sabato 25 maggio 2013
CEfalonia III L'Inizio del Dramma
L’INIZIO DEL
DRAMMA
Tutta la notte tra l’8 e il
9 le stazioni radio dell’isola tentarono invano, come s’è detto, il
collegamento col continente greco e con le altre isole Jonie.
Né il continuo ascolto
delle normali trasmissioni radio, nazionali ed estere, dette apprezzabili
risultati.
“Le stazioni italiane –
dice il capitano Bronzini – tacevano; e quelle straniere davano notizie tra
loro contraddittorie poiché ogni belligerante, naturalmente, prospettava la
situazione secondo i propri fini propagandistici. Nel complesso, dopo aver
ascoltato le trasmissioni dei vari paesi, si cadeva in una maggiore confusione di
idee”.
All’alba del giorno 9, la
propaganda greca, fino ad allora costretta ad agire di nascosto, operò
apertamente presso le nostre truppe.
Si distribuirono per le vie
di Argostoli manifestini in cui si proclamava che “Grecia e Italia, custodi di
civiltà millenaria, dovevano unirsi nella lotta contro la barbarie teutonica”.
A siffatte argomentazioni
generiche, se ne aggiunse però una assai più concreta ed acuta che trovò largo
credito nell’animo dei nostri soldati:bisogna cacciare i pochi tedeschi che sono
nell’isola; una volta cacciati i tedeschi, gli inglesi che ormai sono padroni
dell’Italia e del Mediterraneo, verranno a liberare noi ed a riportare voi, con
le loro navi, alle vostre case.
O che tale argomentazione
fosse esclusivo frutto della propaganda greca o della valutazione affrettata dei nostri soldati, o l’uno e
l’altro, il certo è che essa divenne in breve comune convinzione ed
incontenibile programma d’azione.
“L’idea della casa – dice
il capitano Bronzini – lusingava i nostri soldati, la più gran parte dei quali
da più di trenta mesi ne era lontana e moltissimi, in tutto questo periodo, non
erano stati in licenza una sola volta”.
Alle ore 7, una piccola
colonna tedesca si presentò al ponte di Argostoli per effettuare i quotidiani
prelevamenti di viveri: ma questa volta portava al seguito quattro pezzi da 75
anticarro. I soldati della batteria italiana che aveva il compito del controllo
del ponte si ritennero provocati dall’insolito seguito e, corsi ai pezzi,
avrebbero fatto fuoco se l’intervento immediato del comando artiglieria
divisionale non lo avesse impedito.
Cominciò poi a circolare un
interrogativo accompagnato da aspre critiche: perché non vengono ritirate
subito le nostre batterie che sono nel settore di Lixuri, in mezzo ai tedeschi?
Il nervosismo, il mattino
del 9, era già grande fra le truppe dell’isola: le più strambe notizie,
opinioni, supposizioni, qualora conformi al comune sentimento e desiderio,
trovavano assai più sostenitori che oppositori.
L’odio contro i tedeschi,
da lunga propaganda sopito ma non spento, dava forti segni, ora, di voler, in
un modo o nell’altro, esplodere.
Anche al comando della
“Acqui” c’era nervosismo, trattenuto dalla “consueta serenità” del comandante.
Stando all’ordine ricevuto,
il gen. Gandin non poteva considerare rotti i rapporti con i tedeschi. E
pertanto, nelle prime ore del mattino del 9, egli convocò presso di sé il ten.
col. Barge per comunicargli il telegramma del comando di armata e il relativo
atteggiamento che la divisione “Acqui” doveva sin d’allora assumere nei
riguardi dell’ex alleato.
Il comandante tedesco
rispose di nona aver ricevuto alcuna direttiva dal suo comando, ma che avrebbe
senz’altro collaborato col comando della “Acqui” perché non si manifestassero
dissidi fra militari tedeschi e italiani.
Appariva non turbato; quasi
rassegnato e convinto della nuova situazione.
Invitato a colazione dal
generale non oppose rifiuto ma addusse – com’era in effetti – che la sua
presenza, per quel brusco capovolgimento di situazione, era indispensabile fra
le sue truppe a Lixuri: chiedeva perciò di farsi rappresentare dal tenente
Fauth, di stanza, con la batteria, in Argostoli.
Il ten. Fauth, alle 13, si
presentò alla mensa della divisione.
“Finito il pasto, -
testimonia il capitano Bronzini – approfitta del brindisi per augurare
all’Italia, tanto provata da una guerra sfortunata, una sorte ed un avvenire
migliori e per dichiarare che, qualunque siano i rapporti che dovessero
stabilirsi fra i tedeschi e la “Acqui”, anche se si dovesse combattere, da parte
tedesca vi sarebbe stata sempre cavalleria e lealtà”.
A pomeriggio inoltrato del
9, la situazione nell’isola, e più specialmente in Argostoli, presentava in
germe già qualche segno del suo prossimo sviluppo.
Evidente da parte del
comandante della “Acqui” l’intenzione di
eseguire gli ordini ricevuti dall’armata.
Infatti il gen. Gandin non
ha ritirato le batterie italiane dislocate, fra le truppe tedesche, nel settore
Lixuri: atto che sarebbe stato ritenuto di sfiducia, ed in definitiva ostile,
dal comandante Barge.
Fra le truppe invece
trabocca – alimentato anche dal miraggio di un sollecito rimpatrio – il
sentimento antitedesco e la volontà di passare all’azione.
“Verso le ore 20 – scrive
il capitano Bronzini – ecco finalmente un lungo radiogramma cifrato del comando
dell’11ª armata. Il messaggio, a firma del gen. Vecchiarelli, dice che, in
seguito ad accordi intervenuti fra il comando dell’11ª armata e il comando
superiore tedesco, le divisioni dell’armata devono cedere ai germanici le
artiglierie e le armi pesanti della fanteria. E ciò perché i tedeschi si sono
impegnati a riportare in patria, entro breve tempo, tutti i militari italiani,
secondo modalità che verranno quanto prima indicate. Nel telegramma si diceva
che la consegna delle armi ai tedeschi doveva avvenire nel tempo e nel luogo
che sarebbe stato, dai tedeschi stessi, direttamente comunicato alle divisioni
interessate.
“Il messaggio – dice il
capitano Bronzini - destò nel comando di
divisione un doloroso stupore.”
“Come conciliare questo ordine
del comandante dell’armata con l’ordine del Governo di cessare le ostilità
contro gli Alleati – il che impone di non dare le armi a chi rimane ancora loro
nemico – e di reagire ad atti di violenza?”.
Con questo lucido e pesante
interrogativo ebbe inizio, la sera del 9 settembre, il dramma di Cefalonia.
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