Nel 1796 durante la guerra contro la prima coalizione (Inghilterra, Austria, Piemonte) il Direttorio riteneva che il fronte principale fosse a nord delle Alpi e considerava le operazioni dell’Armata d’Italia secondarie e destinate solo a fare cassa nella ricca Italia.
L’offensiva di Bonaparte ribaltò la gravitazione degli sforzi e le sue brillanti vittorie furono la dimostrazione della bontà della sua strategia. Contravvenne anche alle direttive del Direttorio che intendeva salvaguardare il Piemonte dei Savoia mentre egli volle neutralizzarlo e costringerlo a una pace separata. Partendo da Nizza arrivò quasi alle porte di Vienna. La sua genialità rifulse nella prima parte della campagna, quando aveva di fronte ancora le due armate piemontese ed austriaca.
Contro due armate, una austriaca di 40.000 uomini al comando del feldmaresciallo Beaulieu e una piemontese di 42.000 uomini al comando del feldmaresciallo Colli, avendo a disposizione 47.000 uomini in pessime condizioni, facendo leva sulla disciplina ma anche sulla promessa di onori e di bottino, riuscì a galvanizzare una truppa sfiduciata, senza soldo, senza viveri e senza scarpe, a separare le due armate, battere la piemontese costringendola, dopo appena un mese dall’inizio delle ostilità, all’armistizio di Cherasco e proseguire poi contro gli austriaci. Fu certo aiutato in questo dalla mancanza di cooperazione tra gli avversari che fecero a gara per farlo vincere.
In sintesi, gli austriaci e i piemontesi commisero errori esiziali:
• operarono con obiettivi divergenti (salvare Torino e salvare Milano) ed esclusivamente in difensiva;
• non strinsero un patto di comando unico;
• disseminarono le forze (doppie dei francesi);
• non coordinarono operazioni di soccorso reciproco;
• non sfruttarono successi locali, che pur ci furono.
Bonaparte non fece invece praticamente errori e l’offensiva che condusse all’armistizio di Cherasco fu una guerra lampo “ante litteram”.
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