Un nuovo indirizzo per questo blog

Dal 2019 questo blog ha riportato la collaborazione del CESVAM con la Sezione UNUCI di Spoleto. Con la presidenza del Gen Di Spirito la Sezione ha adottato un indirizzo di ampio respiro che si sovrappone a molti indirizzi del CESVAM stesso. pertanto si è deciso di restringere i temi del blog al settore delle Informazioni in senso più ampio possibile, e quindi all'Intelligence in tutti i suoi aspetti con note anche sui Servizi Segreti come storia, funzioni, ordinamenti. Questo per un contributo alla cultura della Sicurezza, aspetto essenziale del nostro vivere collettivo

Traduzione

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

Contro tutti e tutto. I soldati Italiani nei Balcani nel 1943

Il Volume "La Divisione "Perugia" Dalla Tragedia all'Oblio" è disponibile in tutte le librerie. ISBN 886134305-8, Roma, 2010, Euro 20,00 pag. 329.



Ordini: ordini@nuovacultura.it, http://www.nuovacultura.it/ Collana storia in laboratorio;

Un Triste destino per la Divisione "Perugia"

Un Triste destino per la Divisione "Perugia"
La Divisione "Perugia" avrebbe avuto miglior sorte se Informazioni ed Intelligence avessero trovato più ascolto presso i Comandi Superiori

Cerca nel blog

venerdì 27 maggio 2016

Austria: un problema che rileva l'egoismo austriaco

Unione europea
Austria e minacce populiste assediano l’Ue 
Matteo Garnero, Eleonora Poli
19/05/2016
 più piccolopiù grande
Mentre a Londra il partito laburista festeggia il trionfo elettorale del proprio candidato, Sadiq Khan, in Austria i rappresentanti dei partiti tradizionali dovranno probabilmente considerare una ristrutturazione interna, dopo il fallimento dei loro candidati, il popolare Andreas Kohl e il socialdemocratico Rudolf Hundstorfer.

In effetti, durante le elezioni presidenziali dello scorso 24 aprile, i due partiti hanno ottenuto poco più dell’11% dei voti, lasciando via libera a Norbert Hofer, leader del Partito della Libertà, Fpö, guidato da Heinz-Christian Strache.

Con una campagna nazionalista e anti-immigrazione, l’Fpö è infatti riuscito a sbaragliare i partiti tradizionali, assicurandosi la maggioranza relativa dei voti (36,4%). Nel ballottaggio del 22 maggio, dovrà ora affrontare il candidato indipendente (ma comunque sostenuto dal partito dei Verdi) Alexander van der Bellen che ha ottenuto il 20,4% dei voti.

Il cancelliere socialdemocratico Werner Faymann ha rassegnato le proprie dimissioni, lasciando il posto a Christian Kern, nel tentativo di fermare il crollo di consensi del governo di coalizione.

L’importanza delle elezioni in questione è più simbolica che sostanziale, dal momento che il ruolo del Presidente, così come previsto dalla costituzione dell’Austria, è formalmente di rappresentanza. Ciononostante, il risultato del primo turno delle elezioni presidenziali rappresenta un dato in linea con un allarmante trend, che vede i movimenti populisti assediare le porte dei governi europei.

Euroscettici e xenofobi a nord…
Pochi mesi fa l’Unione europea, Ue, era stata scossa dalla vittoria elettorale del partito euroscettico e di estrema destra francese, Front National, nel primo turno delle regionali con il 27,7% dei voti su scala nazionale.

In questo frangente, buona parte dell’elettorato ha sostenuto i candidati repubblicani (Les Républicains, 27%) e socialisti (Parti socialiste, 23%) nei ballottaggi, evitando che il FN ottenesse il controllo di qualsivoglia regione, sebbene abbia registrato il più consistente supporto elettorale della sua storia politica, con quasi 7 milioni di voti.

Più recentemente, in occasione delle elezioni in alcuni Stati federali tedeschi, il partito anti-immigrazione Alternative für Deutschland ha consolidato la propria posizione come terza forza politica della Germania, in aperta contestazione alle politiche della Cancelliera Angela Merkel.

Allo stesso tempo, con un sostegno che oscilla fra il 16-17% rispetto al 12,6% ottenuto nelle elezioni parlamentari dello scorso anno, la legittimità del partito indipendentista britannico, Ukip, sta aumentando grazie al referendum sulla Brexit del giugno prossimo.

…anti-austerity a sud 
Diversamente dal Nord Europa, il malcontento dei cittadini del Sud si è manifestato tramite partiti populisti di sinistra, soprattutto a causa delle politiche di austerità adottate dai governi nazionali per risanare le economie locali.

In Spagna, il partito eurocritico Podemos ha ottenuto un buon risultato nelle elezioni del dicembre scorso con oltre il 20% dei voti, mentre in Grecia, Syriza è ormai al potere da più di un anno. In Italia, invece, il Movimento 5 Stelle, che rifiuta ogni tipo di categorizzazione politica, ha però inserito nella propria piattaforma politica molte istanze della sinistra come la necessità di introdurre un reddito di cittadinanza.

Fpö punta sul malcontento
A prescindere dal colore politico del populismo austriaco, le ragioni del successo elettorale dell’Fpö vanno ricercate nella sfiducia comune a tutti i cittadini europei nei confronti della classe politica tradizionale, apparentemente incapace di rilanciare l’economia e gestire la crisi migratoria.

In Austria, il tasso di disoccupazione al 5,8% è decisamente inferiore rispetto alla media europea (10,2%), ma ha avuto un incremento ondivago, intorno al 2%, a seguito alla crisi finanziaria globale. A questo si deve aggiungere l’impatto determinato dagli oltre 90mila fra migranti e rifugiati, giunti in Austria nel corso del 2015.

Sul tema, il governo ha assunto posizioni contraddittorie, dapprima adottando una politica di accoglienza come fatto dalla Germania nel corso del 2015, per poi rivedere le proprie posizioni durante l'inverno, alla luce della crescita nei sondaggi dell’Fpö e del consistente afflusso di migranti e richiedenti asilo.

Il governo guidato dal cancelliere Faymann, (ora dimissionario), ha progressivamente introdotto nuovi controlli ai confini, oltre a fornire esplicito supporto alla chiusura della rotta balcanica. Dopo l'introduzione di quote di accesso e limiti alle richieste di asilo giornaliere, l'Austria ha concentrato la propria attenzione sul confine meridionale, annunciando il progetto di introdurre nuovi controlli e recinzioni al passo del Brennero.

Già nel 2014, le elezioni del Parlamento europeo avevano reso evidente il crescente peso esercitato dai partiti populisti, mettendo in luce la necessità di politiche efficaci in risposta alle domande dei cittadini. Poco sembra essere cambiato.

Con una crescita economica in media limitata (+0,5% nel primo trimestre del 2016), una disoccupazione giovanile al 19,1% e i tentativi tardivi e poco ortodossi di controllare le onde migratorie, i governi dei Paesi membri dell’Ue non sembrano in grado di far fronte ai problemi che attanagliano i cittadini europei.

Le recenti elezioni di Londra hanno dimostrato che il cambiamento, quando abbracciato da partiti tradizionali, risulta vincente. Questa è una lezione che i partiti tradizionali europei devono prendere in considerazione per non lasciare maggiore spazio ai partiti populisti che, catalizzando sul diffuso malcontento dei cittadini, hanno terreno fertile per un pericoloso consolidamento nella scena politica europea.

Matteo Garnero è stagista dell’area Europa dello IAI.
Eleonora Poli è ricercatrice dello IAI
.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3458#sthash.uXAVXZij.dpuf

lunedì 16 maggio 2016

I Mari italiani e l'ambiente

Politica marittima
Non solo trivelle: la protezione dei mari d’Italia
Fabio Caffio
10/05/2016
 più piccolopiù grande
Rilanciare la tutela ecologica del mare da tutti i rischi che lo minacciano potrebbe essere un obiettivo da perseguire in attesa che le rinnovabili assumano priorità secondo l'Accordo di Parigi sul clima (Cop21).

Magari, avendo di mira la cooperazione transfrontaliera con i paesi vicini. Ed assumendo un approccio pragmatico sulle attività offshore energetiche, in linea con la visione dell'Unione europea (Ue) che non è certo sostenitrice ad oltranza del fossile.

