All’alba dell’11, un incidente: ad un “tre alberi” italiano,
che si stava spostando nella rada di Argostoli, la batteria dei semoventi
tedesca, sospettando che il veliero tentasse la fuga, sparò contro alcuni colpi
di monito.
Poche ore dopo, un fatto grave: la diffusione di foglietti
volanti che invitavano i soldati a “ribellarsi al Generale”. I manifestini
terminavano con la scritta “Unione Ufficiali Italiani Antifascisti”. Chi ne era
l’autore? “Da indagini eseguite più tardi – dice il capitano Apollonio –
risultarono stampati nella tipografia greca dell’EAM di Cefalonia. Erano
scritti in un italiano del tutto sgrammaticato”.
I sospetti cadono pertanto sulla propaganda greca, la quale,
naturalmente,più che ad una soluzione onorevole, era interessata a porre in
conflitto armato italiani e tedeschi.
Certo è che la distribuzione dei manifestini segnò l’inizio
del dualismo, che si acuirà sempre più nei giorni seguenti, fra le truppe e il
generale comandante e cominciarono, da quel momento, a circolare senza ritegno
le parole “traditore” e “tradimento”.
Nel pomeriggio, altro incidente più significativo.
Un gruppo di tedeschi con un semovente da 75 si trasferì al
porto e qui giunto puntò il pezzo contro
un dragamine con l’evidente intenzione di neutralizzare, all’occorrenza,
l’azione di due mitragliere da 20 istallate a bordo del natante.
“Il nostro sottotenente comandante la sezione – riferisce il
capitano Apollonio – levati gli otturatori alle mitragliere venne subito presso
di me, ed io, col tacito consenso del col .Romagnoli, apprestai due autocarri
di volontari armati e mi recai al porto per
recuperare i due pezzi. Le due mitragliere vennero trasportate nel
caposaldo del capitano Pampaloni. Nel mentre gli autocarri attraversavano la
città di Argostoli, la popolazione greca, che aveva seguito l’avvenimento, fece
un’entusiastica manifestazione che commosse e nello stesso tempo eccitò gli
animi dei soldati”.
Nello stesso pomeriggio, un sottotenente del 17° fanteria si
recava in autocarretta ad Ankonas con l’incarico dal proprio comando di farsi
restituire dai tedeschi due moschetti che questi avevano tolto il giorno
prima a due nostri soldati. I tedeschi
catturavano l’autocarretta e disarmavano l’ufficiale e la truppa.
La sera, giungevano da Santa Maura, dopo molte peripezie.
Alcuni nostri soldati “portando la triste notizia che il presidio di
quell’isola aveva ceduto le armi ai tedeschi ed era stato avviato verso i campi
di concentramento nelle zone malariche di Missolungi”.
Aumentavano intanto le iniziative personali, specie fra gli
ufficiali del reggimento di artiglieria.
Nel caposaldo del capitano Pampaloni “a due ufficiali greci
che offrivano la collaborazione di un battaglione greco furono fornite armi e
munizioni e furono impartite direttive sulla condotta da seguire nei giorni
successivi”.
Alla batteria del capitano Apollonio affluivano in gran
numero soldati che volevano combattere. “Marinai, guardie di finanza,
carabinieri, fanti venivano suddivisi in squadre e ad ognuno era assegnato un
compito. Si svolsero scene di commovente patriottismo”.
“Passai la notte intera – dice il capitano Apollonio – in
giro fra i vari reparti. Tutti erano pronti. Patrioti greci e soldati
accorrevano a me offrendosi per sopprimere il generale. Mi opposi per varie
ragioni. Ma sin da quel momento decisi che bisognava agire senz’altro di
iniziativa. Mi tratteneva soltanto il fatto che i due comandanti dei
battaglioni di fanteria, il secondo del 17° ed il terzo del 317°, non erano
ancora propensi all’azione”.
Nei battaglioni di fanteria infatti – sebbene “il fermento
fra i soldati crescesse in maniera impressionante” – nessun ufficiale, a tutto
il giorno 11, aveva ancora preso iniziative contrastanti con gli ordini dei
propri comandi.
Frattanto, nelle prime ore del
mattino, quasi contemporaneamente all’incidente del veliero nella rada,
giungeva al comando della divisione – trasmessa dal ten. col. Barge – la
risposta del comando superiore tedesco alle proposte formulate dal gen. Gandin
la sera prima.
