giovedì 22 dicembre 2022
martedì 20 dicembre 2022
Poesie dell Umbria Iacopo Zitelli II
La tradizzione
Ce lo sapevo dapermè, sìi chiaro,
1)
ch' er locale, pe fama, era un po' caro
ma
accalamitava li romani,
cor piussùrtra de li piatti paesani. 2)
Mo, a
bervedé, cammiata la gestione, 3)
senza rispetto pe la tradizzione,
la cucina
moderna ha preso piede
e, damblé, j'è sparito lo stravède ! 4)
Mentre faccio 'st'onesta rifressione,
m'ariccontava, er giovene padrone,
che aveva messo a novo 'sto locale
pe
fanne un postarello origginale. 5)
Io j'arisponno, mentre smìccio er conto, 6)
co 'sto penziero che me sbotta pronto:
-- De
tradizzione s'è sarvato er vezzo
de restà ne la storia, ma ... cor prezzo ! 7)
1 -...dapermé: da solo, per conto mio.
2 -...cor piussurtra: con il non plus ultra...
3 -...a bervedé...: a ben vedere.
4 -...e, damblé..: immediatamente, è sparito ogni motivo
di meraviglia.
5 -...pe fanne...: per farne un posticino alla moda.
6 -...smìccio: sbircio.
7 -...de restà...: da restare negli annali della
ristorazione...per i prezzi !
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Du' pesi e du' misure *
Un omo che va a caccia de 'n leone
se dice che lo fa perché è sportivo:
senza sforzamme de capì er motivo,
resto de stucco, pe 'st'affermazzione.
Poco perzuaso da 'sta spiegazzione,
che, francamente, pare un tentativo
de svicolà un discore impegnativo 1)
me vie' de sentenzià 'na
concrusione,
perché quann' è un leone a caccià 'n
omo
(e, ar solito, lo fa senza fucile) 2)
'ricìccia sempre er solito ber tomo 3)
che, co 'n raggionamento da cortile 4)
e un gnocco ne la voce ... 5)
ce spiega ch'è 'na berva e ch'è
feroce !
* valutazioni ingiuste.
1 -...un discore...: un discorrere,
una discussione più approfondita.
2 -...(e, ar solito...) : ironia per
sottolineare la disparità di mezzi.
3 -...'riciccia...: sbuca sempre (da
qualche parte) un saputello.
4 -...raggionamento da cortile:
terra-terra, infantile.
5 -...e un gnocco...: singulto da
foga emotiva.
27/06/2022.
(DCCCLXXVI - § )
sabato 10 dicembre 2022
Memorie dalla S. A. U. S. A. - FOLIGNO
Caserma Gen. Ferrante Gonzaga del Vodice
97° Corso 1979
– 1980
Ten. Cpl Art. Pe.
Sergio Benedetto Sabetta
Al mattino presto
di un autunnale giorno di fine ottobre del 1979 con alcuni giorni di ritardo,
concessi per un esame universitario, partii per Foligno.
Mia madre si alzò presto per
preparare la colazione e darmi gli ultimi indumenti, mentre mio padre finiva di
vestirsi perché voleva accompagnarmi nel viaggio fino all’ingresso della
Caserma.
Fatta colazione e controllata la
valigia la mamma mi seguì fino al pianerottolo, mi abbracciò forte, seguendoci
con lo sguardo mentre scendevamo le scale, poi si affacciò al balcone e ci
salutò.
Il viaggio in ferrovia con la
cartolina precetto seguì la via più breve, anche se più scomoda, con vari cambi
che andavano da Genova a Pisa, da Pisa a Firenze, da Firenze via Arezzo a
Foligno, lungo il viaggio non furono fatti lunghi discorsi, si guardava il
panorama.
Giunti a Foligno, la caserma era
lungo il viale della stazione, con l’ingresso a poche decine di metri, ci
avviammo verso di essa e al portone di ingresso mio padre si fermò, mi diede la
valigia e ci salutammo, io giunto alla soglia del portone mi girai e prima di
entrare lo guardai, lui alzò la mano in segno di saluto, mentre la sentinella
mi salutava sull’attenti sibilando un “Son tutti…..tuoi!”.
Dopo essere stato alloggiato come
ospite per la notte nella batteria alpina, nel giorno dopo fui condotto al
comando e dopo breve colloquio assegnato alla pesante.
