Le vicende delle forze armate combattenti
Il primo fronte
deve combattere una sua propria battaglia per esistere. Dopo il ritiro dalle
posizioni di Montelungo, sconfitti e con il morale bassissimo, la possibilità
di avere truppe combattenti italiane stava per scemare. I Britannici
insistevano per non concederle ed impiegare i soldati italiani solo nelle
Divisioni Logistiche dette “Ausiliare”, mentre il solo sostegno statunitense poteva
non bastare se le truppe ed i quadri mostravano le carenze disciplinari
mostrate fino ad allora. Le diserzioni, ovvero l’assenza arbitraria e momentanea
alle bandiere come si usava dire allora avevano caratterizzato la compagine
combattente italiana. La rivolta di oltre 190 Allievi Ufficiali dei bersaglieri
rimase significativa. Ci volle tutta la abilità del gen. Utili, e la
sensibilità del gen. Messe per riuscire a controllare la situazione che stava
degenerando in modo incontrollabile. La situazione migliorò nel mese di marzo
con l’arrivo di unità integre dalla Sardegna. La felice azione di Monte Marrone
fu la svolta che salvò la situazione: gli americani e quindi tutti gli altri
alleati si convinsero che gli Italiani potevano ritornare utili nel prosieguo
della guerra. Assegnati al settore adriatico, come divisone del Corpo d’Armata polacco,
la bella prova di Filottrano a luglio, fece sì che gli Alleanti, compresi i
britannici, anche per le esigenze ormai pressanti di “Anvil”, decisero non solo
di accettare truppe combattenti italiane, ma anche di elevarne il numero da
25.000, e portarle a 40. /50.000 giugno luglio, e a settembre, a 250.000 con la
creazione dei Gruppi di Combattimento. Intanto il numero delle unità
logistiche, dette “Ausiliare” avevano raggiunto i 200.000 uomini.
La battaglia per
l’esistenza come combattenti era stata vinta. Il Regio Esercito, e le altre Forze
Armate partecipavano alla guerra, combattendo non solo come contributo alle
esigenze logistiche. Per l’Italia si poteva sperare in un futuro migliore.