono che la partenza sarà rinviata di un ora o forse due, perché devono essere eseguite delle riparazioni. Voglio vedere il mio velivolo: è un Savoja Pomicio da bombardamento. Ho un certo senso di titubanza, e il sangue accelera il suo corso e le tempie battono. È l’emozione per il primo volo. L’apparecchio mi pare qualche cosa di morto, un enorme giocattolo. Ne tocco le ali con tremore, come se avessi toccato quelle di un pipistrello. Poi mi fanno vedere il paracadute. È composto da un ombrello di seta nera, del diametro di due metri e mezzo; agli orli della tela dell’ombrello un’infinità di cordicelle si stacca, per raccogliersi, alla distanza di due metri in un punto dal quale parte una grossa corda di caucciù del diametro di quattro centimetri e della lunghezza pure di due metri. All’estremità si sfrangia un complesso di cinghie a bretella, a cintura, a cavallo che avvolgono il torso e lo avvinghiano saldamente. […] Mi sedetti dove mi dissero di sedermi: in quella posizione avevo le gambe che penzolavano nel vuoto. Accomodarono l’estremità superiore del paracadute sotto la tavoletta in cui stavo seduto; distinguevo la corda di caucciù scendere dalle mie spalle per finire sotto la carlinga. Il campo di Villaverla-Thiene era illuminato da un potente riflettore, posto in un angolo, per le segnalazioni. […] Pronti! Gridò una voce. […] Pronti risposero. […] Due fiamme uscirono dagli scappamenti, lacerati, e l’aeroplano lambì il terreno per prender quota. […] Ora il motore è spento ed io ho la sensazione che l’apparecchio discenda. Sento benissimo la voce dei due aviatori che discorrono tra loro. Levo il tappo della bottiglia e bevo un sorso di cordiale. Quando meno me l’aspetto la botola, su cui ero seduto, si apre e mi sento precipitare nel vuoto. Ah…viene in me un solo senso; le orecchie sono straziate da un sibilo che mi devasta il cervello. L’incubo dei sogni orribili! Ma subito ho l’impressione di essere sollevato, di tornare in su. Alzo gli occhi e vedo il paracadute aperto. La pioggia mi sferza il viso. Oso guardare in basso e vedo strade e campi che ridono in un’altalena infernale. Mi smarrisce, perdo i sensi… e un attimo. Ad un tratto, colpito fortemente al petto, mi trovo a terra, con le gambe all’aria. Lanciato nel vuoto da circa 1500 metri d’altezza ero caduto in un vigneto, mentre infuriava il temporale.”[2]