Mi trasferii presso la 3^Btr. dove
mi fu assegnata la branda, venni portato al magazzino per la vestizione e
consegnati i manuali di studio per le materie.
La caserma, con un ampio cortile
costeggiato da un alto porticato, era stata costruita negli anni ’70 dell’ ‘800
ed era stata sede di un reggimento di artiglieria ippotrainato.
Le camerate, con un alto tetto a
capanna, erano prive di riscaldamento, così come per i servizi dell’acqua
calda, durante l’inverno le temperature scendevano a pochi gradi sopra lo zero.
Si dormiva con guanti e
passamontagna, la tuta da ginnastica sopra mutandoni e guanti di lana, con
doppia coperta, nelle camerate si vedeva d’inverno l’alito condensare.
L’acqua gelata al mattino dava una
notevole scossa e l’idea di lavarsi il viso e fare la barba non attirava, poi
una volta alla settimana venivamo portati di corsa in tuta da ginnastica, con
asciugamano e sapone appresso, alle docce calde in fondo alla caserma;
l’attraversare il cortile al freddo, soprattutto umidi al ritorno, non era
piacevole e il correre era il solo sistema per scaldarsi, si capiva bene che il
corso invernale era quello più temuto.
Anche l’accesso alla mensa, nella
parte più interna, avveniva attraverso due file sul cortile, l’una con tettoia
per i “vecchi”, corso anziano, l’altro allo scoperto per i “pistri”, il corso
nuovo, d’inverno si battevano i piedi e si alitava sulle mani, per non parlare
se pioveva, allora tutti addossati al muro.
Lo studio avveniva in camerata e
nelle aule, tutte senza riscaldamento, l’unico posto riscaldato era lo spaccio
in cui ci si rifugiava e si indugiava, magari con la dispensa in mano, ma lo
spazio era piccolo e più di tanto non si poteva.
Vi era tuttavia una convenzione per
noi allievi ufficiali con una società culturale folignate dotata di biblioteca,
sala per la televisione e bar, ambienti riscaldati, vi era affollamento alla
libera uscita con i libri per leggere al caldo, altro punto caldo era fare cena
presso qualche pizzeria.
Una di queste era poco lontana sia
dalla caserma che dalla stazione, frequentata da ferrovieri, era piccola e si
aspettava in fila fuori per entrare, si mangiava appollaiati su sgabelli con
viso al muro ma vi era il caminetto per la cottura di pizze, focacce, uova
strapazzate e salsicce.
Mentre la fiamma allegramente
scoppiettava alimentata da legna, noi si osservava bevendo un bicchiere di vino
umbro e aspettando la cottura, il proprietario nel frattempo mentre infornava
scherzava con due donne sue parenti, mantenendo allegra l’atmosfera, talvolta
per non uscire si ordinava due volte, fuori era gelato e rientrare in caserma
prima del dovuto rattristava.
I servizi erano di vari tipi e
andavano dalla pulizia delle camerate, alla pulizia dei cortili e della mensa,
al servizio di piantone, caporale e sergente di giornata.
Il più noioso era la pulizia dei
cortili in autunno, durante la caduta delle foglie dei platani, di cui erano
ricco il cortile e le sue adiacenze, ogni folata di vento portava per il cielo
e per tutta la caserma una miriade di foglie gialle e marroni che dovevano
immediatamente essere raccolte.
Era un continuo correre con un
carretto e due scope di saggina da un punto all’altro della caserma, mentre gli
ufficiali di giornata continuavano ad indicare i vari accumuli che si
formavano, una vera ossessione senza fine.
Una cosa del tutto diversa le
guardie che si dividevano in due tipi, in caserma ed esterne, presso la
polveriera di Uppello e il deposito NBC di Scansano, a parte era la ronda che
usciva dalla Caserma insieme con gli allievi e gli artiglieri della Batteria
Comando Servizi nella libera uscita, per rientrare con loro.
La guardia in caserma era quella più
stretta e consisteva sia nella guardia in altana che la ronda interna, la prima
era la più sgradevole in quanto durante l’inverno si doveva stare fermi al
vento, ma era nota una leggenda, che passava di corso in corso, secondo cui di
notte da una delle altane si poteva vedere dalle finestre dei caseggiati di
fronte una bella donna che si spogliava prima di andare a letto. E’ inutile dire
che nessuno l’aveva mai vista ma ad ogni corso c’era chi giurava di averla
ammirata, circostanza che spingeva gli allievi a salire in altana nel freddo
della notte invernale, speranzosi e vigili per il premio promesso.
