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mercoledì 30 aprile 2025
domenica 20 aprile 2025
Tesi di Laurea Luigi Di Lorenzo Spionaggio e Contro spionaggio durante la Prima Guerra Mondiale. Operazioni dietro le linee nemiche
Master I Livello in
“Terrorismo e Antiterrorismo Internazionale.
Obiettivi, Piani e Mezzi”
“SPIONAGGIO E CONTROSPIONAGGIO DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE”
Analisi e considerazioni
Anno Accademico 2022 -2023
III
CAPITOLO
I
primi paracadutisti
L’uso
del paracadute agli inizi della prima guerra mondiale riguardò essenzialmente
l’aviazione delle varie nazioni con lo scopo di salvare le vite dei piloti in
difficoltà a seguito di attacco nemico. Continui sviluppi e miglioramenti
portarono questo nuovo strumento ad un discreto livello di funzionamento,
talché moltissimi furono i piloti che sopravvissero ai loro aerei
irrimediabilmente danneggiati in combattimento. Vi furono, però, altri e
preziosi settori in cui il paracadute venne efficacemente utilizzato, come
quello inerente il campo delle informazioni. Sin dal 1916 tedeschi, francesi ed
inglesi avevano “trasferito”, via aerea, con il paracadute, in territorio
nemico, alcuni Ufficiali qualificati, allo scopo di raccogliere informazioni
sul nemico. A questa nuova forma di acquisizione dati informativi sul nemico
l’Italia arrivò con un po’ di ritardo. Durante il ripiegamento conseguente a Caporetto,
riflettendo sul fatto che era un peccato abbandonare posizioni che ormai si
conoscevano bene, si ipotizzò che si potessero lanciare informatori che, acquisendo
continuamente informazioni, fossero in grado di farle pervenire oltre Piave. Il
progetto prese pian piano concretezza. Furono scelti soltanto friulani e veneti
nord-orientali cioè originari dei territori occupati dagli austriaci poiché
conoscevano, al meglio, i posti dove avrebbero operato ed avrebbero avuto sul
terreno amici e parenti ai quali fare riferimento. Nel 1918, quindi, furono
lanciati, oltre le linee nemiche, 4 ufficiali le cui famiglie abitavano nei
territori occupati dai tedeschi. Gli Ufficiali prescelti per essere
aviolanciati in territorio nemico, dopo aver avuto dagli inglesi i necessari
paracadute, del tipo Calthrop, ed
aver ricevuto da loro l’adeguato addestramento, furono i Tenenti: Alessandro
TANDURA, Ferruccio NICOLOSO, Arrigo BARNABA e. Antonio PAVAN (quest’ultimo fu
trasferito con l’aereo e non aviolanciato). Il primo a partire fu il Tenente
Alessandro Tandura l’8 agosto 1918; nei mesi successivi partirono il Tenente
Ferruccio Nicolosio e il Tenente Pier Arrigo Barnaba, mentre il Tenente Antonio
Pavan non eseguì mai la missione in quanto il suo lancio con il paracadute non
fu più necessario. Ai Tenenti Tandura e Barnaba venne concessa, per i risultati
della missione, la Medaglia d’Oro al Valor Militare, mentre al Tenente
Ferruccio Nicolosio fu assegnata la Medaglia all’Ordine Militare dei Savoia.
Il
primo Ufficiale prescelto fu il TANDURA, originario di Vittorio Veneto, e per
l’atterraggio fu prevista una località ad est di tale cittadina. Fu il primo
paracadutista militare d’Italia. La sua avventura iniziò nel campo di volo
Villaverla-Thiene. L’operazione fu coordinata dagli inglesi, che oltre a
spiegargli l’uso del paracadute avevano il compito di lanciarli in territorio
nemico. Il pilota che guidò l’aereo in territorio nemico era il canadese Maggiore
W. Barker, che il quel periodo comandava la 139ª Squadriglia aerea di stanza
nel medesimo campo di volo. L’obiettivo era quello di carpire informazioni
circa l’effettiva consistenza dei reparti nemici al di là del Piave.
