Il 1944 fu un
anno terribile per i prigionieri italiani in mano alleata. La crisi
armistiziale aveva fatto sperare a tutti un rapido ritorno a casa. In realtà un
armistizio, dal punto di vista giuridico, non prevede la restituzione dei
prigionieri. Nelle clausole firmate dal Governo Badoglio, peraltro, questi sì “era
dimenticato” di chiedere la restituzione dei prigioneri italiani in mano
alleata, suscitando negli Alleati sospetti pesanti sulla sua credibilità e
sulla sua lealtà. Badoglio si era ricordato di loro nel momento in cui si pose
mano alla ricostruzione delle forze armate predisponendo piani per l’approntamento
di Armate con personale da tratte dai campi di prigionia alleati. Il progetto
fu ovviamente osteggiato dagli Alleati che vedevano i prigionieri italiani in
loro mano solo come forza da impiegare nel settore logistico: in pratica, con
condizioni più umane, quello che facevano i tedeschi con gli Internati Militari
in loro potere. Anche per i prigioneri in mano alleata si poneva il dilemma se
aderire o non aderire, se rimanere fedeli al giuramento prestato a quel Re, il
cui governo non dava alcuna indicazione su come comportarsi fuggendo ancora una
volta dalle sue responsabilità, lasciando ancor più il singolo abbandonato a sé
stesso. In tutti l’alto senso della disciplina e dell’onore militare era un
freno a prendere decisioni, soprattutto per il fatto che al rientro in Italia sapevano
tutti che il loro comportamento in prigionia sarebbe stato oggetto di attento
giudizio. Anche questo fronte si divise in collaboratori e non collaboratori,
con le conseguenze nel lungo periodo che questa scelta a posteriori fu
etichettata ideologicamente.
Addirittura per
quelli in mano alla URSS furono gettate le premesse per quelle violentissime
polemiche sui prigionieri in mano sovietica che caratterizzò i primi anni del
secondo dopoguerra. Anche per i prigionieri il 1944 fu un anno di speranze,
delusioni, di difficoltà, senza prospettive di vedere realizzato quello che
tutti aspettavano: rientrare in Italia.
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