Tuttavia le guardie preferite erano
il deposito NBC di Scansano e la polveriera di Uppello. Il deposito di NBC
erano dei capannoni non molto grandi su cui si vigilava la notte, essendovi di
giorno delle guardie giurate, mediante delle ronde, durante le quali si parlava
della vita di caserma, dei colleghi, dei superiori, ma molto della famiglia
e della propria terra, per finire
talvolta a guardare la volta celeste, scura ma piena di stelle, chiedendoci chi
vi fosse lassù, cercando di individuare le costellazioni e la scia della Via Lattea,
sognando di andare verso l’infinito.
Ancora più solitaria la guardia alla
polveriera di Uppello, una valletta vicino a Foligno circondata da boschi di
basso arbusto, con un torrentello su un lato le cui bianche acque mormoravano
tenendo compagnia nelle lunghe solitarie ore notturne di guardia, quando si
girava avanti e indietro all’interno della doppia recinzione su scoscesi
sentieri di pietra.
Tirava un gelido vento dai monti
circostanti che si infila ululando nella valletta, si sentivano talvolta il fruscio
di volpi o cinghiali e, immediatamente, si impugnava il fucile nervosamente,
aspettando nella penombra delle luci gialle dei fari illuminanti la recinzione
chissà quali assalitori, era il tempo del terrorismo.
In lontananza sul monte, oltre il
torrente una misteriosa luce, era l’Abbazia di Sassovivo avvolta nell’oscurità
del bosco, con sopra una corona di stelle, si cercava di leggere lo sciame della Via
Lattea, mentre si immaginava la vita di coloro che vivevano nell’Abbazia.
La guardia alla polveriera aveva il
pregio per noi allievi di rimanere isolati per un giorno intero, da sera a
sera, senza superiori se non il comandante della guardia e di essere riforniti
in cucina di ogni bene, arrivavano ceste di pane e arance, bottiglie di rosso
di Montefalco, gallette, salumi e biscotti.
Più noiosa la ronda, costituita da
un caporale e due allievi, doveva girare per le strade della città per tutta la
sera con possibilità di accesso ai locali pubblici per controllo, finiva spesso
per riposarsi, con la scusa di un controllo, al cinema dove si sedeva
nell’ultima fila al buio, si guardava parte del film e prima che si
accendessero le luci usciva.
Le lezioni dal lunedì al venerdì
erano generalmente di 45 minuti per diciotto materie teorico-pratiche, il sabato
mattina pulizia del pezzo o delle armi, in alternativa educazione fisica.
Gli artiglieri alpini avevano in
aggiunta la guardia ai muli, dovevano pulire controllare e dare da mangiare ai
muli della batteria, un servizio che veniva talora affibbiato per punizione. Un
giorno vedemmo un mulo, con una coperta sulla groppa, girare per il cortile
accompagnato dal conduttore, alla nostra meraviglia ci fu risposto che aveva
una polmonite e il veterinario aveva suggerito di farlo muovere per superare la
costipazione polmonare, pochi giorni dopo venimmo a sapere che era morto.
Le materie formative generali erano
le seguenti:
Arte
Militare;
Tiro
– Armi;
Lezioni
di tiro;
Addestramento
NBC;
LCB
– Mine;
Topografia;
Formazione
del Comandante;
Regolamenti;
Scuola
Comando;
Addestramento
individuale al combattimento;
Addestramento
di Pattuglia.
Le
specifiche d’Arma erano:
Tiro;
Trasmissioni;
Impiego
di Artiglieria;
Materiale
di Artiglieria;
Servizio
al pezzo;
Esercitazioni
applicative di tiro e di trasmissioni;
Esercitazioni
topografiche, esterne e a fuoco.
Ogni
sei settimane eravamo sottoposti ad accertamenti scritti ed orali, nel caso di
esame orale nel cortile, ai piedi della camerata, venivamo inquadrati e
marciando condotti al comando posto sopra l’ingresso della caserma.