Il
1 agosto 1918 il Tenente Tandura viene informato dal Tenente Colonnello Dupont,
capo dell’Ufficio Informazioni dell’VIII Armata, della possibilità di rivedere
i suoi cari e nel contesto svolgere un attività di spionaggio in preparazione
dell’offensiva finale. Gli vengono illustrati i vari modi per arrivare in
territorio nemico, anche se ormai la decisione finale era già stata presa. Gli
viene prospettato un lancio mediante il paracadute ma, quando Tandura chiede di
poterlo vedere funzionare, Dupont gli fa presente che lo stesso costava molto
ed anche perché gli inglesi ne avevano consegnati così pochi all’Esercito Italiano
che non potevano essere sprecati. Tandura conosce quindi gli ufficiali inglesi
che lo porteranno in volo in pieno territorio nemico e che lo addestreranno nell’uso
del paracadute. Così riporta il Tenente Tandura nella sua biografia:
“1
agosto 1918
Intanto
passa anche il tempo e finalmente scocca l’ora in cui devo presentarmi al
Comando. Il colonnello Dupont capo dell’Ufficio Informazioni dell’VIIIArmata
senza preamboli, tocca il nocciolo di ciò che mi sta a cuore. Tre sono le
maniere per poter andare là. La prima passare il Piave di notte, vestito
daaustriaco, mediante dei fili tesi da sponda a sponda tra Pederobba e le Grave
di Ciano; la seconda atterrare con un aeroplano in una località del territorio
invaso; la terza è lasciarsi cadere per mezzo di un paracadute da un nostro
aeroplano, io credo, anzi sono certo, che questo ultimo mezzo sia il più
conveniente
e il più sicuro. […] Scusi, signor colonnello, le faccio osservare che io non
ho mai volato e tanto meno conosco il paracadute. Lei non abbia timore, non
dico dell’aeroplano, naturalmente il paracadute è sicurissimo. Vede? E cosi
dicendo il Ten. Col. Dupont presenta delle fotografie dove l’inventore, un
ufficiale inglese, si lanciava nel vuoto. Sta bene - risposi - Però ne
convenga, sarei lieto di vederlo funzionare. […] Alle ore 10.00 sono giunti gli
aviatori inglesi che mi vengono subito presentati: il Maggiore W. Barker,
pilota abilissimo e valorosissimo, squadrato come una lama di spada, che ha al
suo attivo trenta vittorie su apparecchi nemici, e il Capitano Onorevole
Welwood Benn, deputato alla Camera dei Comuni.”[1]
L’8
agosto 1918 Tandura viene accolto presso il campo di volo Villaverla-Thiene sia
dal Maggiore Barker che dal Capitano Welwood, che gli spiegano che il volo sarà
rinviato di un’ora o forse di due per alcune riparazioni all’aereo che lo
porterà in azione. Ha occasione di vedere il velivolo e il paracadute. Per il
lancio viene utilizzato un bimotore da ricognizione del tipo Savoia-Pomilio
S.P.2 , in cui è stato ricavato un sedile ribaltabile nella parte posteriore,
con l’ apertura comandata dall’ufficiale osservatore. Il paracadute,
adeguatamente protetto, viene fissato sotto la fusoliera. Tandura ha paura. Per
la prima volta si trova di fronte a una cosa ignota, ma da bravo ardito si fa forza.
Giunge poi l’ora della partenza e dei saluti e ha inizio la missione. L’operazione
si sviluppa con un tempo quanto mai inclemente in quanto l’aereo incappa in un
terribile temporale, che mette a durissima prova uomini e macchina. Una volta
arrivati sull’obiettivo, nonostante le pessime condizioni atmosferiche e la
mancanza di esperienza in operazioni del genere, l’aviolancio riesce.