Le richieste del generale erano,
in linea generale, tutte accolte; salvo ulteriori trattative sui particolari
esecutivi.
Il comando superiore tedesco,
poiché doveva subito assumere, in sostituzione degli italiani, la difesa di
Cefalonia, prospettava la necessità che tutta la “Acqui” lasciasse la costa e
si trasferisse all’interno dell’isola: per zona di raccolta si suggeriva la
conca di Valsamata. Il comando della divisione, col quartier generale, si
sarebbe potuto trasferire a Samos.
La comunicazione, però, così
finiva: il comando tedesco desidera chiaramente conoscere l’atteggiamento che
la divisione “Acqui” intende di assumere in questa situazione. Il generale deve
quindi esplicitamente optare per uno di questi tre punti: a favore dei tedeschi
– contro i tedeschi – cessione delle armi. Termine per la risposta: ore 19
dello stesso giorno.
“Questa lettera, - commenta il
capitano Bronzini – per quanto non redatta in termini ostili, costringe il
generale a dare quella definitiva risposta che era riuscito finora ad evitare.”
“Un’ora grave pesa su tutti noi”.
Subito dopo tale comunicazione, il gen. Gandin chiamò a
rapporto tutti i comandanti di corpo e di servizi della divisione.”
Il generale – testimonia il
capitano Bronzini – pose la questione nei seguenti termini: il primo punto è in
contrasto con il giuramento al Re e costituisce una violazione dell’armistizio.
Il terzo è disonorevole. Del secondo, volendolo adottare, quali saranno le
conseguenze?”
La riunione durò a lungo, quasi
tutta la mattina: ma purtroppo nessuna traccia è rimasta di quanto fu discusso.
“Non si arrivò ad una chiara
conclusione – dice il predetto capitano – ma, come nel rapporto precedente,
insistettero per la cessione delle armi la grande maggioranza dei convenuti,
manifestandosi contro solo il comandante di Marina , Mastrangelo, ed il
colonnello di artiglieria, Romagnoli”.
Dopo il rapporto dei comandanti,
il gen. Gandin decise di sentire il parere dei cappellani della divisione.
“La conoscenza che essi hanno
della truppa – commenta lo stesso capitano Bronzini – per il quotidiano e più
libero contatto con essa, nonché la serenità del loro giudizio, sono elementi
che il generale, in sì grave situazione, non poteva trascurare”.
I cappellano giunsero al comando
alle ore 18 circa.
Quanto si svolse durante questa
riunione è invece largamente descritto da padre Romualdo Formato, il quale
dice: “andiamo al rapporto pensando che il generale voglia esortarci ad
identificare la nostra opera sacerdotale per tenere alto fiducioso e sereno
l’animo della truppa in una contingenza così estremamente critica e ripetiamo
fra noi: se il generale riuscisse a mantenere senza incidenti lo stato di
reciproca cordialità con le truppe tedesche bisognerebbe fargli un monumento
d’oro.”
“Tanto siamo lontani
dall’immaginare quale ingrata sorpresa ci attende, quale grave parere siamo
chiamati a proferire”.
Il generale è pallido, ritto
dietro al suo tavolo.
“Incomincia così:
“Dopo i comandanti di corpo, ho voluto chiamare
anche voi”.
“Voi siete sacerdoti, ministri di Dio”.
“Voi conoscete l’animo del soldato e potete essermi
preziosi in questo momento”.
“Questo momento è quanto mai tragico per me e per la
mia divisione”.
“Ho sulla coscienza la responsabilità della vita di
oltre diecimila figli di mamma”.
“La vita di tutti questi ragazzi può essere messa a
repentaglio dalla decisione che sto per prendere”.
“Un ultimatum del comando tedesco di Atene mi invita
a decidermi su uno dei seguenti punti: continuare la lotta accanto ai tedeschi;
combattere contro i tedeschi; cedere le armi”.
“Premetto che siamo legati
davanti a Dio e davanti alla Patria da un giuramento di fedeltà alla Maestà del
Re. Non sarò io a ricordare ai sacerdoti che il giuramento è un atto sacro col quale chiamiamo Iddio stesso a diretta testimonianza
di quanto affermiamo e promettiamo. Il nuovo legittimo Governo del re ha
firmato un armistizio. Non possiamo dunque più impegnare le armi contro il
nemico di ieri.
«Dall’altra parte,
perché, senza grande motivo e provocazione, rivolgere le armi contro un popolo
che ci è stato alleato per tre anni combattendo la nostra stessa g e condividendo
i nostri stessi sacrifici?