Offshore europeo
La Ue ha valutato, all'indomani dell'incidente del Golfo del Messico del 2010, l'opzione della moratoria delle trivellazioni, ma ne ha escluso la fattibilità per motivi economici.

Non a caso, le istituzioni europee hanno approvato la strategia della Energy Security, volta a conseguire stabilità e abbondanza energetica anche mediante sfruttamento delle risorse nazionali di idrocarburi, ad evitare dipendenza extra Ue, in primis dalla Russia.

Come precondizione è stata però varata la direttiva 2013/30 relativa alla sicurezza delle operazioni in mare, fissando standard di responsabilità, prevenzione e controllo che il ministero dello Sviluppo economico ha prontamente recepito con il decreto legislativo 145/2015.

Inoltre, la Ue ha indicato, nell'ambito della direttiva 2014/89 sulla pianificazione spaziale marina, l'esigenza che la creazione di zone di giurisdizione nazionale tenga anche conto dei rischi associati agli usi del mare, compresi l'estrazione di idrocarburi con impianti di trivellazione e la produzione di energie rinnovabili in wind farms marine di gigantesche pale eoliche.

Ecologismo marittimo italiano
L'impegno del nostro paese nella tutela dell'ambiente marino è testimoniato dall'ultradecennale applicazione della legge 979/1982 sulla difesa del mare: normativa organica che ha generato aree marine protette, lotta agli inquinamenti costieri, capacità antinquinamento gestite da Marina militare, Guardia costiera e società private in convenzione con il ministero dell'Ambiente.

La legge 61/2006 ha successivamente previsto la possibilità di istituire, al di là del mare territoriale, la zona di protezione ecologica (Zpe). Vale a dire una zona economica esclusiva (Zee) di genere minore, relativa alla sola protezione ecologica e non alla pesca, il cui regime di prevenzione e repressione si applica a tutte le forme di inquinamento marino, comprese quelle "da attività di esplorazione e di sfruttamento dei fondi marini".

La spinta alla creazione di Zpe si è esaurita con la nascita (ad opera del Dpr 209/2011) di quella del Tirreno e del Mar Ligure, speculare rispetto alla Zee francese e sovrapposta al già esistente santuario dei mammiferi italo-franco-monegasco.

C'è da chiedersi, sull'onda referendaria, se l'istituzione di nuove Zpe in altre zone specifiche dei mari d'Italia non sia opportuna, per proteggere anche dal largo - in quello che ora è alto mare - l'ambiente costiero minacciato da vari rischi.

Del resto, la Croazia lo ha fatto nel 2003 senza negoziare con noi il confine, la Tunisia nel 2005, la Libia nel 2009. Per non parlare delle varie iniziative cipriote di delimitazione congiunta di Zee e piattaforma continentale.

Foto: aree offshore della Croazia (Fonte Sole-24 Ore).

Certo è che nuove Zpe (o addirittura Zee integrali, considerando il trend della prassi mediterranea) verrebbero incontro alle istanze ecologiste di regioni come l'Abruzzo, la Puglia e la Sicilia.

Pragmatismo Ue
È illusorio pensare di arroccarsi nella difesa ambientale dei mari italiani quando a poche miglia altri stati pianificano ed attuano un sistematico sfruttamento energetico secondo regole non sempre adeguate.

Italia e Croazia, superando le incomprensioni derivanti dall'iniziativa del 2003, potrebbero riavviare la cooperazione italo-jugoslava iniziata nel 1974 con la Commissione per la protezione dell'Adriatico, associando magari Montenegro ed Albania.

Senza dubbio, un'intesa ecologista con la Tunisia verrebbe incontro ad esigenze reali, oltre che essere politicamente fruttuosa. D'altronde, simili accordi sono previsti dal Protocollo offshore del 1994 sulla protezione del Mediterraneo dall’inquinamento da esplorazione e sfruttamento della piattaforma continentale, già ratificato da Tunisia ed Ue. Peraltro, la moratoria italo-maltese sulle trivellazioni a sud est della Sicilia di fatto va in questa direzione.

L'unilateralismo ecologista ed energetico può certo accreditare un'immagine virtuosa dell'Italia. Questa policy, a prescindere dai suoi costi economici nel medio periodo e dal beneficio che ne trarrebbero paesi concorrenti, rischia tuttavia di isolarci. Nella Ue certe logiche sono invece improntate al pragmatismo, pur nel rispetto degli impegni internazionali sul clima.

Se così è, tanto vale allora attuare gli strumenti della sicurezza delle operazioni in mare nel settore idrocarburi, del Protocollo offhore e della pianificazione spaziale marina (in cui si inquadrano iniziative di nuove Zpe) per realizzare, in tempi ragionevoli ed in forma coerente e razionale, legittime aspettative di riduzione dell'impatto sul mare dell'offshore energetico.

Fabio Caffio è Ufficiale della Marina militare in congedo, esperto in diritto internazionale marittimo
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3444#sthash.jpAcaP5N.dpuf

venerdì 6 maggio 2016

Un caso infinito. Le condizioni del rientro dei Marò

Caso Marò
Girone in Italia, in attesa di mosse diplomatiche
Natalino Ronzitti
08/05/2016
 più piccolopiù grande
In attesa della costituzione del Tribunale arbitrale, che sarebbe dovuto entrare in funzione a norma dell’annesso VII alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, l’Italia aveva chiesto al Tribunale internazionale del diritto del mare (Amburgo) una misura provvisoria volta al rientro di Salvatore Girone e alla permanenza di Massimiliano Latorre in Italia.

Ma il Tribunale, con l’ordinanza del 24 agosto scorso, aveva congelato la situazione: permanenza in Italia di Latorre per motivi di salute; libertà vigilata in India di Girone. Di qui la mossa italiana di chiedere al Tribunale arbitrale, una volta istituito, una nuova misura provvisoria consistente nel rientro di Girone in Italia.

Il Tribunale, con ordinanza del 29 aprile resa pubblica qualche giorno dopo, ha accolto la richiesta italiana, con alcune condizioni, che non hanno reso possibile l’immediato rientro di Girone, tuttora a New Delhi, ospitato dalla nostra Ambasciata, e con l’obbligo di firma settimanale presso la polizia indiana.

Il Tribunale arbitrale dovrà decidere se la giurisdizione sull’affare dei due fucilieri di marina, imbarcati sul mercantile italiano Enrica Lexie e accusati di aver ucciso nel 2012 due pescatori indiani scambiati per pirati, spetti all’India o all’Italia. I tempi sono già stati calendarizzati e la sentenza non è prevista prima del 2018. I due Marò dovranno quindi vivere nell’incertezza, tranne che un negoziato diplomatico sblocchi la situazione e porti ad una estinzione anticipata della controversia.

Le condizioni del rientro 
Per consentire alla domanda italiana di rientro in Italia di Girone in attesa della decisione finale sulla giurisdizione, l’India ha preteso e ottenuto adeguate garanzie, prima fra tutte il ritorno di Girone in India qualora il Tribunale dovesse optare per la competenza indiana a giudicare i Marò. A tal fine, l’Italia ha formalizzato l’impegno in una dichiarazione ad hoc, accettata dal Tribunale come un atto giuridicamente vincolante.

Sul punto è da rimarcare l’atteggiamento non ostativo dell’India, che, durante il procedimento presso il Tribunale internazionale del diritto del mare sopra ricordato, aveva rimarcato come l’Italia non è uno stato che rispetta il diritto internazionale, non avendo dato esecuzione alla sentenza Germania c. Italia resa dalla Corte internazionale di giustizia nel 2012.

Ma vi è di più. India e Italia dovranno cooperare, anche di fronte alla Corte suprema indiana, cui spetterà decidere le precise condizioni per il rientro, tra cui: obbligo per l’Italia di assicurare che Girone faccia rapporto, ad intervalli regolari, ad un’autorità italiana designata dalla Corte suprema indiana; consegna del passaporto alle autorità italiane e proibizione per Girone di lasciare l’Italia senza il permesso della Corte suprema; obbligo per l’Italia di informare la Corte suprema ogni tre mesi sulla situazione di Girone in Italia.

