Massimo Coltrinari (coltrinari@libero.it)
Il tema di questa conferenza è dedicato al nostro approccio della guerra di liberazione, ovvero dare un significato più compiuto al termine “guerra di liberazione su cinque fronti”.
La lotta che il popolo italiano intraprese, all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre 1943 con le Nazioni Unite può essere intesa come un tutto uno, ovvero una opposizione armata al nazifascismo ed adesione alla coalizione antihitleriana. La Guerra di Liberazione in questa chiave di lettura si può considerare una guerra combattuta su cinque fronti in nome di una Italia diversa e democratica. Una guerra che. Una volta vinta, doveva rappresentare una discontinuità con il fascismo in primo luogo, e soprattutto con le aberrazioni e le degenerazioni del fascismo stesso, recuperando nella sostanza quel senso civico, quell’amore di Patria, quell’unità di intenti e di partecipazione popolare, quel senso di pace e di fratellanza che erano stati il mastice dei cimenti del Primo conflitto mondiale e che provenivano dal retaggio, quello progressista,

mazziniano garibaldino e il meglio di quello cavourriano del Primo Risorgimento mazionale.
In questo quadro cos’ delineato, i fronti della Guerra di Liberazione individuati sono i seguenti:
- Quello dell'Italia libera, ove gli Alleati tengono il fronte e permettono al Governo del Re d'Italia di esercitare le sue prerogative, seppure con limitazioni anche naturali per esigenze belliche. Il Governo del Re è il Governo legittimo d'Italia che gli Alleati, compresa l'URSS., riconoscono.
- Quello dell'Italia occupata dai tedeschi. Qui il fronte è clandestino e la lotta politica è condotta dal C.L.N., composti questi dai risorti partiti antifascisti. E' il grande movimento partigiano dei nord Italia.
- Quello della resistenza dei militari italiani all'estero. E' un fronte questo non conosciuto, dimenticato, caduto presto nell'oblio. E' la lotta dei nostri soldati che si sono inseriti nelle formazioni partigiane locali per condurre la lotta ai tedeschi (Jugoslavia, Grecia, Albania).
- Quello della Resistenza degli Internati Militari Italiani in Germania, che opposero un deciso rifiuto di aderire alla R.S.I., di fatto delegittimandola.
- Quello della Prigionia Militare Italiana della seconda guerra mondiale.
Delineati così i fronti della Guerra di Liberazione occorre precisare due punti: la individuazione del fronte “Nemico” ed il rapporto che esiste tra “Guerra di Liberazione e Campagna d’Italia”
Il Fronte “nemico” indubbiamente è la coalizione Hitleriana. La leaderschip nazista giunta al potere nel 1933 in Germania intendeva dominare l’Europa e, indirettamente, il mondo nella visione eurocentrica del medesimo, rafforzando all’interno lo Stato, esasperando gli aspetti totalitaristici ed autoritari, applicando in ogni momento e in ogni tempo la dottrina nazista della supremazia dell’uomo ariano, e cercando di portare entro i confini del Reich tutti i tedeschi, sia di origine che acquisiti, in una purezza di sangue che veniva attuata, secondo le leggi sul sangue e l’onore tedesco dette di Norimberga del 1935.