«Resta la soluzione
di cedere pacificamente le armi.
«Mi hanno assicurato
che si tratterebbe soltanto delle armi pesanti, le quali ci sono state date
quasi tutte dai tedeschi stessi.
«Ma questo atto della
cessione non viola forse lo spirito dell’armistizio e, per conseguenza, non
verremmo egualmente meno al giuramento di fedeltà al Re?
«E ancora: dove se ne
andrebbe, cos’ facendo, l’onore delle armi, che è la cosa più cara al soldato e
ad un esercito sfortunato ma pur glorioso qual è l’italiano?
«Eppure, su uno di
questi tre punti devo decidermi.
«Riflettete che, se
dovesse verificarsi un conflitto armato contro i tedeschi, numerosi e forti
come siamo in quest’isola, avremo, in una prima fase, il sopravvento. Ma non
dimentichiamo che dietro di noi, sul vicino continente greco, ci sono oltre 300
mila tedeschi, certamente decisi qui con uomini e materiali. Essi possono
lanciare sull’isola le loro squadriglie di «Stukas» e massacrarci
indisturbatamente. La truppa, allora, combatterebbe di buon animo?
Resisterebbe, indifesa, sotto i bombardamenti aerei?
«Tenete presenti
queste osservazioni e siccome ho poco tempo a disposizione –sono le 18 ed il
comando tedesco vuole la risposta per le 19- ciascuno di voi, senza perdersi in
inutili discussioni, mi dichiari il suo parere significando quali dei tre punti
sente di potermi in coscienza suggerire come minore male».
«Eravamo in sette:
tutti, eccetto uno, ci pronunciammo per il terzo punto.
«Il generale ci congeda e conclude:«Pregate Iddio perché
mi assista in una ora così importante per la divisione e così tragica per la mia coscienza».
«Ci ritiriamo.
«Evitiamo di parlare con gli ufficiali che affollano i
corridoi e desiderano notizie.
«Appena sulla strada, ci guardiamo in viso stupefatti, trasognati.
Decidiamo di recarci nel vicino Istituto delle Suore Italiane. Sostiamo a
pregare dinanzi al Crocefisso. Poi ci riuniamo nel salone, esaminiamo ogni lato
della situazione, ne discutiamo a lungo: dobbiamo convincerci che, tutto
considerato, è un imperioso dovere quel consiglio che abbiamo già suggerito.
«Immediatamente scriviamo e facciamo recapitare al
generale la seguente lettera:
«Signor Generale,
appena usciti dal vostro ufficio, ci siamo recati in Chiesa ad invocare l’aiuto
di Dio e ci siamo nuovamente riuniti nel salone dell’Istituto delle Suore
Italiane. Abbiamo, con maggiore calma, esaminato e ponderato quanto voi ci
avete esposto ed il parere che ciascuno di noi ha creduto, in coscienza, di
darvi in un momento così grave. Abbiamo dovuto, questa volta all’unanimità,
nuovamente constatare che il nostro consiglio non poteva essere che quello che
vi abbiamo schiettamente espresso. Per evitare un lotta cruenta e forse impari
e fatale contro l’alleato di ieri, per tenere fede al giuramento di fedeltà
alla Maestà del Re (giuramento che, come voi stesso ci avete ricordato, è un
atto sacro, col quale si chiama Dio stesso a testimonianza della parola data)
e, infine, e soprattutto, per evitare un inutile spargimento di sangue
fraterno, signor Generale, altra via non c’è. Non resta che cedere
pacificamente le armi.
«Dinanzi al tenore
dell’ultimatum germanico, voi, signor generale, isolato da tutti,
impossibilitato di mettervi in comunicazione coi superiori comandi di Grecia e
d’Italia e di ricevere ordini precisi, voi vi trovate nella ineluttabile
necessità di dover cedere ad una dura imposizione per evitare l’inutile supremo
sacrificio dei vostri ufficiali e dei vostri soldati.
«Siamo profondamente
compresi della gravissima responsabilità che in questo tragico momento pesa sul
vostro animo.
«Ora, più che mai, i
vostri cappellani si sentono strettamente uniti a voi. Contate sul nostro
devoto affetto, sulla nostra opera, e soprattutto sulla nostra preghiera.