Giunti
al comando si rompevano le righe e, salite le scale, attendevamo in riga sul
corridoio la chiamata nominativa, al che si entrava e messi sull’attenti ci si
presentava, l’ufficiale esaminatore seduto dietro la scrivania, mentre
compilava la nostra scheda poneva le domande, noi, messi a riposo, ad ogni
domanda scattavamo sull’attenti e con lo sguardo fisso in avanti si rispondeva.
Quando
tutti eravamo stati esaminati, nuovamente inquadrati sul cortile, si tornava
marciando alle camerate.
Il
fine settimana era il momento o delle 48 ore di licenza breve o delle lunghe
libere uscite, che ci permettevano di visitare le località umbre del distretto
militare, senza uscire dai confini indicati.
Assisi,
Spello, Trevi, Le fonti del Clitumno, Spoleto, Perugia e Gubbio erano visitate
la Domenica, mentre viaggi notturni venivano affrontati per usufruire al
massimo della licenza breve.
La
prima licenza concessami fu imprevista, lo seppi il venerdì mattina e partii
senza poter avvertire i miei genitori, non vi erano cellulari allora, viaggiai
tutta la notte e al mattino presto mi presentai alla porta di casa. Erano
passate solo tre settimane, mio padre, carabiniere in congedo, si spaventò
pensando che mi fossi allontanato senza permesso, mia madre mi abbracciò felice.
Nell’appoggiare
la valigetta in camera notai il letto sfatto, senza coperte e lenzuola, con il
solo materasso e cuscino senza federa, mi diede un senso di abbandono, come se
non dovessi più ritornare, la mamma, classe 1918, cresciuta nei primi trent’anni
della sua vita in un clima di continua guerra, riviveva la mia partenza come un
richiamo preparatorio per una possibile nuova guerra.
Passava
le giornate, come le avrebbe passate durante il mio servizio di prima nomina ad
Elvas (Brixen), zone della Grande Guerra, a cucire e fare la maglia di lana
seduta presso il telefono, aspettando le mie chiamate o l’eventuale
scampanellata del postino.
Durante
la breve licenza mi portai la dispensa sulle Trasmissioni, materia su cui ci sarebbe stata l’esercitazione al mio rientro,
che studiavo nelle ore di viaggio e nella sera tra sabato e domenica.
Nel
viaggio di ritorno, con nella valigia gli indumenti invernali, visto il clima
continentale, partendo il pomeriggio di domenica, arrivato verso le 24,00 a
Torontola in Umbria, non vi era fino alla mattina alle 6,00 un locale per
Foligno, tuttavia davanti alla stazione abitava una signora che affittava le
camere per la notte, mi fu indicata la casa dai ferrovieri.
Suonai
e mi fu aperto da una signora anziana, dai capelli tutti bianchi, mi presentai
e lei mi condusse ad una piccola stanza disadorna, nel pagare le chiesi per la
sveglia e lei gentilmente mi rispose che mi avrebbe chiamato verso le 5,00,
come puntualmente avvenne, quando sentii bussare alla porta.
Il
treno locale arrivava verso le 7,00, giusto in tempo per entrare in Caserma,
depositare la valigia in camerata, indossare la mimetica e rispondere
all’appello.
Venne
il giorno del giuramento, provammo per settimane tutti i pomeriggi, compreso il
sabato mattina, la marcia e le manovre perché lo stile fosse perfetto,
arrivarono le autorità e i familiari, tutti dovevano rimanere soddisfatti e
ammirati dall’ordine e dalla disciplina.
I
miei genitori partirono la sera prima e alla mattina erano all’ingresso della
Caserma e dal palco dei familiari, con le autorità, assistettero orgogliosi
alle manovre, alla lettura della formula del giuramento e al grido di risposta
degli allievi.
La
mamma era emozionata, papà, quale ex militare, orgoglioso del figlio che, con
il filetto d’oro da allievo ufficiale e guanti bianchi, aveva sfilato davanti
alle autorità e giurato, ancor più quando alla mensa durante il pranzo di
ricevimento il Colonnello Comandante la caserma si era seduto al nostro tavolo
pranzando e conversando con noi. Per papà abituato ad obbedire agli ordini e al
distacco dei superiori, era come una promozione sociale dopo 40 anni di
servizio.
