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Contro tutti e tutto. I soldati Italiani nei Balcani nel 1943

Il Volume "La Divisione "Perugia" Dalla Tragedia all'Oblio" è disponibile in tutte le librerie. ISBN 886134305-8, Roma, 2010, Euro 20,00 pag. 329.



Ordini: ordini@nuovacultura.it, http://www.nuovacultura.it/ Collana storia in laboratorio;

Un Triste destino per la Divisione "Perugia"

Un Triste destino per la Divisione "Perugia"
La Divisione "Perugia" avrebbe avuto miglior sorte se Informazioni ed Intelligence avessero trovato più ascolto presso i Comandi Superiori

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lunedì 31 ottobre 2022

Il Retaggio della Prigionia in Urss


 


La prigionia in mano alla U.R.S.S. è quella che ha inciso più a fondo nel retaggio  del sistema socio-politico del dopoguerra. Prima che scoppiasse la guerra fredda, nella metà del 1946, già si avvertivano i sintomi di quelle che saranno le polemiche spesso roventi del dopoguerra. Il 20 agosto 1946, dopo un anno di attesa e di aspettative sempre più crescenti, quando tutti gli altri Paesi belligeranti avevano restituito in grandissima parte i prigionieri in loro mani, un comunicato del Governo di Mosca molto sobrio ed asciutto fa presente che tutti i prigioneri italiani in mano alla URSS erano stati restituiti, tranne un esiguo numero, circa 27, tra ufficiali e soldati, considerati criminali di guerra ed in attesa di giudizio. Tra questi anche un cappellano militare, Padre Brevi, considerato dai sovietici una spia del Vaticano.


In Italia le aspettative erano altre. Si aspettava il rientro di circa 70/80 mila prigionieri dalla Russia. A tutto il 1946 erano stati restituiti 21.000 soldati, di cui circa 11.000 appartenenti all’ARMIR i restanti liberati dall’Armata Rossa dai campi di concentramento tedeschi nella sua avanzata verso occidente.

La polemica divampò violentissima, e si manifestò in modo particolare nello scontro politico tra i partiti di sinistra, in particolare il PCI e i partiti del centro, in particolare la Democrazia Cristiana. L’accusa principale era che la URSS tratteneva i prigionieri italiani come schiavi, per ragioni ideologiche.

La realtà, emersa negli anni novanta all’indomani del crollo della URSS e alla parziale apertura degli archivi sovietici, era ben diversa da quella ipotizzata in Italia. La URSS aveva ragione nel sostenere che aveva restituito tutti i prigionieri italiani in suo possesso. Infatti è stato documentato[1] che l’Armata Rossa, nella sua avanzata verso occidente catturava circa 11.000/11.500 soldati dell’ARMIR e li avviò ai campi di smistamento ( le cosiddette marce del Davai). Nei campi di smistamento entrarono quelli che poi vennero restituì, tranne una percentuale dell’1% che morì per malattie o cause naturali.[2]

La vicenda dei prigionieri in mano alla URSS continuò in temi sempre aspri fino al 1954 quando, dopo la morte di Stalin, furono restituiti gli ultimi prigioneri, circa 10, trattenuti con pretesti e motivi vari.

 

Il retaggio di questo particolare segmento del V fronte della Guerra di Liberazione è estremamente pesante. L’Italia inviò prima un Corpo di Spedizione, poi una Arma che raggiunse circa i 200.000. Nel corso delle offensive sovietiche del novembre-dicembre 1942 – gennaio febbraio 1943, che si conclusero con la caduta di Stalingrado, che determinarono la svolta della guerra in Oriente, le forze italiane furono annientate. Circa 100.000 uomini riuscirono a salvarsi tramite una ritirata, la celeberrima ritirata di Russia, ma altrettanti rimasero sul campo. Non per le vicende della guerra, ma in virtù della insipienza dei Comandati italiani sul campo, delle imposizioni tedesche e di un male interpretato senso dell’onore militare. Composte tutte da forze di fanteria, senza mezzi corazzati e meccanizzati, il compito era quello di resistere fino allo stremo sulle posizioni del Don. Una volta che la battaglia avrebbe rilevato le direttrici di attacco in profondità dell’attaccante sovietico, avrebbero dovuto intervenire le forze mobili tedesche, per chiudere le falle. Il compito delle forze Italia quindi fu assolto. L’errore fu il non aver dato di arrendersi sul posto. Sarebbe stata la salvezza di oltre 80.000 soldati italiani. Al contrario, messisi in marcia verso occidente, quanto contemporaneamente i sovietici provvedevano a distruggere tutta l’organizzazione logistica di retrovia con puntate di forze mobili, la speranza di sopravvivere nella steppa d’inverno erano presso che nulle. Infatti i comandi sovietici locali non inseguirono i soldati italiani in marcia, conviti e sicuri che la steppa, il cosidetto generale Inverno, li avrebbe uccisi. Come in realtà accadde. Il prezioso retaggio di questo segmento del V fronte è quello che occorre avere sempre autonomia decisionale quando si partecipa in una coalizione fi forze internazionali ed occorre sempre, in lealtà con gli alleati, preservare l’interesse nazionale. Un retaggio che permeò nel dopoguerra la partecipazione delle forze nazionali alle cosiddette Missioni di Pace, coalizioni internazionali sotto egida id organizzazioni sovranazionali.