Questo comportò un fortissimo riarmo in quanto la guerra ai popoli vicini sarebbe stata, in un rapporto di potenza via crescente e favorevole alla Germania, il mezzo più veloce ed efficace per il raggiungimento degli obbiettivi nazisti e quindi della Germania. Sfruttando la debolezza diplomatica ed una politica di accettazione passiva da parte della Francia e della Gran Bretagna, che fino a quando l’espansione diretta tedesca non toccava da vicini i loro interessi diretti, ma solo quelli degli alleati ed amici non ritennero di contrastare o intervenire direttamente; non è certo un retaggio morale positivo il comportamento di britannici e francesi che, pur di non pagare direttament

e un loro intervennero abbandonarono cechi, slovacchi, boemi, e da ultimo i polacchi. Quando l’azione della Germania mise in pericolo i dominio dell’Europa ed attraverso l’Italia si estendeva al Mediterraneo, si arrivò, mal preparati alla guerra. La Germania iniziò quindi quelle folgoranti campagne che in virtù della sua preparazione la vide in pochi mesi conquistare la Polonia, la Norvegia e la Danimarca, il Belgio e l’Olanda, ed infine la Francia. Ormai la guerra era divenuta lo strumento per il nuovo ordine che si voleva costruire. Dopo la conquista della Jugoslavia e della Grecia, con l’attacco alla URSS nel 1941 la guerra divenne anche ideologica. Convinto che in pochi mesi la URSS si arrendesse sotto gli attacchi tedeschi, Hitler non cercò minimamente l’aiuto dei suoi alleati. Quando le operazioni in Unione Sovietica si arenarono e le unità tedesche si fermarono davanti a Mosca, la guerra da “lampo” divenne normale. In questo torno di tempo Hitler cerca nuove aiuti e forze, quindi tira le fila della sua coalizione, chiedendo aiuti, soprattutto manodopera per il suo sforzo bellico, più che soldati. E’ il rafforzamento della Coalizione Hitleriana, in cui i vari uomini locali, nettamente al servizio dei tedeschi, contribuiscono alla loro vittoria. Vi è tutta una galassia di stati che operano in questa chiave, tra cui, dopo la crisi armistiziale, anche la Repubblica Sociale Italiana, fondata e governata da Benito Mussolini, con l’aiuto dei componenti l’ultimo fascismo, quello idealizza, spesso irrazionale, estremista.
Sullo stesso piano, nella Guerra di Liberazione, dei cinque fronti vi è, come “fronte nemico” questa coalizione Hitleriana, in cui in Italia la Repubblica Sociale Italiana è quello preminente. La Repubblica Sociale Italiana che verràgestita secondo l’estremismo del Partito repubblicano fascista che prevale su quello moderato rappresenta uno dei rivoli che confluiranno nella grande unificazione del dopoguerra, una vlta superate gli estremismi dovuti alla guerra.
Altro aspetto da focalizzare. Il rapporto tra Campagna d’Italia e Guerra di Liberazione. E’ indubbio che i vertici politici e militari della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, con a fianco quelli della URSS e in parte il residuo francese di estrazione gaullista, nel momento che intraprendono l’invasione della Sicilia, intendono con questa azione costringere l’Italia ad uscire dalla guerra, ovvero rompere l’alleanza con la Germania. Questo riesce e l’Italia, con l’armistizio dell’8 settembre 1943, e quindi si apre il fronte Italiano, ovvero la Germania deve guardare i suoi confini meridionali, ovvero ancora si apre il terzo fronte per essa. Gli Alleati, come comunemente vengono chiamati nel nostro retaggio, oggi, e ieri dalle generazioni che furono protagoniste di quelle vicende, intendevano proseguire la “loro” guerra, e non avevano alcuna inten

zione di porre gli interessi dell’Italia e degli Italiani se non in misura funzionale e in armonia con i loro precisi interessi. Subordinatamente a questo l’Italia era sempre una nazione nemica, ove il fascismo aveva dominato, e, all’indomani della vittoria, non si poteva permettere in nessun caso che riassumesse il ruolo di Potenza Europea, o Grande Potenza, come era stato all’indomani della vittoria del 1918. Doveva, soprattutto nel disegno britannico, essere sulla scena europea in posizione subordinata e di media-piccola potenza, sotto influenza inglese o america, un disegno che poi a Jalta naufragò miseramente in quanto emersero le sue superpotenze, USA e URSS, che fino al 1989 diedero vita ad in sistema bipolare di gestione del mondo che rilegò tutti gli altri Stati, vinti e vincitori della Seconda Guerra Mondiale, sullo stesso piano.
La Campagna d’Italia quindi sono avvenimenti che agiscono su un piano superiore e diverso da quelli che agiscono nella Guerra di Liberazione. Qui tutti è subordinato al primo, e l’ultima parola spetta sempre agli altri, mai a noi Italiani, e gli interessi altrui sono sempre anteposti a quelli nostri. L’unica possibilità che abbiamo in queste dinamico e in questo geosistema di potenza e rapporti tra nazioni impegnati in una guerra, è il nostro impegno: più riusciamo a aiutare o assecondare nelle loro azioni gli Alleati, più la possibilità di avere un trattamento migliore aumenta, ma sempre e subordinatamente ad una decisione altrui.