«Da Dio invochiamo
infatti luce al vostro intelletto e conforto al vostro cuore. Egli vi protegga
e vi benedica, signor generale! E benedica, con voi, la vostra famiglia lontana
e la vostra amatissima divisione.
«I vostri cappellani:
P. Romualdo Formato – Don Biagio Pellizzari – Don Angelo Ragnoli – Don Mario di
Trapani – P. Duilio Capozzi – P. Luigi Gherardini – P. Angelo Cavagnini».
Alle ore 19 il ten. Col. Barge si presentò al comando per
la risposta.
Il generale chiese una dilatazione fino al mattino del
giorno seguente.
Il colonnello tedesco ritornò a Liguri, si pose in
comunicazione col proprio comando, ritornò subito dopo dichiarando che la
dilazione era stata accordata.
Ma nella sera e durante la notte continuarono i colloqui
del generale col comandante tedesco.
Il generale ribadì le sue intenzioni: la cessione delle
armi sarebbe avvenuta nella misura e con le modalità precedentemente accordate.
I reparti sarebbero rimasti schierati sulle attuali posizioni fino al giorno
della partenza per l’Italia. A Cefalonia sarebbero state lasciate le sole artiglierie;
l’armamento della fanteria sarebbe stato invece consegnato ai germanici a
rimpatrio avvenuto.
Testimonia il capitano Bronzini: «il generale Gandin
richiamò l’attenzione del ten. col. Barge su altre importanti questioni. Dall’8
settembre, ad esempio, il presidio tedesco di Liguri riceveva giornalmente
rinforzi portati da aerei da trasporto (in media, due o tre al giorno) o con
zattere via amre. Ciò poteva essere interpretato come atto di ostilità verso di
noi, che invece stiamo dimostrando cameratesche intenzioni verso i tedeschi.
Era dunque necessario che, in attesa di un accordo definitivo, sia da una parte
che dall’altra ci si astenesse dal fare movimenti di truppe. I tedeschi inoltre
avevano, negli ultimi due giorni, trasferito ad Argostoli, dove già c’era la
loro batteria semoventi, circa una compagnia di fanteria: movimento
ingiustificato. Da chi ordinato? Infine, il gen. Gandin, per dare una sicura
prova delle sue buone intenzioni, dichiarò che era disposto a ritirare da
Kardakata il battaglione di fanteria che presidiava questa località.
«Kardakata era una posizione chiave, il cui possesso
significava il dominio della penisola di Liguri. Ed il generale Gandin non
voleva che l’occupazione italiana di questa località fosse interpretata come
minaccia od atto ostile verso i tedeschi.
«Né era opportuno – ai fini della soluzione pacifica
della questione- tenere a Kardakata, a stretto contatto col presidio tedesco di
Ankonas, truppe italiane che si andavano di ora in ora sempre più
elettrizzando.
«Col ten. col. Barge, che si diceva autorizzato dal suo
comando a trattare la cosa, il gen. Gandin stabilì, pertanto, quanto segue: -
il comando della divisione avrebbe subito ritirato da Kardakata il battaglione
di fanteria; - il comando tedesco si impegnava di non inviare più rinforzi ed a
non far più movimenti di truppe in Cefalonia fino a quando fossero durate le
trattative e si fosse giunti ad un accordo definitivo. Qualora tali impegni non
fossero stati dal comando tedesco rispettati, il comando della «Acqui» avrebbe
dovuto senz’altro agire secondo le direttive governative dell’8 settembre».
Mentre si svolgevano queste trattative, core voce (molto
probabilmente portata dai militari di Santa Maura) che il Governo italiano
fosse a Bari e il Comando Supremo a Bari od a Brindisi.
Il gen. Gandin volle allora fare ancora un tentativo di
collegamento attraverso il radio ponte di Corfù. Fu quindi redatto, e trasmesso
cifrato dalla stazione della Marina, un radiogramma diretto al Comando Supremo.
In esso, veniva esposta la situazione dell’isola e data notizia del radiogramma
del comando dell’IIª armata che aveva ordinato la cessione delle armi ai
tedeschi. Si chiedeva infine se detto ordine, forse apocrifo, e comunque in
contrasto con le direttive del Governo, dovesse o meno essere eseguito.
Il tentativo, come vedremo, ebbe fortuna.
(chi desidera uleriori approfondimenti scriva a: ricerca23@libero.it; chi non desidera ricevere ulteriori post da questo blog scriva a studentiecultori2009@libero.it)
Nessun commento:
Posta un commento