Infine, Italia e India dovranno informare il Tribunale sulle misure intraprese per dare effetto alla decisione del Tribunale e se, entro tre mesi non viene consegnato nessun rapporto, il presidente del Tribunale potrà acquisire autonomamente tutte le informazioni necessarie (e successivamente quando lo riterrà opportuno). Di qui la speranza che entro tre mesi siano soddisfatte tutte le condizioni e Girone rientri in Italia, quantunque non sia stata fissata una data certa.

Permanenza di Latorre in Italia 
Girone potrà rientrare in Italia, ma resta sotto la giurisdizione della Corte suprema indiana fino a quando il Tribunale arbitrale non deciderà a quale dei due ordinamenti giuridici spetti di giudicare. Lo ha detto a chiare lettere il Tribunale e lo ha subito ribadito il ministro dell’informazione indiano. Comunque per il momento teniamoci il successo e operiamo affinché Girone possa rientrare sollecitamente in Italia, prima della data limite dei tre mesi.

Piuttosto sorge un altro problema, che riguarda l’altro Marò, Latorre, attualmente in Italia per motivi di salute. L’ordinanza del Tribunale riguarda solo Girone e, da parte italiana, nel richiedere le misure provvisorie era stato saggiamente ribadito che il procedimento riguardava il solo Girone, dando per scontato che la situazione di Latorre era stata congelata dall’ordinanza del Tribunale internazionale del diritto del mare e che quindi l’India non ne avrebbe potuto richiedere la riconsegna.

Interpretazione, tuttavia, non avallata da parte indiana, che è rimasta silente di fronte alle prese di posizione delle nostre autorità. Sta di fatto che la Corte suprema indiana ha concesso a Latorre una serie di proroghe per la permanenza in Italia, l’ultima delle quali risale a qualche giorno fa, avendo la Corte concesso un’ulteriore proroga fino al 30 settembre 2016. Cosa succederebbe se a fine settembre la Corte suprema con concedesse una nuova proroga. Si aprirebbe un altro contenzioso?

La fase delicata del post-ordinanza
Nel commentare l’ordinanza, qualcuno ha detto che l’Italia ha scoperto il diritto internazionale! Un giudizio un po’ affrettato, poiché l’Italia ha seguito il diritto internazionale nella vicenda, poiché ha sempre avanzato argomentazioni giuridiche per difendere il principio della sua giurisdizione esclusiva sui Marò. Anche il ricorso a misure unilaterali, come il maldestro tentativo di non far rientrare in India i Marò dopo la licenza elettorale, era comunque ammantato da considerazioni giuridiche.

Piuttosto è vero che il ricorso all’arbitrato ha impresso una nuova svolta, abbandonando la tattica errata di difendersi “nel” processo invece che “dal” processo dinanzi alle giurisdizioni indiane.

Ora si pone una fase delicata. Occorrerà che Italia ed India diano prova di grande duttilità e cooperazione per non rendere nuovamente incandescente la controversia. Meglio sarebbe se il negoziato diplomatico, che con alterne vicende non si è mai interrotto, portasse a una soluzione anticipata della controversia senza attendere i tempi lunghi del Tribunale.

Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e consigliere scientifico dello IAI.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3441#sthash.Fa3Tg7Zt.dpuf

mercoledì 27 aprile 2016

Una minaccia alla stabilità

Europa
Obama a Londra, Brexit spaventa anche Usa
Riccardo Alcaro
22/04/2016
 più piccolopiù grande
Nonostante il sostegno popolare di cui ancora gode in Europa, Barack Obama non si è mai contraddistinto come un entusiasta sostenitore della relazione transatlantica.

Il presidente Usa vede l’alleanza con gli europei in chiave pragmatica, se non strumentale: essa serve gli interessi americani nella misura in cui gli europei contribuiscono alla sicurezza del loro vicinato orientale e meridionale - un’area di interesse strategico per l’America - e alla gestione delle questioni di governance globale come il riscaldamento climatico.

Durante il suo mandato, Obama ha più volte sollecitato gli europei a offrire questo contributo, qualche volta con buoni risultati (Iran, Russia), altre con risultati decisamente più scoraggianti (Afganistan, Libia). Quando il contributo è mancato, Obama si è raramente speso per ottemperarvi con risorse proprie.

Alla luce di ciò, può sorprendere che il presidente Usa abbia accettato l’invito del premier britannico David Cameron a perorare apertamente la causa della permanenza del Regno Unito nell’Ue. Cameron spera che la visita di Obama dia una mano alla campagna per il Sì (a restare nell’Ue) nel referendum in programma il prossimo 23 giugno.

Al momento, i sondaggi danno i due campi più o meno alla pari. La possibilità di una Brexit - dell’uscita, cioè, del Regno Unito dall’Ue - è pertanto un’ipotesi plausibile, tanto plausibile, anzi, da spingere il più importante leader politico del mondo ad impegnarsi personalmente per scongiurarla.

La relazione speciale con il Regno Unito
Ma perché la Brexit interessa tanto un presidente che si è caratterizzato più che altro per la sua vocazione verso il Pacifico e per la sua tendenza a trasferire maggiori responsabilità agli europei?

In primo luogo, perché la relazione speciale con il Regno Unito perderebbe parte del suo appeal se Londra dovesse abbandonare l’Ue; in secondo luogo, perché la Brexit potrebbe risultare in un processo di generale destabilizzazione economica e politica dell’Europa, in un momento in cui invece gli americani hanno bisogno di partner affidabili, coesi e propositivi per far fronte al revanscismo russo da una parte e dall’altra per arginare l’instabilità dilagante in Nord Africa e Medio Oriente.

La special relationship tra Londra e Washington si fonda su tre capisaldi: la cooperazione militare e di intelligence; il sostegno britannico alle maggiori iniziative internazionali degli Usa; la capacità di convogliare i desiderata americani all’interno dell’Ue, garantendo così agli Stati Uniti una maggiore influenza a Bruxelles.

La Brexit ridurrebbe il valore della relazione anglo-americana sotto tutti e tre questi profili. Impegnato nel difficile negoziato di separazione dall’Ue, il Regno Unito potrebbe non essere in grado di assicurare lo stesso livello di cooperazione in campo militare offerto agli Usa nel post-Guerra fredda.

Già ora, nonostante il referendum sia ancora da tenersi, è la Francia piuttosto che un Regno Unito assorbito dai suoi problemi interni a fornire a Washington le migliori garanzie di appoggio militare, dal Sahel al Golfo Persico.

Fuori dall’Ue, un paese isolato
Uscito dall’Ue, il Regno Unito si troverebbe più isolato internazionalmente e vedrebbe il suo prestigio e status diminuire. Invece che guidare uno dei principali paesi di un’organizzazione integrata e di un mercato comune di 500 milioni di consumatori, il governo britannico non rappresenterebbe che se stesso. La sua capacità di contribuire alle iniziative internazionali degli Usa verrebbe pertanto ridotta.

Infine, una volta fuori dall’Ue i britannici perderebbero la capacità di veicolare il consenso interno all’Ue su questioni che stanno a cuore agli Usa, come la gestione della sicurezza in Medio Oriente o il rafforzamento dei legami con i paesi dell’Europa orientale minacciati dalle interferenze russe, il libero commercio o il gran numero di iniziative di cooperazione su cui l’Ue ha voce in capitolo (come il trasferimento di informazioni in chiave anti-terrorismo).

Più preoccupante di tutto è, però, per Obama la prospettiva che una Brexit inneschi una crisi di governance e legittimità irreversibile in Europa, favorendo l’ascesa di partiti anti-sistema che possa infine portare alla frammentazione dell’Ue e ad ulteriori sconvolgimenti nei mercati internazionali.

La magia del presidente
A ben vedere, quindi, al presidente Usa non mancano davvero buone ragioni per ignorare le accuse di ingerenza esterna rivoltegli dalla campagna per il No e ammonire i sudditi di Sua Maestà delle conseguenze - tutte negative - di una Brexit.

E come ad Obama non mancano nemmeno a tutti gli altri governi europei. Non resta che sperare che al presidente Usa sia rimasto ancora quel pizzico di magia che gli ha tanto ingraziato le folle europee nel 2008 e che il pubblico britannico sia ricettivo al suo messaggio. L’alternativa potrebbe andare a danno di tutti.