Il Tenente, sia pure fradicio per la pioggia e stordito per la grande botta che riceve toccando terra al buio, inizia la sua preziosa missione. Atterra sul vigneto del parroco a San Martino di Colle vicino al fiume Meschio. Deve raggiungere una località di Vittorio Veneto a quota 886 m sulle pendici di Col Visentin, per raccogliere informazioni da inviare tramite un cifrario con dei piccioni viaggiatori che gli sarebbero stati paracadutati in seguito. Seppellito il paracadute, non più richiudibile, e l’uniforme si traveste con abiti da contadino. Incontra una donna del luogo alla quale dice di essere un prigioniero fuggito e le consegna una lettera da recapitare a Vittorio Veneto ai suoi familiari. La donna acconsente e lo informa che senza documenti regolari non si può circolare. Poche ore dopo la sorella e la fidanzata (che saranno poi decorate con medaglia d’argento) incontrano il Tenente nel luogo pattuito dove prendono accordi per passare successivamente le informazioni militari nel suo nascondiglio a quota 886 m. Gli saranno fornite le lenzuola necessarie per segnalare agli aerei la sua posizione. Tandura individua ferrovia, filovia, strade e trincee nemiche, e nelle sue perlustrazioni incontra tre alpini di Vittorio Veneto riparati sul Visentin per non cadere prigionieri durante la ritirata di novembre. Si accorda con loro ed altri che sono alla macchia, per recuperare i piccioni viaggiatori, stabilendo di vedersi ogni giorno ad un’ora fissa. Inizia così il servizio d’informazioni, con la collaborazione della gente locale, che si protrae fino al 23 settembre con 16 note inviate tramite 32 spedizioni di piccioni. Accade anche che un contadino recupera dei piccioni, ma anziché darli al Tandura, insiste per consegnarli a un Capitano dei bersaglieri che opera sul versante bellunese del Visentin. Tandura intuisce che può accrescere la sua rete e si accorda per un appuntamento il 31 agosto con questo sconosciuto Capitano. Dopo varie peripezie, viene arrestato dai gendarmi nei pressi di Vittorio Veneto ma riesce a fuggire, incontrando il Capitano dei bersaglieri Luigi Ardoino con il quale prende accordi e contatti futuri. La presenza del Tandura oramai è nota agli austriaci che affiggono bandi pubblici con pena di morte per chi collabora con gli italiani o detiene piccioni viaggiatori. La casa del Tandura viene perquisita, ma la madre mostra una cartolina del figlio come prova che si trova al di là del Piave. Le notizie raccolte tramite la sorella, la fidanzata e un’ufficiale austriaco, conosciuto nel corso della sua permanenza e che nutre sentimenti italiani, vengono inoltrate al suo comando. La sua missione è terminata, gli viene ordinato di rientrare il 23 settembre, prima della data prefissata. Ma nel tragitto per raggiungere il luogo dell’appuntamento tra il fiume Meduna e Cellina, viene catturato dagli austriaci e assegnato alla 71esima compagnia prigionieri con destinazione lavori stradali in Serbia. Nel tragitto ferroviario, tra Sacile e Pordenone il treno rallenta in prossimità della stazione di Fontanafredda. Tandura si butta dal finestrino e riesce a fuggire. Per due giorni non parla e non mangia. Dopo un mese si riprende. Gli ultimi giorni di ottobre ha notizia dell’offensiva italiana, ancora convalescente raggiunge il suo nascondiglio a quota 886 m e organizza una serie di azioni di sabotaggio ai telefoni e alla filovia degli austriaci. Per altre due volte viene arrestato e sfuggendo in entrambi i casi.

Nella sua missione di spionaggio Alessandro Tandura è riuscito a ridare dignità di combattenti a tutti quelli sbandati, disertori o soltanto fuggiaschi che, dopo Caporetto, non erano riusciti a ricongiungersi con i propri reparti e raggiungere con questi la sponda destra del Piave, dandosi alla macchia in attesa di tempi migliori. Salvò la vita a molti giovani che sotto la sua guida si erano organizzati in vere e proprie “bande armate” che costituirono una spina nel fianco per l’esercito austro-ungarico, sabotando ponti e ferrovie e modificando la segnaletica stradale per creare caos nei trasporti del nemico. Durante la battaglia di Vittorio Veneto, queste “bande”, costituite dal Tandura, contribuirono a stringere gli austriaci nella morsa finale.[3]

Dal punto di vista informativo, le sue informazioni sul nemico furono molto utili, come quelle degli altri Ufficiali aviolanciati successivamente, per impostare nel migliore dei modi la battaglia finale di Vittorio Veneto, consentendo all’VIII Armata di entrare in azione con la piena coscienza delle unità che aveva di fronte e della loro dislocazione, che portò alla vittoria finale e, quindi, alla fine della guerra. Per il supporto offerto al Tenente la sorella Emma Tandura e la fidanzata Maddalena Petterle furono entrambe insignite della Medaglia d’Argento al Valor Militare. Il Tenente Tandura morirà il 30 dicembre 1937 per un attacco cardiaco a Mogadiscio dove si trovava in servizio. Per la perizia e l’ardimento dimostrati e per l’efficacia del suo operato venne decorato con la massima onorificenza, la Medaglia d’Oro al Valor Militare.