Il
Tenente Tandura descrive così il momento del suo arrivo presso il campo di volo
Villaverla-Thiene l’8 agosto 1918:
“8
agosto 1918
Appena
giunto nel Campo di Villaverla, tutti gli ufficiali inglesi addetti ci vengono
incontro, il Maggiore W. Barker e il Capitano On. Welwood mi dicono che la
partenza sarà rinviata di un ora o forse due, perché devono essere eseguite
delle riparazioni. Voglio vedere il mio velivolo: è un Savoja Pomicio da bombardamento.
Ho un certo senso di titubanza, e il sangue accelera il suo corso e le tempie
battono. È l’emozione per il primo volo. L’apparecchio mi pare qualche cosa di
morto, un enorme giocattolo. Ne tocco le ali con tremore, come se avessi
toccato quelle di un pipistrello. Poi mi fanno vedere il paracadute. È composto
da un ombrello di seta nera, del diametro di due metri e mezzo; agli orli della
tela dell’ombrello un’infinità di cordicelle si stacca, per raccogliersi, alla
distanza di due metri in un punto dal quale parte una grossa corda di caucciù
del diametro di quattro centimetri e della lunghezza pure di due metri.
All’estremità si sfrangia un complesso di cinghie a bretella, a cintura, a
cavallo che avvolgono il torso e lo avvinghiano saldamente. […] Mi sedetti dove
mi dissero di sedermi: in quella posizione avevo le gambe che penzolavano nel
vuoto. Accomodarono l’estremità superiore del paracadute sotto la tavoletta in
cui stavo seduto; distinguevo la corda di caucciù scendere dalle mie spalle per
finire sotto la carlinga. Il campo di Villaverla-Thiene era illuminato da un
potente riflettore, posto in un angolo, per le segnalazioni. […] Pronti! Gridò
una voce. […] Pronti risposero. […] Due fiamme uscirono dagli scappamenti,
lacerati, e l’aeroplano lambì il terreno per prender quota. […] Ora il motore è
spento ed io ho la sensazione che l’apparecchio discenda. Sento benissimo la
voce dei due aviatori che discorrono tra loro. Levo il tappo della bottiglia e
bevo un sorso di cordiale. Quando meno me l’aspetto la botola, su cui ero
seduto, si apre e mi sento precipitare nel vuoto. Ah…viene in me un solo senso;
le orecchie sono straziate da un sibilo che mi devasta il cervello. L’incubo
dei sogni orribili! Ma subito ho l’impressione di essere sollevato, di tornare
in su. Alzo gli occhi e vedo il paracadute aperto. La pioggia mi sferza il
viso. Oso guardare in basso e vedo strade e campi che ridono in un’altalena
infernale. Mi smarrisce, perdo i sensi… e un attimo. Ad un tratto, colpito
fortemente al petto, mi trovo a terra, con le gambe all’aria. Lanciato nel
vuoto da circa 1500 metri d’altezza ero caduto in un vigneto, mentre infuriava
il temporale.”[2]
Il
Tenente, sia pure fradicio per la pioggia e stordito per la grande botta che
riceve toccando terra al buio, inizia la sua preziosa missione. Atterra sul
vigneto del parroco a San Martino di Colle vicino al fiume Meschio. Deve
raggiungere una località di Vittorio Veneto a quota 886 m sulle pendici di Col Visentin,
per raccogliere informazioni da inviare tramite un cifrario con dei piccioni
viaggiatori che gli sarebbero stati paracadutati in seguito. Seppellito il
paracadute, non più richiudibile, e l’uniforme si traveste con abiti da
contadino. Incontra una donna del luogo alla quale dice di essere un
prigioniero fuggito e le consegna una lettera da recapitare a Vittorio Veneto
ai suoi familiari. La donna acconsente e lo informa che senza documenti
regolari non si può circolare. Poche ore dopo la sorella e la fidanzata (che
saranno poi decorate con medaglia d’argento) incontrano il Tenente nel luogo
pattuito dove prendono accordi per passare successivamente le informazioni
militari nel suo nascondiglio a quota 886 m. Gli saranno fornite le lenzuola necessarie
per segnalare agli aerei la sua posizione. Tandura individua ferrovia, filovia,
strade e trincee nemiche, e nelle sue perlustrazioni incontra tre alpini di
Vittorio Veneto riparati sul Visentin per non cadere prigionieri durante la