[1] UNIRR, Rapporto UNIRR, 1995. In Italia la cifra dei presunti prigionieri era stata fissata in circa 84.000. Dei 201.0000 militari italiani presenti al fronte ai primi di dicembre, come attestano i documenti della Direzione di Commissariato dell’ARMIR sulla forza vettovagliata, ne erano rientrati in Italia 101.000. Pertanto considerate le perdite, a larghe spanne, la cifra dei prigioneri doveva essere circa 84.000 considerate le perdite. In realtà dei 101.000 soldati mancati, 90.000 erano Caduti nella ritirata e circa 11.000 raccolti come prigioneri dai sovietici, che in effetti restituirono. Vds. Coltrinari M., Le Vicende dei Militari Italiani in URSS, Roma, Archepares, 2021.

[2] Il tasso di mortalità nella prigionia in URSS è più o meno quello delle altre prigionie in mano della Gran Bretagna, Francia e Stati uniti.

giovedì 20 ottobre 2022

Le qualifiche partigiane

 A partire dal 1945, a seguito del Decreto legislativo luogotenenziale del 21 agosto 1945, n.518, dal titolo Disposizioni concernenti il riconoscimento delle qualifiche dei partigiani e l'esame delle proposte di ricompense (d. lg. Lgt. 518/1945), furono istituite Commissioni regionali al fine di vagliare e definire la posizione dei partigiani. Le qualifiche individuate furono tre: partigiano, patriota e benemerito. 

Si qualifica partigiano colui che è caduto o rimasto mutilato o invalido nella lotta di Liberazione; oppure per almeno tre mesi abbia militato in una formazione armata partigiana regolarmente inquadrata nelle forze riconosciute e dipendenti dal Corpo Volontari della Libertà; oppure per durata di servizio minore di tre mesi sia stato ferito in combattimento; oppure per almeno sei mesi abbia fatto parte di un Comando o di un servizio di Comando (informazioni, intendenza, ecc.) inquadrato nell'attività del Corpo Volontari della Libertà; oppure, in seguito a cattura da parte nazifascista per attività attinente al movimento militare, sia rimasto in carcere oltre tre mesi. 

Si qualifica patriota colui che ha collaborato e contribuito attivamente alla lotta di Liberazione, sia militando nelle formazioni partigiane per un periodo minore di quello previsto, sia prestando costante e notevole aiuto alle formazioni partigiane. 

Si qualifica benemerito colui che, pur non avendo i requisiti di patriota, ha svolto con proprio rischio rilevante attività nella lotta di Liberazione o collaborato con le bande attive. 

Corre l'obbligo di sottolineare come i criteri basati su dati oggettivi quasi esclusivamente militari, adottati per il riconoscimento delle qualifiche partigiane, abbiano di fatto fortemente penalizzato le donne e in genere chi svolse un'attività soprattutto di supporto logistico, assistenziale, informativo, solo in parte recuperata dalla qualifica di benemerito

mercoledì 19 ottobre 2022

Stefano Bodini - Centenario del Delitto Matteotti.

 

Il “Rapporto Matteotti” ritrovato


Stefano Bodini


A Milano, presso la Base scout regionale lombarda dell’AGESCI, è presente il Centro Studi e Documentazione “Mons. Andrea Ghetti - Baden”, la cui finalità è quella di preservare ed approfondire il secolare patrimonio culturale scout. Negli scantinati di tale struttura, realizzata nel secondo dopoguerra, si sono accumulati faldoni e documenti oramai da molti decenni. Nel paziente tentativo di mettere ordine fra le vecchie scaffalature, alcuni mesi fa aprii uno scatolone, il cui cartone era già indice di estrema vetustà. Senza un apparente collegamento logico, vi erano stati stipati, in maniera però maniacalmente precisa, documenti personali, centinaia di articoli di carattere politico e pubblicazioni varie di attualità dell’epoca, raccolti da tale Alcibiade Malagutti (Malaguti, in certi altri carteggi). Il tutto ricopriva un arco temporale di circa 25 anni, ovvero dal 1921 al 1947.