Quattro
mesi dopo, quando assistemmo al giuramento del nuovo corso, partecipai alla
sfilata come corsista anziano, purtroppo avevo la febbre per un ascesso ma, non
volevo marcare visita, marciai e rimasi inquadrato sul cortile durante tutta la
cerimonia, finché mi sentii svenire e prima di cadere uscii dalla fila da
dietro per andare verso la camionetta del medico militare che mi ricoverò in
infermeria, fui ripreso per la mia testardaggine.
Arrivò
il giorno, nel dicembre del ’79, che fummo invitati per la guardia al
Quirinale, dopo le esercitazioni, il controllo degli equipaggiamenti e le
raccomandazioni varie, al mattino partimmo verso Roma dove al pomeriggio
venimmo inquadrati nel cortile di servizio in due sezioni, la prima destinata
alla Guardia del Quirinale, la seconda come Guardia d’Onore in caso di visite
di autorità straniere, fui inquadrato nella seconda sezione.
Con
la bandiera in testa uscimmo marciando al suono della fanfara dal portone di
servizio, risalendo la strada, tra i passanti incuriositi, entrammo dalla parte
delle scuderie del Quirinale sulla piazza antistante al Palazzo e per il portone
principale entrammo nel Cortile d’Onore, dove ci aspettava la guardia
smontante.
Da dietro le finestre sul cortile si
vedevano delle ombre che ci osservavano , erano gli ufficiali aiutanti di campo
e di Stato Maggiore che controllavano le corrette modalità del cambio della
guardia, il nostro comandante Capitano Arteritano, ci aveva avvertito prima
della parata.
Noi,
della seconda sezione, finita la cerimonia del cambio della guardia, salutati
dalla Guardia Presidenziale, ci allontanammo attraverso uno stretto corridoio
verso il cortile di servizio, da cui un pullman ci portò alla Cecchignola, a
disposizione.
Il
pomeriggio del giorno seguente la cerimonia si invertì, vennero a darci il
cambio i cadetti dell’Accademia della Marina Militare di Livorno.
Entrarono
vestiti di blu, con guanti, cinturoni e copri scarponi bianchi, a passo lento e
ben distanziati, si udiva il ticchettio sul
selciato dei loro tacchi ferrati, noi uscimmo stretti, nelle nostre
divise grigio-verdi, in formazione serrata dal portone principale con la
bandiera della Scuola di Artiglieria, davanti ad una piccola folla radunata in
piazza sotto i Dioscuri.
Finalmente,
superate le varie prove, venne il giorno dell’esame finale di tiro, arrivammo
con l’obice da 203 a Monte Romano e noi della Pesante preparammo la piazzola e
i falsi scopi, mettemmo il carro comando per il giorno successivo, il Vice
Comandante S. Ten. Cesaretti, ci ordinò di portare sempre l’elmetto durante i
tiri, solo lui avrebbe portato il basco quale gesto scaramantico, in quanto non
indossava l’elmetto il giorno in cui aveva per la prima volta aperto il fuoco di artiglieria, ma tra chi
maneggia esplosivi tali gesti sono comuni.
Fui
assegnato alla II^ tavola di tiro per il controllo dei dati calcolati dai
colleghi preposti alla tavola principale di tiro, prima che questi venissero
trasmessi al pezzo per il loro inserimento e tiro, alla mattina prima di aprire
il fuoco ciascuno scrisse su una granata con il gesso un nome di donna.
Finiti
i tiri e abilitati all’acquisizione del brevetto da ufficiale, andammo alla
sera in paese dove presso una trattoria festeggiammo e il padre di un nostro
collega, venuto appositamente da Roma, pagò il vino dei castelli per tutti,
tanto che allegri intonammo all’arrivo dei nostri ufficiali la canzone degli
artiglieri, “Caro pistrino”.
Rientrati
a Foligno venne il momento della nomina e dell’assegnazione, il giorno
stabilito fummo radunati davanti al comando ed uno alla volta chiamati per la
consegna dei documenti.
Solo
il primo decimo della graduatoria poteva scegliere, gli altri erano assegnati
d’ufficio, la sede più temuta per noi della Pesante era Elvas, 1° Gr.A.Pe. – 3^
Brig. Missili, su un altopiano a 600 m. sopra Brixen, in territorio Sud
Tirolese di madre lingua tedesca, a 30 Km. dal confine austriaco, in zona
operativa al confine con la cortina di ferro, vicino alla “soglia di Gorizia”.