[2] Tandura Alessandro, Tre mesi si spionaggio oltre il Piave, H. Kellermann, 1993.

[3] Travan Mchael, “Le incredibili gesta del vittoriese Alessandro Tandura, ardito, paracadutista, sabotatore e spia della Grande Guerra”, Quotidiano del Piave, 10 agosto 2018.

giovedì 10 aprile 2025

Tesi di Laurea Luigi Di Lorenzo Spionaggio e Contro spionaggio durante la Prima Guerra Mondiale. Indice e Premessa

 Master I Livello in

“Terrorismo e Antiterrorismo Internazionale. Obiettivi, Piani e Mezzi”

 

“SPIONAGGIO E CONTROSPIONAGGIO DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE”

 Analisi e considerazioni

       

INDICE

Premessa                                                                                                    pag. 2

Introduzione                                                                                              pag. 3

I.               Intelligence italiana durante la Grande Guerra                           pag. 5

II.            Il triangolo “segreto”

a.      Papa Benedetto XV e lo Stato Italiano                                               pag. 10

b.      Attacco al cuore dei servizi austroungarici                            pag. 15

 

III.        I primi paracadutisti                                                                       pag. 18

IV.         Metodologia                                                                                     pag. 24

Conclusioni                                                                                                pag. 26

BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA                                                        pag. 28


 

PREMESSA

Il mio intento in questa tesi è quello di capire e far capire le metodologie con le quali i servizi d’informazione, delle potenze mondiali, Italia e Impero Austro-ungarico, agli inizi del novecento, operavano in “incognito” per portare a proprio favore le sorti della guerra, proteggendo i propri interesse nazionali. Uomini e donne aventi diverse abilità, capacità, maestrie e con scarse conoscenze nel settore, venivano utilizzati come pedine spionistiche per carpire più informazioni possibili dai nemici o addirittura progettare e mettere a segno attentati contro gli obiettivi sensibili del nemico, al fine di indebolirlo. La materia è così vasta da richiedere moltissimo tempo per essere trattata nella sua interezza. Ho pensato allora di svilupparla nel seguente modo descrivendo alcuni episodi, non conosciuti a tutti, ma che in qualche modo hanno influenzato le sorti italiane nel primo conflitto mondiale.

La tesi si divide in quattro capitoli:

Il primo capitolo riguarda il Servizio d‘Informazione dell’Esercito Italiano, la sua evoluzione e i rapporti con gli altri uffici del Comando Supremo.

Il secondo capitolo riguarda due episodi nei quali si sono resi protagonisti: Vaticano, Italia; Impero Austro-ungarico. Un triangolo “segreto” dato che ci fu una vera e propria guerra tra i diversi apparati di intelligence. Il caso Gerlach, cappellano e maggiordomo segreto di Papa Benedetto XV nonché spia dell’Impero Austro-ungarico, peggiorò le già deboli relazioni tra la Santa Sede e lo Stato Italiano. Condannato all’ergastolo in contumacia, poiché ritenuto responsabile di aver passato informazioni italiane ai servizi segreti austriaci e di aver causato l’affondamento delle due corazzate italiane,  riuscì a fuggire all’arresto. A seguito di questo caso ci fu il “colpo di Zurigo”, ardita azione compiuta dai servizi segreti italiani che permise di individuare e neutralizzare la centrale dello spionaggio austro-ungarico.

Il terzo capitolo riguarda il reclutamento da parte del Servizio Informazioni, dalle file dell’esercito, del Tenente Tandura, primo paracadutista militare, aviolanciato oltre le linee nemiche per acquisire informazioni sulle truppe austriache in virtù della cruciale battaglia di Vittorio Veneto che sancì il primo passo alla vittoria italiana nella prima guerra mondiale.

Il quarto capitolo, infine, riguarda la metodologia con la quale sono stati messi in atto i vari episodi rappresentati nei capitoli precedenti.