All’ interno di una busta, il ritrovamento più inatteso, e certamente il più importante, ovvero l’inchiesta, avente titolo “Un anno di dominazione fascista”, dell’On. Giacomo Matteotti. Tale pubblicazione stampata è una copia originale (cioè del 1924); consta di 91 pagine e, in terza di copertina, riporta la dicitura: Tip. …. - Roma, dove è evidente la cancellazione del nome della stamperia, anche se dalle flebili tracce dell’inchiostro rimasto, parrebbe leggersi “Mazzini”...


Nella prima pagina, già in copertina, appare il Sommario, diviso in tre parti;

- la prima riguarda la situazione economico- finanziaria del Paese

- la seconda è relativa agli Atti del Governo Fascista in merito alla politica Tributaria, Doganale, ed Economica, ai Lavori Pubblici, alla Giustizia, alle Scuole, agli Ordinamenti Militari, alla Polizia di Partito, alle Elezioni.

- la terza è una lunga (ben 37 pagine) e dettagliata raccolta delle violenze fasciste operate in Italia fino ad allora e sulla libertà di stampa, progressivamente negata dal Governo.


Sul contesto di tale ritrovamento nella nostra “Casa dello Scout”, pur avendo elaborato alcune ragionevoli ipotesi su chi potesse essere questo Alcibiade Malagutti (sconosciuto negli archivi associativi lombardi), preferisco tuttavia evitare considerazioni ed attenermi alla realtà documentale presente in questo Fondo, a lui dedicato, nella speranza che un giorno si possa svelare il mistero di questo ritrovamento.

In occasione infine del centenario del vile delitto, auspico che anche questa semplice condivisione archivistica possa, ancora una volta, dare voce e rendere memoria alla eroica testimonianza di Martire della Libertà dell’Onorevole Giacomo Matteotti.”

27 gennaio 2024

Fabio Pavanati Resp.le C.S.D. “Mons. A. Ghetti - Baden” Milano “


Il 10 giugno 1924 il deputato On. Giacomo Matteotti lasciò la sua abitazione per dirigersi in Parlamento1 .

Come è noto non arrivò mai a destinazione perché lungo il tragitto venne rapito e ucciso da cinque malviventi che appartenevano alla Ceka 2 del governo fascista: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. Mandante di questo delitto fu direttamente il capo del Governo, Mussolini, che si sarebbe autodenunciato del crimine durante il famoso discorso alla Camera del 3 gennaio 1925 “[…] Se il fascismo è una associazione a delinquere, allora io ne sono il capo […]”. Con quel discorso, storicamente si riconosce l’inizio dell’ultima fase del progetto mussoliniano di fascistizzazione dell’Italia: il cui culmine sarebbe stato raggiunto nel 1929: con le elezioni a lista unica e la firma dei Patti del Laterano3 . Tutto questo probabilmente non sarebbe avvenuto se Matteotti fosse riuscito a intervenire quel giorno in Parlamento. Il rapimento e l’omicidio del deputato socialista sono uno “sliding doors” nella storia italiana. È un delitto che segna uno spartiacque tra3 un prima e un dopo, direttamente legato alle conseguenze che questo avvenimento ha implicato. Pur con tutti gli impegni della attività politica, da deputato socialista, Matteotti aveva raccolto i dati per sconfessare la propaganda fascista contestando quasi ogni singola voce dell’attività di Governo.


Questo lavoro, certosino e ampio, fu tradotto a sue spese, semiclandestinamente, nella pubblicazione intitolata “Un anno di dominazione fascista. “Una copia, originale è stata casualmente e fortuitamente ritrovata tra i materiali conservati presso la sede di AGESCI Lombardia a Milano. Sorprende lo stato di conservazione, buono considerato il supporto cartaceo utilizzato, piuttosto scadente, diffusa negli anni ’20. Secondo alcune ricerche pare che l’On. Matteotti avesse rintracciato in un viaggio in Inghilterra, nella primavera del ’24, le prove delle tangenti ricevute dai governanti italiani dalle antenate delle sette sorelle del petrolio, per alcuni appalti che riguardavano l’Agro Pontino.


La notizia di queste scoperte giunse a Mussolini: condannando il deputato alla sorte che gli toccò il 24 giugno. Ma già prima di questa fatale scoperta, il deputato socialista aveva raccolto tutti i dati per la realizzazione della già citata pubblicazione: l’opera si presenta come l’analisi di ciascuna voce dell’attività di governo e di bilancio durante il primo anno del fascismo al potere. Si considera particolarmente significativa la particolare essenzialità dei commenti dello stesso Matteotti a ciascuna voce di spesa. Senza perdersi in dettagli superflui riuscì ad analizzare i dati presentati in maniera chiara e coincisa, spiegando talvolta come l’attività del precedente governo avesse subito ancora gli influssi della guerra appena conclusa.