Delineati così i fronti della Guerra di Liberazione e cercato succintamente di delineare il rapporto che intercorre tra Campagna d’Italia e Guerra di Liberazione, vediamo più da vicino, quale è il profilo di ogni singolo italiano, in quelle drammatiche vicende che ora chiamiamo “crisi armistiziale”.
Se vediamo il singolo militare, il singolo cittadino atto alle armi constatiamo che alla guerra parteciparono per varie vie, spesso seguendo scelte le più disparate: chi come rifiuto di consegnarsi ai tedeschi; chi, catturato, finì nei campi di concentramento in Germania e in Polonia; chi entrò nelle file partigiane e prese le armi; chi rientrò in Italia del Sud e nella stragrande maggioranza entrò nelle file dell'Esercito del Re; chi visse, senza cedere, sui monti in Italia e all'Estero per non consegnarsi ai tedeschi e non collaborare, chi nei campi di Prigionia degli ex-Nemici, ora presunti alleati, accettò di collaborare in nome del contributo che l'Italia doveva dare per un domani migliore.
Questo approccio ha permesso, aprendo una parentesi, di poter sviluppare le ricerche in queste cinque direzioni al fine di vedere quanti e quali italiani portarono, come dice Luciano Bolis il loro "granello di sabbia",alla Guerra di Liberazione oltre a quella che vide coinvolti quelli che rimasero fedeli alla vecchia Alleanza, ovvero fecero la loro militanza non solo nella Repubblica Sociale Italiana ma anche nelle fila dell’Esercito tedesco e come arruolati in uniforme tedesca e come ausiliari, che ha permesso di riportare alla luce tanti episodi ormai avvolti nel buio, ma deve essere ulteriormente integrato.
Vediamo ora più da vicino i cinque fronti della Guerra di Liberazione
Il Primo Fronte: L'Italia del Sud
Qui ricomincia a funzionare il vecchio stato, ma accanto si sviluppa la dialettica dei partiti. Partecipano alla guerra prima il I Raggruppamento Motorizzato, poi il C.I.L., poi i Gruppi di Combattimento. Sono, in nuce, i soldati del futuro esercito italiano, che operano secondo le regole classiche della guerra. E' indubbio che combattono contro i tedeschi, anche se il rapporto con gli Alleati è sempre di sudditanza. Con la liberazione di Roma e l'avanzata nell'Italia centrale la lotta al nazifascismo non è disgiunta da una appassionata discussione sul futuro politico dell'Italia e sulle prospettive di vero rinnovamento democratico. Le forze partigiane e dei partiti antifascisti coesistono, oltre che con l'organizzazione militare del Regno, anche con la Chiesa Cattolica, fattori entrambi che condizionano in senso moderato l'attività antifascista.
Il Secondo Fronte: L'Italia del Nord
Al momento dell'Armistizio, l'Italia fu tagliata in due. Al nord i tedeschi impongono la Repubblica Sociale. Qui si ha la forma più compiuta di resistenza. Si hanno le formazioni partigiane organizzate dai partiti antifascisti in montagna, mentre nelle pianura e nelle città si organizzano i GAP e le SAP. Oltre a ciò la popolazione civile partecipa alla guerra collaborando con il movimento artigiano in mille forme, e subendo terribili e inumane rappresaglie; inoltre gli operai con i loro scioperi e la loro resistenza passiva contribuiscono a rallentare lo sforzo bellico dell'occupante e a minare anche la propria sicurezza. Si ha il coinvolgimento di ampi strati della popolazione nella guerra al nazifascismo, che s’integra con il particolare profilo delle bande in montagna, che non sono solo gruppi di combattenti ma anche luoghi di dibattito e di formazione politica.