Prima
di salire il Vice Comandante, S. Ten. Cesaretti, mi apostrofò “Sabetta, non se
lo meritava proprio, ma non si preoccupi è in buona compagnia”, salito, entrai
nella stanza e sull’attenti mi fu consegnata la destinazione: “Elvas”, la
nomina sarebbe arrivata dopo.
Sceso
i colleghi, informati, mi guardavano tra lo stupore, la commiserazione e la
soddisfazione per il mancato pericolo, seppi che con me era stato assegnato
l’allievo De Gregorio di Catania, ci fu anche chi avvicinatomi e data una pacca
sulle spalle con fierezza mi disse “Siamo tutti fieri di te!”.
L’ultimo
giorno, salutati tutti, con lo zaino sulle spalle e lo zaino-valigia, dove era
legata la sciabola, in mano presi il treno per Genova, avevo con me una licenza
di 15 giorni, in cui sarebbe stata perfezionata la nomina e la cartolina di
destinazione con il biglietto ferroviario di andata via Milano, Verona, Trento
per Elvas.
All’arrivo
il pomeriggio alla stazione di Genova Principe, scesi dal treno ma ero in coda
e quindi mi ritrovai nella galleria, la mamma e papà che aspettavano non mi vedevano
scendere, finché uscii dalla galleria, la mamma mi corse incontro a braccia
tese e mi abbracciò, forse pensava e ricordava i tempi della guerra, quando le
donne e i padri aspettavano il ritorno dei reduci.
mercoledì 30 novembre 2022
Poesie dell'Umbria Iacopo Zitelli I
La Festa de San Giovanni
(la notte delle streghe)
Finattanto che ronfa er Nocchilìa, 1)
a San Giovanni è notte de maggìa
e li romani fanno tutti a gara
a sonà campanacci e a fa' cagnara 2)
de modo che le streghe in compagnia
de li diavoli fanno tela ... e via, 3)
tanto che in celo co la luna chiara
se ne pònno smiccià 'na pipinara. 4)
Da un cantoncello, ne l'oscurità
se invola 'no stornello de 'na
vorta,
pe la cantata de 'n carciofolà 5)
ma, fra lumache e vino ... de
Pisciano, 6)
finisce sempre che, pe falla corta,
se torna a casa co le braghe in mano
!
1 -...er Nocchilìa: figura
fantasiosa nata dalla fusione di due profeti, Enoch ed Elia che dorme sotto la
Scala Santa, proprio sulla piazza di san Giovanni in Laterano e che comparirà
per combattere l'apparizione dell' Anticristo.
2 -...fa' cagnara: fare un chiasso
indiavolato.
3 -...fanno tela ... e via:
scappano.
4 -...se ne pònno: se ne possono
sbirciare una grande quantità.
5 -...carciofolari: cantori e
suonatori, spesso abruzzesi, che si esibivano come stornellatori nelle sagre e
nelle feste patronali.
6 -...fra lumache: cucinate per la
festa nei pentoloni, sulla piazza.
6 -...vino de Pisciano: vino di
pessima qualità ... lo dice già il nome .!
Er
catacrìsma
Un asteroide vola, a scrucchià er monno, 1)
a settanta chilometri ar seconno
e, si l'omminità nun ce provede,
ar monno nu' je resta gnente in piede. 2)
Puro si me la squàjo e m'annisconno,
nu' scanzo er catacrisma furibbonno,
percui, je fo' la posta: resto assede 3)
e butto 'n occhio a quelo che succede.
Pe zazzà in pompa magna, ar gran finale, 4)
(si propio la dovemo fa' fenita)
m'attizza 'sta serciata ... siderale: 5)
'na svorticata e un botto, a tempo e loco 6)
è mejo che abbozzà tutta 'na vita
e spippà pe le tasse, appoco appoco. 7)
1 -...a scrucchià: a colpire con violenza.
2 -...in piede: in dialetto si usa il singolare (es. le
mano).
3 -...je fo' la posta: sorveglio l'evento.
4 -...pe zazzà...: per fare lo smargiasso solennemente.
5 -...m' attizza...: mi eccita questa sassata...
6 -...'na svorticata: un vortice improvviso...quando sarà.