Invece, le promesse di crescita del neo governo risultavano quantitativamente e, quasi sistematicamente, disattese. Alla luce dei numeri provava a dimostrare l’inefficienza e l’inesperienza dei nuovi governanti. Si invita alla lettura del testo secondo due prospettive. In primo luogo si tratta dell’ultima pubblicazione di Matteotti da cui si possono desumere la sua levatura morale e la sua capacità politica molto concreta. In secondo luogo, ma non meno importante, il testo insinua nel lettore il dubbio di conoscere il funzionamento di uno stato. La ricerca di dati reali per poter effettuare delle valutazioni sull’operato della classe dirigente, senza nascondersi dietro alle querelle verbali cui tanto siamo abituati, è una delle tracce lasciate da Matteotti. Questo testo, estremamente analitico, prova a insinuare nel lettore il primo dovere di un cittadino: imparare a conoscere i rudimenti di gestione della vita pubblica in modo da comprendere come funziona il “bilancio sociale” di uno stato, oltre a insegnare come leggerlo. Questo non significa doversi sostituire all’attività dei deputati, di cui possiamo apprezzare solo una parte della loro attività tramite le parole di Matteotti; bensì ricercare lo stimolo per imparare una corretta lettura dei dati dell’attività statale, che è patrimonio pubblico. In questo modo invece che nascondersi dietro pigre deleghe alla classe dirigente, si potrebbe comprendere meglio la realtà politica e sociale in cui si vive.

1.Per i dettagli sul delitto Matteotti, quello che ha comportato e soprattutto le cause si rimanda, in particolare, al testo MAURO CANALI, Il delitto Matteotti, il Mulino, 2015 Bologna.

2. Il termine deriva dalla polizia politica sovietica sorta con un decreto del 20 dicembre 1917, a seguito dei

fatti della “Rivoluzione di ottobre”

3. Il primo accordo tra un Governo Italiano e la Chiesa Cattolica dopo l’unificazione e la presa di Roma del 1870.

lunedì 10 ottobre 2022

L'Internato come combattente della Guerra di Liberazione

 


La data del 27 gennaio 1945, giorno in cui l’Armata Rossa, penetrando in territorio della Ex Polonia liberò il campo di sterminio di Auschwitz e dei relativi sottocampi di Birkenau I e II, è stata assunta a simbolo dell’internamento in Germania. Quelle che erano voci in merito alla esistenza di campi di concentramento e di sterminio in Germania, via via stavano avendo conferma. La liberazione di questo campo pose davanti a tutto il mondo l’evidenza di quanto era stato proclamato dal Nazismo: gli avversari dovevano essere eliminati. E così fu. Nonostante tutta la propaganda, i nodi stavano vendendo al pettine. Chi era contro il nazismo non aveva diritto di sopravvivere. Pertanto questo sistema di stato, alimentato dalla ideologia nazista, aveva fin dalla sua presa di potere, aperto luoghi ove prima rinchiudere e poi eliminare i propri avversari. Tutti coloro che furono internati combatterono la loro battaglia disarmati, testimoniando l’assurdità di tale assunto e portando i nazisti a rispondere dei loro atti, atti che determinarono nel Diritto Internazionale e nel diritto delle genti il concetto di “crimine di guerra”, e di “crimine contro l’umanità, nel momento in cui si violano le leggi del diritto umanitario e le leggi dei diritti dell’uomo. 


Tutti gli internati in Germania combatterono la loro guerra per la liberazione da questa ideologia, da questa continua violazione dei diritti dell’uomo, da questa violenza perpetuata senza limiti e condizioni che si dimostrò il nazismo nella sua totalità. Internati combattenti dietro il filo spinato, che dimostrarono che l’uomo oltre certi limiti non può andare e deve sempre rispettare le leggi della umana convivenza. Si crea, come ampiamente abbiamo detto, il Terzo fronte della Guerra di Liberazione, in Italia, parte integrante di quella lotta alla ideologia nazifascista, che tutta l’Europa libera combatte nella seconda guerra mondiale. Non è, la liberazione di Auschwitz il 27 gennaio 1945 una data che si può relegare all’Olocausto, allo sterminio di un popolo, quello ebreo, è anche questo nel grande rispetto del popolo israelita e dei suoi enormi sacrifici che dovette sopportare. E’ la lotta dell’uomo libero contro l’uomo-belva, che non rispetta alcuna legge ed alcuna norma condivisa, ma solo quelle che lui ha deciso di darsi e rispettare a tutto suo vantaggio.