Riccardo Alcaro è responsabile di ricerca dello Iai e non-resident fellow presso la Brookings Institution di Washington.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3422#sthash.sKv9XqYu.dpuf

martedì 12 aprile 2016

Corso di Alta Formazione: Dal Peacekeeping al Peaebulding:gestire i conclitti per la pace. Bando ed Iscrizione. Scadenza 25 aprile 2016

SCUOLA DI AGGIORNAMENTO E ALTA FORMAZIONE
“Giuseppe Arcaroli ”

Chi è interessato può contattare: massimo coltrinari all'indirizzo di posta:coltrinari2011@libero.it


Anno Accademico 2015-2016

Enti promotori

La Scuola di aggiornamento e alta formazione “Giuseppe Arcaroli”, istituita dall’ANVCG - Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra Ente Morale (D.C.P.S. 19 gennaio 1947) e dall’ANRP  - Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia, dall’Internamento, dalla Guerra di Liberazione e loro familiari  (Ente Morale D.P.R. 30 maggio 1949), è rivolta in particolare alla trattazione dei temi relativi ai diritti umani e ai conflitti, al fine di esaminare le conseguenze di questi ultimi nei confronti degli stessi belligeranti, dei prigionieri o feriti e della popolazione civile, nonché allo scopo di sottolineare che  la  violazione dei diritti umani, sempre di più, accende la responsabilità penale dei singoli di fronte alla Comunità internazionale in quanto tale.
Il tratto distintivo della Scuola è la multidisciplinarietà, caratteristica che permette di approfondire la tematica dei diritti umani nelle sue varie sfaccettature e di promuovere, inoltre, l'insieme delle attività formative in linea con le attuali dinamiche, volte ad assicurare un pieno rispetto dei diritti e dei bisogni delle vittime dei conflitti armati, a ridurre mali superflui e sofferenze inutili, nonché a facilitare il processo di riconciliazione e pace.



Corso di alta formazione anno accademico 2015-2016

Dal Peacekeeping al Peacebuilding:
gestire i conflitti per costruire la pace




Documentazione scaricabile:


giovedì 24 marzo 2016

venerdì 18 marzo 2016

Mosca: il suo ritorno nella scena internazionale

Putin centometrista o maratoneta?
La forza della Russia alla prova dei tempi lunghi
Paolo Calzini
13/03/2016
 più piccolopiù grande
Il ritorno di Mosca sulla scena internazionale, caratterizzato da un risoluto utilizzo dei mezzi militari nella conduzione della politica estera, è un evento insieme di notevole rilievo ed inatteso, che ha provocato forte preoccupazione nelle cancellerie occidentali, confrontate a un’iniziativa che mira esplicitamente a riequilibrare il sistema dei rapporti tra stati nel contesto mondiale.

L’uso dei militari annuncia la mobilitazione nazionale
Attivo su diversi fronti, il governo di Putin ha saputo, per generale riconoscimento, far ritrovare al paese un ruolo globale, facendo leva su una strategia allo stesso tempo aggressiva ed efficace.

Pesantemente ridimensionata dalla sconfitta subita nella guerra fredda, la Russia è stata in grado di compiere un primo importante passo per superare quella riduzione a mera potenza regionale, nella quale era stata confinata.

Dopo l’intervento in Ucraina, che ha assunto un grande valore emblematico, grazie alla riannessione della Crimea, Mosca è passata, dando prova di rilevante capacità operativa, all’appoggio diretto al governo alleato di Assad in Siria, assicurandosi una posizione decisiva per la gestione di quel conflitto.

Si è trattato, in ambedue i casi, di operazioni portate avanti con particolare destrezza, approfittando delle esitazioni degli Stati Uniti e degli alleati europei, nella certezza che non vi sarebbero state, in nessun caso, da quella parte, azioni di contrasto sul piano militare.

Anche se parlare di una svolta a senso unico della strategia intrapresa da Mosca appare prematuro, siamo senza dubbio di fronte a un rilancio ispirato a nuovi parametri della politica estera russa.

Alla base dei recenti successi, figura una linea d’azione fondata su un dichiarato apprezzamento dello strumento militare nella conduzione dei rapporti internazionali. Il venir meno dell’atteggiamento di cautela, che nel recente passato aveva di norma caratterizzato l’azione politico-diplomatica di Mosca, non deve stupire più di tanto.

Il ricorso all’uso della forza, in una situazione giudicata di potenziale minaccia all’interesse nazionale russo, si conferma in piena continuità con una pratica comune alla storia del paese, sia in epoca zarista che sovietica. Questa pratica e stata fatta propria dal presidente Putin, rivelatosi artefice convinto di una piena rivalutazione delle funzioni delle forze armate, nel quadro di una campagna di promozione, a tutti i livelli, di una cultura patriottico-militarista.

Nel motivare una conduzione della politica estera ispirata alla realpolitik, interpretata in chiave difensiva-offensiva, Mosca fa riferimento a esigenze, ritenute imprescindibili, di sicurezza. La nozione di sicurezza adottata in questa occasione presuppone uno stretto collegamento ai diversi livelli dell’impegno militare, politico, economico e sociale, in vista di un generalizzato processo di mobilitazione delle risorse materiali e umane del paese.

Una mancata riuscita della linea di attivazione delle energie nazionali, rilevano osservatori sia russi che occidentali, potrebbe far si che un’operazione oggi vincente, possa rivelarsi in prospettiva un successo solo temporaneo.

Impegni troppo gravosi?
Molteplici e di varia natura, in effetti, risultano gli interrogativi riguardo alla capacità e all’opportunità di proseguire nel corso intrapreso, insistendo in una politica di forza proiettata su un così esteso campo d’azione.

La Russia di Putin, con il carico di problemi irrisolti che pesano sull’assetto interno del paese, si trova ad agire da una posizione di relativa debolezza rispetto alle altre grandi potenze, in un contesto dominato da un’aspra competizione fra gli stati.

Il documento di dottrina strategica internazionale, varato nel novembre del 2015, non fa mistero dell’apprensione di Mosca di fronte alla prospettiva di dover tener testa al rafforzamento del dispositivo della Nato sul fronte europeo, al centro del continente. È in quest’area cruciale dello spazio post-sovietico, infatti, a ridosso dei confini nazionali, che si giocherà, in rapporto agli sviluppi della crisi ucraina, una partita decisiva sotto il profilo della sicurezza per la Russia.

Procede nel frattempo, sul fronte della Siria, l’azione di Mosca diretta ad assicurarsi una base di influenza in Medio Oriente, in una situazione di grande confusione caratterizzata dal faticoso processo di cooperazione in corso fra Russia e Stati Uniti, solidali nella lotta al terrorismo islamico nonostante le persistenti divergenze strategiche.

Si tratta di un’iniziativa carica di incognite, considerata la difficoltà di arrivare a un congelamento dei conflitti endemici in una regione strutturalmente instabile, distinta dalla presenza di una molteplicità di attori tradizionalmente divisi da interessi contrastanti.

Scontata la soddisfazione del governo russo, e in primo luogo del presidente Putin, per i benefici ottenuti sul piano della legittimità politica, grazie all’abilità dimostrata facendo ricorso con successo allo strumento militare nella promozione dell’azione diplomatica, resta aperto il problema di come salvaguardare le posizioni di potere guadagnate in sede internazionale in questa fase.

I limiti di una politica per diversi aspetti azzardata, tesa a sfruttare in situazioni di emergenza le opportunità offerte da una congiuntura favorevole sotto il profilo dei rapporti di forza, sono evidenti. Occorre a questo proposito aver chiara la distinzione fra l’abilità sul piano tattico di reagire a eventi imprevisti nel breve periodo, e la capacità di affrontare in una prospettiva strategica, a lungo termine, le tendenze di fondo del periodo.

Nell’attuale congiuntura, caratterizzata da grandi cambiamenti, una cosa è certa: la Russia, in tempi forse anche non troppo lontani, vedrà messe a dura prova le sue ambizioni di grande potenza globale da una somma imprevedibile di sfide sia interne che internazionali.