Il Terzo Fronte: L'Internamento
Nei mesi di settembre ed ottobre l'Esercito tedesco fa prigionieri ed interna in Germania oltre 600.000 militari italiani, dando origine al fenomeno dell'Internamento Militare Italiano nella seconda guerra mondiale. Questi militari non hanno lo status di prigionieri, ma di internati, ovvero nella scala del mondo concentrazionario tedesco, sono sullo stesso livello dei prigionieri sovietici ( La URSS non aveva firmato la convenzione di Ginevra del 1929) e poco al di sopra degli ebrei. Ovvero il loro trattamento era durissimo. In queste circostanze per uscire da questo inferno ci si sarebbe aspettato una adesione plebiscitaria alle proposte di collaborazione sia dei Nazisti sia degli esponenti della R.S.I. Invece la quasi totalità degli Internati oppose il rifiuto ad una qualsiasi forma di collaborazione, subendone le più terribili conseguenze. Fu un fronte di resistenza passivo, ma determinato, che nella realtà dei fatti deligittimò sul piano interno ma anche agli occhi dei germanici la Repubblica Sociale. Infatti una decisione in massa degli Internati ai fascisti di Salò avrebbe permesso alla R.S.I. di avvalorare le tesi della propaganda, che era l'unica rappresentate della vera Italia. In realtà questa non adesione, in sistema con la lotta partigiana, isolò Mussolini relegandolo a semplice rappresentate di se stesso e dei suoi accoliti.
Il Quarto Fronte: La Resistenza dei Militari Italiani all'Estero
Se nel nord Italia si sviluppò il movimento partigiano attraverso bande armate, all'estero, i militari italiani sorpresi dall'armistizio dell'8 settembre e sottrattisi alla cattura tedesca si opposero ai tedeschi in armi, inizialmente, poi dando vita, in armonia con i movimenti di resistenza locali a vere e proprie formazioni armate. Per la resistenza di formazioni organiche sono noti i fatti di Lero e di Cefalonia. Meno noti tanti altri fatti in cui unità militari italiane organiche resistettero ai tedeschi fino al limite della capacità operativa. Un esempio per tutte: La Divisione "Perugia", stanziata nel sud dell'Albania tenne in armi il porto di Santi Quaranta fino al 3 ottobre 1943, in attesa di un aiuto da parte italiana ed alleata. Una divisione di oltre 10.000 uomini, che dominava un area abbastanza vasta e che avrebbe potuto dare un forte aiuto ad un intervento alleato dall'altra parte dell'Adriatico. 10.000 militari italiani che rimasero compatti per tre settimane oltre l'armistizio, in armi e che paragonarono duramente questa loro resistenza. Infatti tutti gli Ufficiali della Perugia furono fucilati, e gli uomini iternati in Polonia.
Per le unità che passarono in montagna e si unirono ai movimenti partigiani locali, noti sono gli avvenimento della divisione "Venezia" e "Taurinense", che diedero vita alla Divisione Partigiana Garibaldi; meno note le vicende della divisione "Firenze" ed "Arezzo" in Albania e delle divisioni italiane stanziate in Grecia. Militari Italiani diedero vita alla divisione "Italia" in Jugoslavia. Oltre che nei Balcani, mil

itari italiani parteciparono ai fronti di resistenza locali. Così in Corsica, ove oltre 700 militari caddero per la liberazione di Aiaccio, cosi nella Provenza, in centro Europa la presenza di militari italiani è certa.
Il Quinto Fronte: La Prigionia
Vi erano, al momento dell’Armistizio, circa 600.000 prigionieri nelle mani delle Nazioni Unite. Soldati per lo più caduti nelle mani del nemico a seguito dell’offensiva in Nord Africa (1940-’41) alla resa in Tunisia ed al tracollo del luglio agosto 1943 in Sicilia. Per lo più, tranne i 10-12.000 soldati in mano all’URSS, erano in mano anglo-americana. Questi soldati, questi italiani all’annuncio dell’Armistizio dovettero, come tutti, fare delle scelte. La stragrande maggioranza scelse di cooperare con gli ex-nemici, contribuendo anche loro a costruire un futuro migliore. Una aliquota molto bassa non volle cooperare, non solo perché fedeli alla vecchia alleanza, ma per variegate motivazioni.