7 -...spippà: schiattare, morire.
lunedì 21 novembre 2022
Bollettino del Centro Studi sul Valore Militare - CESVAM - dell'Istituto del Nastro Azzurro
INFOCESVAM
BOLLETINO
NOTIZIE DEL CENTRO STUDI SUL VALORE MILITARE
centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org
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ANNO IX, 33/34, N. 5, Settembre -
Ottobre, 1 novembre 2022
IX/5/600 La
decodificazione di questi numeri è la seguente: IX anno di edizione, il mese di
edizione di INFOCESVAM, 576 il numero della comunicazione dal numero 1 ad oggi.
Il presente Bollettino svolge anche la funzione di informazione “erga omnes”
dello stato, sviluppo e realizzazione dei Progetti dell’Istituto del Nastro
Azzurro. L’ultima indicazione aggiorna o annulla la precedente riguardante lo
stesso argomento.
IX/5/601 – Dato il Visto
si stampi data 31 ottobre 2022 al volume “Il Quadro di Battaglia del Regio
Esercito Italiano – 10 giugno 1940 a cura di Massimo Coltrinari e Luigi
Marsibilio
IX/5/602 – Il progetto
dedicato ai 40 anni dalla Missione in Libano ha raggiunto la prima fase. È
stato predisposto l’Indice e articolazione del Volume. Per il CESVAM, oltre a
Direttore, il responsabile esecutivo scientifico è il gen Antonio Trogu
IX/5/603 – Il Calendario
Azzurro del 2023, del Centenario, sarà presentato l’8 novembre 2022 alle ore 19
al Museo dei Granatieri, Roma. Interverranno oltre al Presidente Nazionale, il
Socio Mirabella. Per il CESVAM, Giancarlo Ramaccia.
IX/5/604 Il Dott. Daniel
Vignola, per il Master di 1° Liv in “Storia Militare Contemporanea 1796- 1960 ha
predisposto la tesi dal tema ““Gli errori del Piano Schlieffen e il peso del
mancato apporto italiano”. La tesi sarà discussa nella sessione di laurea
invernale (dicembre 2022)
IX/5/605. Il Presidente
della Federazione di Asti Marco Montagnani ha presentato ed avviato una ricerca
sulla vicenda del “Conte Rosso”. Al momento si stanno predisponendo i dettagli
per la predisposizione del manoscritto n. 1
IX/5/606 Il Dott.
Salvatore Domenico Vasapolli, per il Master di 1° Liv in “Terrorismo e
Antiterrorismo Internazionale. Obiettivi, Piani e Mezzi” ha predisposto la tesi
dal tema “Terrorismo Internazionale e Dispositivo integrato di Sicurezza: verso
un’agenzia europea di Intelligence.”. La tesi sarà discussa nella sessione di
laurea invernale (dicembre 2022)
IX/5/607 Glossario 1945
per il Dizionario minimo della Guerra di Liberazione 1943 -1945. Alla data del
1 novembre ha raggiunto i 824 lemmi dei 1000 previsti. Il ritardo è dovuto alla
sovrapposizione con i lemmi dei glossari precedenti e per le ulteriori ricerche
svolte in merito alle decorazioni degli Stati europei in tema di resistenza.
IX/5/608 Il Dott. Daniele
Muzzioli, per il Master di 1° Liv in “Terrorismo ed Antiterrorismo
Internazionale. Obiettivi, Piani e Mezzi” ha disposto la tesi dal tema “Dal
terrorismo al conflitto ibrido: l’evoluzione militare di ISIS”. La tesi sarà
discussa nella sessione di laurea invernale (dicembre 2022)
IX/5/609 La Dott.ssa
Jessica Zanata, per il Master di 1° Liv. in Terrorismo ed Antiterrorismo
internazionale. Obiettivi, Piani e Mezzi, ha predisposto una tesi dal tema
“Narcoterrorismo in Messico”. La tesi sarà discussa nella sessione di laurea
invera
IX/5/610 Il Volume
dedicato alla storia delle compagnie telegrafiste nella Prima Guerra Mondiale di
Monica Apostoli è giunto alla fase del manoscritto 3. Attualmente la bozza è
alla attenzione del Collegio dei redattori.
IX/5/611 Il Dott.