Paolo Calzini è Associate Fellow della Johns Hopkins University Bologna Center.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3369#sthash.wPW27CHA.dpuf

domenica 28 febbraio 2016

.Terrorismo e relativo contrasto in evoluzione


 Alessio Pecce (alessio-p89@libero.it)
Gli attentati di Parigi avvenuti lo scorso novembre hanno evidenziato, come era previsto da tempo, le nuove modalità e i piani operativi (diffusione meticolose delle cellule terroristiche e commando suicida) dei soggetti appartenenti all'ISIS, anche se ad oggi manca una definizione ufficiale della nuova tipologia di terrorismo. I 130 morti e gli oltre 300 feriti di Parigi rappresentano la nuova modalità di combattimento terroristica trapiantata in Europa, attraverso il commando suicida che a sua volta è coordinato da soggetti operativi, come già avviene da tempo nelle zone più critiche del Medio Oriente e Nord Africa. Come detto poc'anzi non esiste ancora una definizione specifica di terrorismo, perché le varie organizzazioni internazionali hanno diverse opinioni, dovute anche a strategie e interessi politici. La difficoltà della terminologia si riscontra in ambito giuridico e concettuale, indi per cui gli stati membri delle Nazioni Unite non hanno ancora trovato una definizione comune. Tornando alle modalità operative del terrorismo, costituite da una tattica militare finalizzata al raggiungimento di obiettivi operativi prefissati, il suo metodo prioritario è quello  che si inserisce all'interno di una vasta scelta di strategie, come ad esempio quella insurrezionale. La difficoltà da parte della Comunità internazionale nel trovare una definizione universale di terrorismo, ha spinto alcuni specialisti del settore a catalogarlo come “Nuovo terrorismo insurrezionale” definito come la minaccia razionale di atti estremamente violenti, col fine ultimo di colpire i governi e la loro politica. Questa nuova forma di terrorismo è costituita da alcuni elementi, aventi come base: la sovversione dei governi e la conseguente sostituzione con un modello proto-statale; la violenza come azione prioritaria e imprescindibile; l'atto terroristico ha come obiettivo elementi politici; la manifestazione dell'azione terroristica su scala globale; la base logistica del potere ha sede in un'area territorialmente definita; si manifesta/colpisce attraverso il web con la propaganda, attacchi territoriali e cyber; le azioni operative non per forza sono connesse tra loro e i militanti possono appartenere anche alla sfera dei non-combattenti. Il nuovo terrorismo insurrezionale, oltre ad estendersi su scala internazionale, si pone delle precise finalità politiche, come la sovversione dei governi e dei rapporti internazionali nell'area mediorientale, oltre all'imposizione di una nuova forma di stato, ossia il califfato sotto la guida di Abu Bakr al-Baghdadi.
In virtù di ciò, nel dicembre 2015, il presidente Obama in una delle sue conferenze fa riferimento e auspica  a un maggior impegno da parte dei paesi sunniti nella lotta al Daesh, i quali hanno prontamente risposto attraverso la coalizione di 34 paesi musulmani, incentivata dall'Arabia Saudita, visto e considerato che le statistiche parlano di un impegno maggiore da parte dei paesi europei, con i raid arabi che rappresentano solo il 5% nella lotta all'ISIS. Questa nuova alleanza sunnita, oltre a comprendere i paesi arabi, ne include alcuni africani, come ad esempio Gibuti, Costa d'Avorio, Senegal, Marocco, Nigeria, Niger, Tunisia, Egitto, Sudan, Sierra Leone etc. Il gioco delle alleanze si basa sulla diatriba tra sciiti e sunniti e pertanto sono assenti dalla coalizione la Siria, l'Iraq e l'Iran. D'altro canto la Russia, alleata di Assad, si esprime in maniera diplomatica a proposito della coalizione sunnita, auspicando a dei miglioramenti per la Comunità Internazionale, ma al contempo invita tutti alla calma prima di poter valutare definitivamente.



venerdì 5 febbraio 2016

Roma: lo spirito dell'origine: Ventotene

Italia e Unione europea
Di ritorno da Ventotene
Flavio Brugnoli
05/02/2016
 più piccolopiù grande
In politica i simboli contano. La visita del Presidente del Consiglio Matteo Renzi all’isola di Ventotene, quel "tornare a casa, dove tutto è cominciato", quei fiori deposti sulla tomba di Altiero Spinelli sono un messaggio importante, non solo per chi ha dedicato la propria vita alla costruzione di "un’Europa libera e unita".

Definire un’Unione europea scossa da dubbi esistenziali “il più grande successo politico del dopoguerra”, sostenere che "nessun muro può fermare la libertà", sottolineare che la memoria si preserva costruendo ponti verso le nuove generazioni sono tutte affermazioni coraggiose. Ma, una volta tornati sulla terraferma, l’agenda politica nazionale e quella europea chiamano ad atti concreti, impegnativi e lungimiranti.

Il fatto che la visita di Renzi a Ventotene sia arrivata subito dopo l’incontro a Berlino con la Cancelliera Angela Merkel consente di mettere ben a fuoco la triplice crisi che stiamo vivendo: quella economica, quella dei migranti, quella dei conflitti alle porte dell’Europa.

I dilemmi da affrontare sono davanti a tutti noi. Rigore nei conti pubblici e credibilità nelle politiche di rientro del debito, ma flessibilità nelle soluzioni possibili e nuove vie europee per ritrovare il sentiero della crescita.

Ricerca di un equilibro fra gestione dell’emergenza rifugiati, che pone sotto stress governi e strutture nazionali, e consapevolezza che siamo di fronte a un cambiamento epocale, che durerà decenni (senza mai dimenticare - come ha detto Renzi a Ventotene - che "chi vuole distruggere Schengen vuole distruggere l’Europa").

Necessità di dare risposte coordinate su scala europea all’"arco di instabilità" che circonda l’Europa, dalla Libia, alla Siria, all’Ucraina - in cui anche il tema dell’energia gioca un ruolo chiave per la sicurezza del nostro continente.

Cittadini e leader europei
Per rispondere a tutto questo, un ruolo di leadership da parte di alcuni governi europei rimane indispensabile. Come cittadini europei dobbiamo anche chiedere alle istituzioni dell’Unione di giocare fino in fondo il loro ruolo.

Una Commissione più politica, che gode della fiducia del Parlamento europeo (con una "grande coalizione" tra le forze europeiste), ha il compito di agire per l’interesse europeo, che non potrà mai scaturire dalla sommatoria di 28 interessi nazionali.

Il Parlamento europeo è chiamato a promuovere il massimo d’integrazione possibile a trattati vigenti, a proporre le modifiche ai trattati necessarie per un’Europa federale, a evidenziare il collegamento fra un adeguato bilancio dell’Unione e dell’eurozona e un’Europa dello sviluppo e della coesione sociale.

Gli Stati membri, nel Consiglio europeo e nel Consiglio, devono ricostruire la fiducia reciproca, perché il ritorno dei muri non darà ai loro cittadini né più sicurezza né più benessere. All’Alto Rappresentante europeo, Federica Mogherini, dobbiamo chiedere di lavorare a una "strategia globale dell’Ue" (che presenterà al Consiglio europeo nel giugno prossimo) che non sia una media al ribasso fra le timidezze e i ripiegamenti nazionalistici degli Stati membri. Per dirla di nuovo con le parole di Matteo Renzi a Ventotene: "Quando l’Europa perde il senso della propria vocazione e diventa un insieme di egoismi rischia di crollare".

Ci attende un biennio con altri appuntamenti carichi di valenza simbolica: quest’anno il trentennale della morte di Spinelli; nel 2017 il sessantennale dei Trattati di Roma e i 110 anni dalla nascita di Spinelli. Sarebbe suicida ridurli a rituali autoconsolatori - o a pur suggestivi eventi come il carcere di Santo Stefano che comincerà una nuova vita quale centro di formazione europea per i giovani del Mediterraneo.

Nella primavera del 2017 avremo un appuntamento cruciale, previsto dal Rapporto dei cinque Presidenti “Completare l'Unione economica e monetaria dell'Europa”, con il Libro bianco della Commissione sul passaggio dalla prima fase (“approfondire facendo”) alla seconda (“completare l’Uem”). Uno snodo fondamentale per chi ritiene che quello che manca al completamento della costruzione europea sia un’Unione politica dotata di risorse adeguate alla scala dei problemi che abbiamo di fronte.

Europa a due velocità
Il tema dell’Europa a due velocità, evocato di recente dal Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, è da tempo in agenda. Lo stesso Consiglio europeo, nel giugno 2014, ha accolto la prospettiva della “integrazione differenziata”, che deve permettere ai Paesi “che intendono approfondire l’integrazione di andare avanti”.

