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Contro tutti e tutto. I soldati Italiani nei Balcani nel 1943

Il Volume "La Divisione "Perugia" Dalla Tragedia all'Oblio" è disponibile in tutte le librerie. ISBN 886134305-8, Roma, 2010, Euro 20,00 pag. 329.



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Un Triste destino per la Divisione "Perugia"

Un Triste destino per la Divisione "Perugia"
La Divisione "Perugia" avrebbe avuto miglior sorte se Informazioni ed Intelligence avessero trovato più ascolto presso i Comandi Superiori

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sabato 25 maggio 2013

CEfalonia III L'Inizio del Dramma

L’INIZIO DEL DRAMMA

 Tutta la notte tra l’8 e il 9 le stazioni radio dell’isola tentarono invano, come s’è detto, il collegamento col continente greco e con le altre isole Jonie.
Né il continuo ascolto delle normali trasmissioni radio, nazionali ed estere, dette apprezzabili risultati.
“Le stazioni italiane – dice il capitano Bronzini – tacevano; e quelle straniere davano notizie tra loro contraddittorie poiché ogni belligerante, naturalmente, prospettava la situazione secondo i propri fini propagandistici. Nel complesso, dopo aver ascoltato le trasmissioni dei vari paesi, si cadeva in una maggiore confusione di idee”.
All’alba del giorno 9, la propaganda greca, fino ad allora costretta ad agire di nascosto, operò apertamente presso le nostre truppe.
Si distribuirono per le vie di Argostoli manifestini in cui si proclamava che “Grecia e Italia, custodi di civiltà millenaria, dovevano unirsi nella lotta contro la barbarie teutonica”.
A siffatte argomentazioni generiche, se ne aggiunse però una assai più concreta ed acuta che trovò largo credito nell’animo dei nostri soldati:bisogna cacciare i pochi tedeschi che sono nell’isola; una volta cacciati i tedeschi, gli inglesi che ormai sono padroni dell’Italia e del Mediterraneo, verranno a liberare noi ed a riportare voi, con le loro navi, alle vostre case.
O che tale argomentazione fosse esclusivo frutto della propaganda greca o della valutazione  affrettata dei nostri soldati, o l’uno e l’altro, il certo è che essa divenne in breve comune convinzione ed incontenibile programma d’azione.
“L’idea della casa – dice il capitano Bronzini – lusingava i nostri soldati, la più gran parte dei quali da più di trenta mesi ne era lontana e moltissimi, in tutto questo periodo, non erano stati in licenza una sola volta”.
Alle ore 7, una piccola colonna tedesca si presentò al ponte di Argostoli per effettuare i quotidiani prelevamenti di viveri: ma questa volta portava al seguito quattro pezzi da 75 anticarro. I soldati della batteria italiana che aveva il compito del controllo del ponte si ritennero provocati dall’insolito seguito e, corsi ai pezzi, avrebbero fatto fuoco se l’intervento immediato del comando artiglieria divisionale non lo avesse impedito.
Cominciò poi a circolare un interrogativo accompagnato da aspre critiche: perché non vengono ritirate subito le nostre batterie che sono nel settore di Lixuri, in mezzo ai tedeschi?
Il nervosismo, il mattino del 9, era già grande fra le truppe dell’isola: le più strambe notizie, opinioni, supposizioni, qualora conformi al comune sentimento e desiderio, trovavano assai più sostenitori che oppositori.
L’odio contro i tedeschi, da lunga propaganda sopito ma non spento, dava forti segni, ora, di voler, in un modo o nell’altro, esplodere.
Anche al comando della “Acqui” c’era nervosismo, trattenuto dalla “consueta serenità” del comandante.
Stando all’ordine ricevuto, il gen. Gandin non poteva considerare rotti i rapporti con i tedeschi. E pertanto, nelle prime ore del mattino del 9, egli convocò presso di sé il ten. col. Barge per comunicargli il telegramma del comando di armata e il relativo atteggiamento che la divisione “Acqui” doveva sin d’allora assumere nei riguardi dell’ex alleato.
Il comandante tedesco rispose di nona aver ricevuto alcuna direttiva dal suo comando, ma che avrebbe senz’altro collaborato col comando della “Acqui” perché non si manifestassero dissidi fra militari tedeschi e italiani.
Appariva non turbato; quasi rassegnato e convinto della nuova situazione.
Invitato a colazione dal generale non oppose rifiuto ma addusse – com’era in effetti – che la sua presenza, per quel brusco capovolgimento di situazione, era indispensabile fra le sue truppe a Lixuri: chiedeva perciò di farsi rappresentare dal tenente Fauth, di stanza, con la batteria, in Argostoli.
Il ten. Fauth, alle 13, si presentò alla mensa della divisione.
“Finito il pasto, - testimonia il capitano Bronzini – approfitta del brindisi per augurare all’Italia, tanto provata da una guerra sfortunata, una sorte ed un avvenire migliori e per dichiarare che, qualunque siano i rapporti che dovessero stabilirsi fra i tedeschi e la “Acqui”, anche se si dovesse combattere, da parte tedesca vi sarebbe stata sempre cavalleria e lealtà”.
A pomeriggio inoltrato del 9, la situazione nell’isola, e più specialmente in Argostoli, presentava in germe già qualche segno del suo prossimo sviluppo.
Evidente da parte del comandante  della “Acqui” l’intenzione di eseguire gli ordini ricevuti dall’armata.
Infatti il gen. Gandin non ha ritirato le batterie italiane dislocate, fra le truppe tedesche, nel settore Lixuri: atto che sarebbe stato ritenuto di sfiducia, ed in definitiva ostile, dal comandante Barge.
Fra le truppe invece trabocca – alimentato anche dal miraggio di un sollecito rimpatrio – il sentimento antitedesco e la volontà di passare all’azione.
“Verso le ore 20 – scrive il capitano Bronzini – ecco finalmente un lungo radiogramma cifrato del comando dell’11ª armata. Il messaggio, a firma del gen. Vecchiarelli, dice che, in seguito ad accordi intervenuti fra il comando dell’11ª armata e il comando superiore tedesco, le divisioni dell’armata devono cedere ai germanici le artiglierie e le armi pesanti della fanteria. E ciò perché i tedeschi si sono impegnati a riportare in patria, entro breve tempo, tutti i militari italiani, secondo modalità che verranno quanto prima indicate. Nel telegramma si diceva che la consegna delle armi ai tedeschi doveva avvenire nel tempo e nel luogo che sarebbe stato, dai tedeschi stessi, direttamente comunicato alle divisioni interessate.
“Il messaggio – dice il capitano Bronzini -  destò nel comando di divisione un doloroso stupore.”
“Come conciliare questo ordine del comandante dell’armata con l’ordine del Governo di cessare le ostilità contro gli Alleati – il che impone di non dare le armi a chi rimane ancora loro nemico – e di reagire ad atti di violenza?”.

Con questo lucido e pesante interrogativo ebbe inizio, la sera del 9 settembre, il dramma di Cefalonia.

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