Ad esempio a Hereford (USA) vie erano circa 4.000 italiani che gli americani consideravano "sout court" fascisti. In realtà, fra questi non cooperatori vi erano sì fascisti, ed anche prigionieri delle Forze della R.S.I., ma anche monarchici, liberali, moderati, repubblicani, socialisti, comunisti o laici in senso stretto che avevano fatto una scelta personale.
I prigionieri in mano agli Angloamericani furono organizzati in ISU, Italiana Service Units, compagnie di 150 uomini addetti ad un particolare lavoro. Il loro contributo si esplicò negli Stati Uniti e in Gran Bretagna con l'impegno nei grandi arsenali o nelle basi, oppure in Nord Africa e quindi in Italia, parte integrante della organizzazione logistica alleata. Anche loro, con il loro lavoro, portarono il contributo alla vittoria finale. Soprattutto i prigionieri che operarono in Italia nel campo delle comunicazioni, dei trasporti e del genio, confluirono poi nelle unità del nuovo esercito italiano, gestendo il materiale di guerra americano
Ovvero, anche il prigioniero che, in un contesto particolare, combatte.
Il Fronte avversario: La Coalizione Hitleriana
La nascita della Repubblica Sociale Italiana avviene per volontà tedesca. Liberato Mussolini sul Gran Sasso, un Duce stanco ed ormai amareggiato dalle vicende della calda estate del 1943 e desideroso di uscire e mettersi in disparte per riprendersi e meditare sul perché il suo movimento e il suo regime in poco più di ventiquattro ore crollò senza che nessuno muovesse un dito per difenderlo all’indomani del suo arresto il 26 luglio 1943, fu costretto a impegnarsi pesantemente nella vita politica italiana. La Nascita della Repubblica Sociale Italiana fu una occasione per i fascisti di chiara fama e di puri sentimenti di mettere in campo le proprie idee, senza i condizionamenti del ventennio. Si voleva creare una Repubblica effettivamente fascista. Questa tendenza, che si tramutò all’atto pratico nel congresso di Verona (i famosi dieci punti) del rigenerato PNF, portò alla ribalta non i moderati o coloro che nelle condizioni del momento potessero gettare ponti con l’altra Italia, ma gli estremisti, gli intransigenti, i fautori delle vendette ( espressione questa che portò alla fucilazione del gerarchi, tra cui Galeazzo Ciano, l’11 gennaio 1944 a Verona, accusati di tradimento il 25 luglio 1943 durante la seduta del Gran Consiglio). Una scelta che esasperò ancora di più la situazione e che generò, per reazione, la adesione di massa al movimento partigiano al nord. La Repubblica Sociale Italiana in mano agli estremisti del partito non riuscì mai a risolvere per intero il rapporto con il tedesco, un rapporto che fu sempre di sudditanza, e soprattutto non riuscì a imporre e realizzare quelle riformi sociali (la socializzazione integrale) su cui si basava la politic internai e che vide il totale fallimento per il rifiuto di aderirvi da parte della masse operaie e proletarie.
A tutti i fronti si accede perchè volontari. Si hanno diverse figure giuridiche, che già descriviamo, come il partigiano, il patriota, il prigioniero, l'internato, l'ostaggio, il deportato, e in questa particolare sede possiamo indicare l’Intelligence Liaison Officers, tutte figure che si delineano a seconda del fronte con cui si combatte. Un fronte che rimane unitario, nella volontà ferma di sconfiggere il nazifascismo. E in nome di questa unità, è sempre bello sottolineare il fatto che gli italiani, pur nella diversità di grado ma non di natura, diede il suo contributo, il suo granello di sabbia, su fronti diversi, affinché si realizzasse una Italia migliore, che è la quinta essenza della Guerra di Liberazione, culla e matrice della nostra Repubblica attuale
Per approfondimenti consultare il volume della collana Storia in laboratorio
Massimo Coltrinari,
La Guerra di Liberazione, una guerra su cinque fronti, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2008
15 euro
(ulteriori informazioni www.secondorisirgimento.it)