Il dibattito sulla Gran Bretagna e il suo rapporto con l’Ue deve essere un’opportunità per chi vuole andare avanti, non una zavorra da parte di chi non sa dove vuole andare. L’Italia si appresta anche a lanciare un messaggio sul futuro dell’Europa, insieme con gli altri Paesi fondatori. Un altro atto benvenuto e impegnativo, che dovrà indicare ambiziosi contenuti condivisi, in primo luogo per l’eurozona.

Il Presidente del Consiglio Renzi, in chiusura del suo appassionato discorso a Ventotene, ha ripreso la celebre frase che chiude il Manifesto: “La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà!”. A Ventotene sono le radici e là è nato un progetto di pace che può ancora dare un senso e un orizzonte all’Europa.

Ma un redivivo Altiero Spinelli si porrebbe anzitutto il problema di come rifondare nel presente e nel futuro quei valori, su quali alleanze politiche, sociali, culturali rimettersi in cammino. Si deve dire come, con chi ed entro quando percorrere quella via, né facile né sicura. Il tempo si sta facendo breve, il rischio e i costi del fallimento più grandi.

* Questo articolo è un estratto da un contributo più ampio pubblicato sul sito del Centro Studi sul Federalismo.

Flavio Brugnoli è direttore del Centro Studi sul Federalismo.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3319#sthash.SIEyM0hl.dpuf

giovedì 21 gennaio 2016

Il caso della Enrica Lexie interminabile

Disputa Italia-India
Il caso marò e i tempi dell’arbitrato
Natalino Ronzitti
18/01/2016
 più piccolopiù grande
Un’apertura? Così potrebbe essere interpretata la decisione della Corte Suprema indiana di permettere l’estensione della permanenza in Italia (scaduta formalmente il 15 gennaio), del fuciliere di marina Massimiliano Latorre fino al 30 aprile.

L’interminabile vicenda dell’Enrica Lexie
Facciamo il punto sulla vicenda dell’Enrica Lexie, che si trascina dal 15 febbraio 2012, giorno in cui la nave fu attirata nel porto indiano di Kochi, con la scusa che il comandante doveva testimoniare su episodi di pirateria accaduti al largo delle coste del Kerala.

Vista l’impossibilità di risolvere la questione in via diplomatica, nonostante le speranze suscitate dall’ascesa al governo del nuovo premier Nerendra Modi, l’Italia ha notificato all’India il 26 giugno 2015 la decisione di devolvere la controversia a un Tribunale arbitrale, secondo l’Annesso VII alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare.

Nello stesso tempo ha chiesto al Tribunale Internazionale per il diritto del mare di Amburgo, Itlos, misure provvisorie volte al rientro dei due Fucilieri di Marina (Salvatore Girone e Massimiliano Latorre) in Italia.

In verità Latorre si trovava già in Italia essendogli stato concesso per motivi di salute di restare nel nostro paese fino al 15 gennaio 2016. L’India si è opposta alla concessione di misure provvisorie, ma l’Itlos ha salomonicamente concluso (ordinanza del 24 agosto 2015) che i tribunali indiani e italiani non avrebbero potuto prendere nessuna misura che potesse aggravare la controversia, intimando ai due paesi di sospendere tutti i procedimenti in corso e di non iniziarne di nuovi.

Tradotto in chiaro, questo significa che Girone avrebbe potuto mantenere il suo status di libertà condizionata (movimento solo in New Dehli e obbligo settimanale di firma), mentre Latorre poteva restare in Italia, non essendo consentito all’India di prendere una misura per il suo rientro alla scadenza del termine.

Ovviamente i tribunali indiani non avrebbero potuto prendere nessuna misura peggiorativa. La Corte Suprema indiana si è espressa invece favorevolmente per la proroga fino al 30 aprile per il permesso a Latorre, fissando una nuova udienza per il 13 aprile per fare il punto della situazione.

Il nostro governo, con un comunicato della Farnesina, si è affrettato a statuire che Latorre potrà restare in Italia per tutta la durata del procedimento arbitrale, essendo preclusa alla Corte Suprema indiana ogni decisione al riguardo. Comunque la decisione della Corte Suprema impedisce all’India di considerare l’Italia inadempiente per non aver fatto rientrare Latorre a New Dehli il 15 gennaio.

Il Tribunale Arbitrale e la competenza del processo ai marò
Il Tribunale arbitrale, composto da cinque giudici, è stato costituito abbastanza celermente. Due giudici sono stati nominati rispettivamente da parte italiana e indiana, gli altri tre sono stati designati dal Presidente dell’Itlos che funziona anche da presidente del collegio. Ovviamente tutti gli arbitri sono indipendenti e rispondono soltanto alla legge, inclusi quelli nominati da Italia e India.

All’occorrenza, formule compromissorie possono essere avanzate dalle parti, cioè Italia e India, tramite i loro avvocati. Il Tribunale arbitrale non è da confondersi con la Corte permanente di arbitrato, Cpa, dell’Aja che presta i suoi servigi al Tribunale arbitrale e funziona come ufficio di cancelleria.

È stata fissata la data del 18 gennaio per la riunione degli arbitri che dovranno scegliere la sede del Tribunale (l’Italia gradirebbe l’Aja, mentre l’India una località diversa), le regole di procedura e la tempistica, con cui si dovranno modulare le fasi per la presentazione dei ricorsi e delle repliche.

Altro nodo da sciogliere riguarda la pubblicità delle udienze. È consigliabile orientarsi per la pubblicità del solo verdetto finale e optare per la confidenzialità del procedimento al fine di evitare interferenze mediatiche? Secondo taluni la confidenzialità potrebbe evitare inutili clamori e assecondare intese a livello diplomatico durante la procedura arbitrale.

L’oggetto della controversia - è bene ricordarlo - non riguarda la colpevolezza o l’innocenza dei due Fucilieri di Marina, ma la competenza a giudicarli, cioè se essa spetti ai tribunali italiani o a quelli indiani.

Tra l’altro durante l’udienza per le misure provvisorie sono emersi fatti nuovi a favore dell’Italia, essendo stata avanzata dal nostro agente la circostanza che l’Enrica Lexie non sia entrata volontariamente nel porto di Kochi, ma vi sia stata costretta.

L’Italia ha chiesto al Tribunale arbitrale una nuova misura provvisoria, consistente nel rientro di Girone in Italia, in attesa che si concluda il procedimento, implicitamente impegnandosi a riconsegnare i due fucilieri, qualora la sentenza arbitrale fosse sfavorevole.

Ma l’India potrebbe opporsi e ricordare, come ha già fatto dinanzi all’Itlos, che l’Italia non rispetta le sentenze internazionali, non avendo eseguito quella della Corte internazionale di giustizia nel caso Germania contro Italia (2012).

Si corre il rischio che il Tribunale rimetta in discussione le misure provvisorie già adottate. Ma la condotta indiana sarà un test per verificare la volontà di pervenire ad una rapida e ragionevole chiusura della controversia. In altri termini l’India, se intende veramente percorrere questa strada, dovrebbe, tramite i suoi avvocati, non opporsi alla richiesta italiana.

Un po’ di grinta
Un po’ di grinta non guasta e dovrebbe essere elemento di propulsione per un eventuale negoziato. L’Italia si è opposta all’ingresso dell’India in alcuni fori per il controllo delle armi di distruzioni di massa e dei relativi vettori, caldeggiato da Stati Uniti e Francia.

Il settembre scorso l’India non è potuta divenire membro del Missile Technology Control Regime a causa dell’opposizione italiana. A livello europeo l’accordo commerciale Ue-India è in una fase di stallo per la nostra opposizione, così come la visita del Premier Modi a Bruxelles nel 2016. Addirittura si è pensato di ricorrere ai buoni uffici del Presidente Obama.

Soluzione diplomatica ancora possibile
L’esistenza di una road map per pervenire ad una soluzione diplomatica della vicenda è stata smentita dalle due parti, ma si tratta di smentite in qualche modo di routine nel mondo della diplomazia.

Una trattativa, qualora avesse esito positivo, potrebbe determinare l’estinzione della controversia e quindi la chiusura del procedimento arbitrale. I precedenti non mancano. Altrimenti occorre attendere altri due-tre anni e l’alea della sentenza, in tutto 6-7 anni da quando l’incidente si è verificato!

Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (Luiss Guido Carli) e Consigliere scientifico dello IAI.
  - See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3293#sthash.cOpoD4Sj.dpuf

lunedì 11 gennaio 2016

Cultura della Sicurezza in Europa

Stato di emergenza
Sicurezza e diritti fondamentali: un connubio impossibile?
Filippo di Robilant
10/03/2016
 più piccolopiù grande
Victor Hugo, deputato nella Deuxième République, scriveva nel suo diario: “Di fronte alle barricate, ho difeso l’ordine. Di fronte alla dittatura, ho difeso la libertà … Ho definito e limitato lo stato d’assedio… uno stato d’assedio, questo, inutilmente prolungato, che pesava sulla città di Parigi, sulle municipalità, sul credito, sugli affari, sulla fiducia della gente. Sono tra coloro che ne hanno chiesto ed ottenuto la fine”. (Choses Vues, Gallimard).

Già nel 1849, dunque, il grande scrittore francese si poneva la questione della ricerca di un punto di equilibrio tra sicurezza e libertà, un tema ancora irrisolto al giorno d’oggi.

Cultura della sicurezza
In questi tempi, si sente tanto parlare di “cultura della sicurezza”: fa parte dello spirito dell’epoca. Ma è imperativo, allora, che ne faccia parte il tema della protezione dei diritti fondamentali individuali, con particolare riguardo al rispetto delle convenzioni internazionali; proprio come, viceversa, è in egual misura importante per il mondo del c.d. droit-de-l’hommisme fare proprie le esigenze di sicurezza. Come nel principio dei vasi comunicanti, il risultato cui puntare è quello di ottenere uguali livelli.

Purtroppo non è mai stato così. Usa dire che si può avere “uno stato sicuro senza libertà, ma non uno stato libero senza sicurezza”. Il che darebbe ragione al filosofo inglese Jeremy Bentham, inventore del Panopticon (1791), che diceva: “quando sicurezza e uguaglianza sono in conflitto, non bisogna esitare un momento: l’uguaglianza va sacrificata”.

Oggi, alla luce anche del progresso tecnologico che consente una sorveglianza massiva e capillare su di noi, un equilibrio tra le due necessità si è avvicinato o si è ulteriormente allontanato?

Misure d’eccezione, tre paletti 
Il caso Apple/Fbi scoppiato all’indomani della strage di San Bernardino dimostra che siamo ancora lontani dal trovare un equilibrio condiviso nel settore della sorveglianza, per esempio nel definire gli obblighi delle società informatiche evitando automatismi nell’accesso ai loro codici. Pertanto, rimane aperta la questione di come preservare i benefici della rivoluzione digitale senza una pericolosa e incontrollata riduzione della nostra privacy.

Anche per questo dobbiamo porci il problema prima che governi impongano lo stato di emergenza, come è successo in Francia dopo gli attentati del 13 novembre, stabilendo qualche paletto affinché le misure d’eccezione siano proporzionali alla minaccia: per ottenere questo si propongono tre caveat.

Il primo. Misure d’eccezione che procurano una sospensione dei diritti fondamentali (coprifuochi, chiusura delle frontiere, chiusura di pubblici uffici, limitazione nella circolazione, arresti e perquisizioni senza mandato, etc.) non possono essere imposte ad oltranza, ma devono avere, previa autorizzazione del Parlamento,un preciso limite di tempo. Semmai, con possibilità, quando motivate, di essere prorogate, magari con misure attenuate a mano a mano che l’emergenza si affievolisce. Per capirci: i 30 anni ininterrotti di stato di emergenza, dal 1981 in poi, proclamati dal’ex presidente egiziano Hosni Mubarak non è, di tutta evidenza, un modello a cui guardare.

Il secondo. Misure d’eccezione devono avere un chiaro e credibile obiettivo, intelligibile all’opinione pubblica. Diffidare, insomma, di generalizzazione del tipo “siamo in guerra col terrorismo” o, peggio, “siamo in guerra con l’Islam”. Ricordiamoci che siamo usciti dagli Anni di Piombo applicando le leggi ordinarie e non ricorrendo a quelle speciali, proprio come la Francia non proclamò mai lo stato di assedio in Algeria per non legittimare i combattenti del Fnl.

Il terzo. Misure d’eccezione non devono mai prendere di mira gruppi specifici, siano essi etnici, religiosi, di genere o altro. Non solo perché si scontrerebbero con dettami costituzionali, ma perché creerebbero solo ostilità e ulteriore marginalizzazione.

Francia, se l’eccezione rischia di diventare la regola
La storica contrapposizione tra Ragion di Stato e Stato di diritto qui non c’entra. Anche nello Stato di diritto un’azione normalmente considerata illegale può diventare legale in base alla circostanze - “necessitas non habetlegem” dicevano gli antichi romani - tuttavia sorprende che, dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi, il governo francese, ritenendo che la legge sullo stato di emergenza del 1955 fosse superata e quindi giuridicamente fragile, abbia inteso inserire tale previsione in Costituzione.

Ha detto il Premier Manuel Valls: “Lo stato di emergenza è un principio di diritto che vogliamo costituzionalizzare per fare in modo che le misure di eccezione siano meglio inquadrate nel nostro ordinamento”.

Ma così facendo, la Francia - quella del Secolo dei Lumi - rende permanente la possibilità di ricorso ad una norma che affronta per definizione circostanze eccezionali: l’eccezione, insomma, diventa la regola. Con in più il rischio di passare dalla legittima difesa dei poliziotti a quello che viene chiamato “stato di necessità”, ossia che l’uso delle armi sia possibile quando ci si trova di fronte a persone che si suppone possano continuare a commettere atti criminali: un terreno, questo, davvero scivoloso.

Come aveva già correttamente rilevato Victor Hugo - ben centosessantasette anni fa - poteri esecutivi molto estesi, combinati con pochissimi controlli sulla loro applicazione, non possono che causare serie violazioni dei diritti fondamentali. Meglio che i suoi connazionali di oggi ci riflettano bene prima che una Marine Le Pen o suoi epigoni vadano al governo della République con poteri emergenziali sconfinati serviti su di un piatto d’argento.

Filippo di Robilant è membro del Comitato Direttivo dello IAI.
- See more at: http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3365#sthash.Uk1YHPWp.dpuf

sabato 19 dicembre 2015

Auguri


A tutti gli amici di Spoleto
sinceri auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo
Massimo Coltrinari

martedì 15 dicembre 2015

Harry Schindler ad Aprila
















Alla mostraorganizzata dalla associazione" Un Ricordo per la Pace"

venerdì 27 novembre 2015

Harry Schidler 32° nel "Britons 2015"


DOPO LA MEDAGLIA MBE HARRY SHINDLER 32° nel “BRITONS 2015”

DA ANNI SI BATTE PER MODIFICARE LA LEGGE SUL DIRITTO AL VOTO DEGLI ESPATRIATI BRITANNICI

Ricostruì gli ultimi momenti di vita di Eric Fletcher Waters e con l'Associazione “Un ricordo per la Pace” fu promotore dell'iniziativa dei memoriali ai dispersi del 1944

LA SUA GUERRA NON È FINITA!