ritirata di novembre. Si accorda con loro ed altri che sono alla macchia, per
recuperare i piccioni viaggiatori, stabilendo di vedersi ogni giorno ad un’ora
fissa. Inizia così il servizio d’informazioni, con la collaborazione della
gente locale, che si protrae fino al 23 settembre con 16 note inviate tramite
32 spedizioni di piccioni. Accade anche che un contadino recupera dei piccioni,
ma anziché darli al Tandura, insiste per consegnarli a un Capitano dei
bersaglieri che opera sul versante bellunese del Visentin. Tandura intuisce che
può accrescere la sua rete e si accorda per un appuntamento il 31 agosto con
questo sconosciuto Capitano. Dopo varie peripezie, viene arrestato dai gendarmi
nei pressi di Vittorio Veneto ma riesce a fuggire, incontrando il Capitano dei
bersaglieri Luigi Ardoino con il quale prende accordi e contatti futuri. La
presenza del Tandura oramai è nota agli austriaci che affiggono bandi pubblici
con pena di morte per chi collabora con gli italiani o detiene piccioni
viaggiatori. La casa del Tandura viene perquisita, ma la madre mostra una
cartolina del figlio come prova che si trova al di là del Piave. Le notizie
raccolte tramite la sorella, la fidanzata e un’ufficiale austriaco, conosciuto
nel corso della sua permanenza e che nutre sentimenti italiani, vengono
inoltrate al suo comando. La sua missione è terminata, gli viene ordinato di rientrare
il 23 settembre, prima della data prefissata. Ma nel tragitto per raggiungere
il luogo dell’appuntamento tra il fiume Meduna e Cellina, viene catturato dagli
austriaci e assegnato alla 71esima compagnia prigionieri con destinazione
lavori stradali in Serbia. Nel tragitto ferroviario, tra Sacile e Pordenone il
treno rallenta in prossimità della stazione di Fontanafredda. Tandura si butta
dal finestrino e riesce a fuggire. Per due giorni non parla e non mangia. Dopo
un mese si riprende. Gli ultimi giorni di ottobre ha notizia dell’offensiva
italiana, ancora convalescente raggiunge il suo nascondiglio a quota 886 m e organizza
una serie di azioni di sabotaggio ai telefoni e alla filovia degli austriaci. Per
altre due volte viene arrestato e sfuggendo in entrambi i casi.
Nella
sua missione di spionaggio Alessandro Tandura è riuscito a ridare dignità di combattenti
a tutti quelli sbandati, disertori o soltanto fuggiaschi che, dopo Caporetto, non
erano riusciti a ricongiungersi con i propri reparti e raggiungere con questi
la sponda destra del Piave, dandosi alla macchia in attesa di tempi migliori.
Salvò la vita a molti giovani che sotto la sua guida si erano organizzati in
vere e proprie “bande armate” che costituirono una spina nel fianco per l’esercito
austro-ungarico, sabotando ponti e ferrovie e modificando la segnaletica stradale
per creare caos nei trasporti del nemico. Durante la battaglia di Vittorio
Veneto, queste “bande”, costituite dal Tandura, contribuirono a stringere gli
austriaci nella morsa finale.[3]
Dal
punto di vista informativo, le sue informazioni sul nemico furono molto utili,
come quelle degli altri Ufficiali aviolanciati successivamente, per impostare
nel migliore dei modi la battaglia finale di Vittorio Veneto, consentendo
all’VIII Armata di entrare in azione con la piena coscienza delle unità che
aveva di fronte e della loro dislocazione, che portò alla vittoria finale e,
quindi, alla fine della guerra. Per il supporto offerto al Tenente la sorella Emma
Tandura e la fidanzata Maddalena Petterle furono entrambe insignite della
Medaglia d’Argento al Valor Militare. Il Tenente Tandura morirà il 30 dicembre
1937 per un attacco cardiaco a Mogadiscio dove si trovava in servizio. Per la
perizia e l’ardimento dimostrati e per l’efficacia del suo operato venne
decorato con la massima onorificenza, la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
giovedì 10 aprile 2025
Tesi di Laurea Luigi Di Lorenzo Spionaggio e Contro spionaggio durante la Prima Guerra Mondiale. Indice e Premessa
Master I Livello in
“Terrorismo e Antiterrorismo Internazionale.