di Elisa Bonacini
unricordoperlapace.blogspot.it
L'amico veterano della seconda guerra mondiale Harry Shindler, dopo la medaglia MBE conferitagli il 19 febbraio 2014, per il suo impegno civile e pro diritto di voto per gli espatriati britannici si piazza ora al 32° posto tra i 50 britannici che si sono distinti nel 2015 (sondaggio pubblicato sul “the telegraph").
La sua tenacia porterà presto un grande cambiamento per coloro che come lo stesso Shindler per vari motivi vivono da oltre 15 anni all'estero, ma che con il cuore sono vicini alla loro terra e rivendicano ancora il diritto di esprimere la propria opinione politica.
La mia guerra non è finita!”. Spesso mi ha ripetuto questa frase (che è anche il titolo di una suo libro) l'instancabile Harry nato a Londra nel luglio 1921 che vive da molti anni ad Ascoli Piceno ed è il rappresentante in Italia della “ITALY STAR ASSOCIATION 1943-1945”, l'Associazione dei veterani britannici che parteciparono alla Campagna d'Italia.
Nel 1944 partecipò alle aspre operazioni belliche del 1944 nel nostro territorio aventi come finalità la liberazione di Roma. Si ricorda ancora bene i luoghi, i fatti, le dure condizioni in cui avvennero i combattimenti. Da anni da molti definito “il detective della memoria” si impegna anche nel ricostruire le storie dei militari dispersi in Italia, rispondendo alle infinite richieste dei famigliari che ancora oggi da tutto il mondo chiedono notizie sui loro cari.
Lo incontrai per la prima volta ad Anzio nel 2012 in occasione delle manifestazioni legate alla ricorrenza dello sbarco alleato. Armata di macchina fotografica e videocamera gli chiesi un intervista, che Harry gentilmente accettò di rilasciarmi il giorno seguente ad Aprilia, presso l'Istituto Rosselli, dove era ospite per la presentazione di un libro del prof. Samà.
L'auditorium dell'Istituto Rosselli già del 2008 ospitava parte dei reperti storici della seconda guerra appartenuti a mio fratello Ostilio Bonacini. La mia felicità fu grande: potevo intervistarlo proprio in quel contesto a me così caro. Mi resi subito conto della forte personalità e della tenacia nel voler trasmettere ai giovani la sua esperienza nella guerra di liberazione ed i suoi ricordi, in memoria di coloro “ che hanno combattuto e sono morti per  liberare l'Europa da un regime bestiale”.
Realizzai un articolo che venne pubblicato sul  “Giornale del Lazio” che lo rese noto anche ai cittadini apriliani.
Nacque da allora una bella collaborazione con la mia Associazione “Un ricordo per la pace”. Nelle lunghe telefonate lo ascoltavo con ammirazione, facendo tesoro dei suoi consigli e suggerimenti. Insieme maturammo l'idea di fare istituire nella Città di Aprilia la data del 28 maggio, in ricordo della data (presunta) della liberazione di Aprilia nel 1944 in memoria degli aspri combattimenti che causarono tante vittime anche nella popolazione civile.
Nel 2013 volle essere presente all'inaugurazione dell'esposizione "Un ricordo per la pace" sul tema "Aprilia in guerra : la battaglia di Aprilia" donando alcuni dei suoi cimeli di guerra e le sue mostrine di soldato semplice nel Reggimento Royal Electrical and Mechanical Engineers.
Nel 2012 dopo i miei contatti con il manager di Roger Waters, con il consenso del cantante iniziò le ricerche su Eric Fletcher Waters, il padre del cantante, fino al ritrovamento delle mappe militari britanniche che permisero di scoprire il punto di Aprilia, presso via dei Pontoni (fosso della Moletta) dove morì il SottoTenente dei Fucilieri Britannici il 18 febbraio 1944.
Nel novembre 2013 quale presidente dell'Associazione “Un ricordo per la pace” protocollai presso gli uffici comunali di Aprilia il nostro progetto condiviso di realizzare i monumenti ai caduti senza sepoltura del 1944 che vennero inaugurati il 17 e 18 febbraio 2014 alla presenza eccezionale di Roger Waters.
Non mi resta ora che esprimere la mia soddisfazione per il nuovo riconoscimento di Harry (che in questi giorni è a Londra) nel “Britons 2015” e propongo a seguire parte dell'intervista che realizzai nel 2012.
Mr. Shindler, quale è l'immagine più drammatica che i suoi occhi non avrebbero mai voluto vedere?
 “ Senza dubbio per me la scena più terribile di tutta la guerra è stata quella dei bombardamenti su Londra nel 1939-40 : la mia Londra che bruciava...!”.
Quale è l'ordine che non avrebbe mai voluto eseguire?
E molto difficile rispondere. Obbedire agli ordini fa parte del “gioco” della guerra. Potrei dire che un ordine che non avrei voluto accettare sarebbe stato quello di partire come militare per la guerra, ma questa logicamente è una risposta ironica, superficiale”.
Ritiene che al giorno d'oggi le guerre siano ancora necessarie per raggiungere la pace?
Non è vero, come dicono molti, che le guerre siano inutili. Ci sono guerre giuste. La guerra che abbiamo combattuto noi con tanta sofferenza era giusta. Prima che cominciasse, tutta l'Europa era coperta da dittature. C'erano i campi di concentramento e di sterminio. Winston Churchill, capo del governo inglese, diceva che noi combattevamo contro il più mostruoso regime della storia, ed io sono d'accordo con lui. Dopo la guerra l'Europa è diventata democratica, i campi di concentramento non c'erano più!”.
Ha un messaggio che vuole trasmettere alle giovani generazioni?
Questa libertà, conquistata al prezzo di tanta sofferenza e di tanto sangue, deve essere difesa. Voi giovani dovete difenderla. E non appena qualcuno vuole toccare un pezzo di questa libertà, ci si deve alzare in piedi e dire : No, No!!! Questo No!”.







mercoledì 18 novembre 2015

Henry Schidler: un amico dell'Italia



 Insieme a Roger Water sul logo dove è caduto il padre di Roger Vater


 Con Elisa Bonacini ad Aprilia

 informazioni
centrostudicesvam@istitutodelnastroazzurro.org

martedì 10 novembre 2015

ANRP. Una lettera del 2009.

Internati Militari

Chiarissimo Prof. Enzo Orlanducci,
ho il piacere di scriverle su indicazione del Dott. Ferrazzoli del CNR, che ha illustrato recentemente a Perugia un libro su G.Guareschi.
 
Mio padre Bruno (1920-1979) è stato tra gli internati di Wietzendorf. A suo tempo, poco prima del decesso, cedette gratuitamente all' A.N.E.I la maggior parte dei documenti che riguardavano il periodo di internamento (lui l'ha sempre definto "prigionia"!), tra cui alcuni acquerelli che, a quanto ricordo, erano destinati ad una mostra itinerante dell'ANEI.
 
Ho la sensazione ora che la persistenza di quelle testimonianze si stia disperdendo: un po' per disinteresse e molto per cause naturali.
 
Nel timore che i documenti a suo tempo conferiti possano andare dispersi e nell'esigenza di rendere pienamente consapevoli i miei figli dei valori morali ed etici che ispiravano l'esistenza di un giovane Ufficiale, sarei lieto di avere la sua conferma sull'effettiva esistenza dei documenti in parola o, in subordine, di poter reintrare in possesso degli stessi.  
 
La ringrazio per l'attenzione

Dott. Marco Terzetti
UNUCI Sez. Spoleto
3472637157

Spoleto 3 novembre 2015. Chiostro di San Nicolo'









giovedì 15 ottobre 2015

Conferenza del 3 Novembre. La brigata Alpi dalle Argonne alle trincee delle Dolomiti

Massimo Coltrinari


. La conferenza si articolerà sui seguenti punti. Dopo aver fatto un rapido cenno alla situazione dell’Italia all’indomani della proclamazione della Neutralità il 2 agosto 1914, si traccerà un breve profilo del volontarismo garibaldino e della costituzione della Legione Garibaldina in Francia nel dicembre 2014 e gennaio 2015 ed il suo impiego in linea. Terminata questa esperienza i volontari garibaldini rientrano in Italia e si arruolano nel 51° e %2° Reggimento fanteria “Garibaldi” della Brigata Alpi di stanza in Umbria.
Al momento della Mobilitazione i due reggimenti vengono messi sul piede di guerra ed inviati al fronte, nell’area dolomitica, nell’ambito della 4a Armata, composta dal i e dal IX Corpo d’Armata. La brigata Alpi fu assegnata al IX Corpo d’Armata al comando del gen. Vittori Carpi.

Seguendo il Diario di Peppino Garibaldi, iniziato a scrivere a Perugia al Momento dell’arruolamento nel maggio 1915, si descriverà le vicende del 51° Reggimento Fanteria che aveva stanza a Spoleto e le sue vicissitudini fino all’arrivo in liea. Si sottolineerà come la preparazione italiana fosse incompleta e solo nel luglio 1915 si avranno gli attacchi alle posizioni austriache.

Un particolare cenno si farà sulla tradizione garibaldina con i superstiti dei nipoti di Garibaldi Sante, Ricciotti ed Ezio, (Bruno e Costante erano morti nelle Argonne) e gli altri nipoti Menotti Jiunor e Ricciotti Jiunior,; un particolare cenno al movimento volontaristico che fu non esaltante e che si tramutò in un sostanziale fallimento nei primi mesi di guerra


La descrizione dei combattimenti del luglio e dell’agosto 1915, ripresi nei mesi successivi, con le considerazioni relative, chiuderanno la conferenza