Obiettivi, Piani e Mezzi”
“SPIONAGGIO E CONTROSPIONAGGIO DURANTE
LA PRIMA GUERRA MONDIALE”
Analisi e considerazioni
INDICE
Premessa pag.
2
Introduzione pag.
3
I.
Intelligence italiana durante la Grande
Guerra pag. 5
II.
Il triangolo “segreto”
a.
Papa Benedetto XV e lo Stato Italiano pag.
10
b. Attacco
al cuore dei servizi austroungarici pag.
15
III.
I primi paracadutisti pag.
18
IV.
Metodologia pag. 24
Conclusioni pag.
26
BIBLIOGRAFIA
e SITOGRAFIA pag.
28
PREMESSA
Il
mio intento in questa tesi è quello di capire e far capire le metodologie con
le quali i servizi d’informazione, delle potenze mondiali, Italia e Impero
Austro-ungarico, agli inizi del novecento, operavano in “incognito” per portare
a proprio favore le sorti della guerra, proteggendo i propri interesse
nazionali. Uomini e donne aventi diverse abilità, capacità, maestrie e con
scarse conoscenze nel settore, venivano utilizzati come pedine spionistiche per
carpire più informazioni possibili dai nemici o addirittura progettare e
mettere a segno attentati contro gli obiettivi sensibili del nemico, al fine di
indebolirlo. La materia è così vasta da richiedere moltissimo tempo per essere
trattata nella sua interezza. Ho pensato allora di svilupparla nel seguente
modo descrivendo alcuni episodi, non conosciuti a tutti, ma che in qualche modo
hanno influenzato le sorti italiane nel primo conflitto mondiale.
La
tesi si divide in quattro capitoli:
Il
primo capitolo riguarda il Servizio d‘Informazione dell’Esercito Italiano, la
sua evoluzione e i rapporti con gli altri uffici del Comando Supremo.
Il
secondo capitolo riguarda due episodi nei quali si sono resi protagonisti:
Vaticano, Italia; Impero Austro-ungarico. Un triangolo “segreto” dato che ci fu
una vera e propria guerra tra i diversi apparati di intelligence. Il caso
Gerlach, cappellano e maggiordomo segreto di Papa Benedetto XV nonché spia dell’Impero
Austro-ungarico, peggiorò le già deboli relazioni tra la Santa Sede e lo Stato
Italiano. Condannato all’ergastolo in contumacia, poiché ritenuto responsabile
di aver passato informazioni italiane ai servizi segreti austriaci e di aver
causato l’affondamento delle due corazzate italiane, riuscì a fuggire all’arresto. A seguito di
questo caso ci fu il “colpo di Zurigo”, ardita azione compiuta dai servizi
segreti italiani che permise di individuare e neutralizzare la centrale dello
spionaggio austro-ungarico.
Il
terzo capitolo riguarda il reclutamento da parte del Servizio Informazioni,
dalle file dell’esercito, del Tenente Tandura, primo paracadutista militare,
aviolanciato oltre le linee nemiche per acquisire informazioni sulle truppe
austriache in virtù della cruciale battaglia di Vittorio Veneto che sancì il
primo passo alla vittoria italiana nella prima guerra mondiale.
Il
quarto capitolo, infine, riguarda la metodologia con la quale sono stati messi
in atto i vari episodi rappresentati nei capitoli precedenti.