Alessandro Ciolli, per il Master di 1° Liv in “Storia Militare Contemporanea
1796- 1960 ha predisposto la tesi dal tema “La Battaglia di Adua”. La tesi sarà
discussa nella sessione di laurea invernale (dicembre 2022)
IX/5/612. Albo d’Oro
Nazionale dei Decorati al Valor Militare. Il Dott. Roberto Orioli partecipa
allo studio di fattibilità per la predisposizione della scheda di immissione
dati. I lineamenti predisposti nel mese di agosto sono stati aggiornati con l’accoglimento
del campo dedicato all’Ordine Militare di Savoia, oggi Ordine Militare d’Italia.
IX/5/613 Il Dott.
Gianlorenzo Capano, per il Master di 1° Liv in “Storia Militare Contemporanea
1796- 1960 ha predisposto la tesi dal tema “La Battaglia di Maida – 4 luglio
1806”. La tesi sarà discussa nella sessione di laurea invernale (dicembre 2022)
IX/5/614 Le ricerche dedicate alla Prigionia
in Africa Orientale nel secondo conflitto mondiale sono terminate ed è stato
predisposto il manoscritto n. 1 del Volume Primo. Oltre al direttore, partecipa
il Dott. Giovanni Riccardo Baldelli. Il Volume sarà diviso in due parti la
prima dedicata alla organizzazione dell’A.O. I la seconda dedicata alle
operazioni 1940-1941 in Africa Orientale.
IX/5/615 Il Dott. Stefano
Ciolli, per il Master di 1° Liv in “Terrorismo e Antiterrorismo Internazionale.
Obiettivi, Piani e Mezzi”, ha predisposto la tesi dal tema “Hezbollah:
Movimento e Partito Islamico sciita.”. La tesi sarà discussa nella sessione di
laurea invernale (dicembre 2022)
IX/5/616 – Compendio 1945
del Dizionario minimo della Guerra di Liberazione è arrivato al manoscritto n.
4. Predisposte tutte le fasi di editing, comprese le illustrazioni. Oltre al
Direttore, partecipa Osvaldo Biribicchi, associato al CESVAM dal 2015.
IX/5/617 Il Dott.
Giancarlo Bianco, per il Master di 1° Liv in “Storia Militare Contemporanea
1796- 1960 ha predisposto la tesi dal tema “Gettysburg”. La tesi sarà discussa
nella sessione di laurea invernale (dicembre 2022)
IX/5/618 Il Cesvam in
tutte le sue componenti esprime le più sincere condoglianze ad Angela e a Lui
per la morte dei loro rispettivi Padri.
IX/5/619 Il Dott. Di
Lorenzo, per il Master di 1° Liv in “Terrorismo e Antiterrorismo
Internazionale. Obiettivi, Piani e Mezzi”, ha predisposto la tesi dal tema “Spionaggio
e Contro spionaggio durante la prima guerra mondiale. Analisi e Considerazioni.”.
La tesi sarà discussa nella sessione di laurea invernale (dicembre 2022)
IX/5/620. Il n. 4 Ottobre
. Dicembre 2022 della Rivista QUADERNI è in Stampa. Entro il mese di novembre
2022 si predisporrà il n. 1 del 203 dedicato al Centenario della fondazione del
Nastro Azzurro
IX/5/621 Il Dott. Fabio
Lombardelli, per il Corso di perfezionamento e Aggiornamento Professionale in “Terrorismo
e Antiterrorismo Internazionale. Obiettivi, Piani e Mezzi”, ha predisposto la
tesi dal tema “L’Intelligence delle Fonti Umane per il contrasto alla minaccia
terroristica a difesa della Sicurezza nazionale”. La tesi sarà discussa nella
sessione di laurea invernale (dicembre 2022)
IX/5/622 Il Dott.
Francesco La Greca, per il Corso di aggiornamento e perfezionamento
professionale, ha preparato la tesi dal tema “La Criminalità organizzata e
relazione sulla politica dell’Informazione e per la sicurezza. “La tesi sarà
discussa nella sessione invernale (dicembre 2022)
IX/5/623. Il Dott.
Antonio Vigliano, per il Master di 1° Liv in “Terrorismo e Antiterrorismo
Internazionale. Obiettivi, Piani e Mezzi”, ha predisposto la tesi dal tema “Human
Intelligence e Virtual Intelligence. Analisi e prospettive.”. La tesi sarà
discussa nella sessione di laurea invernale (dicembre 2022)
IX/5/624 Il Dott. Stefano
Davide Restuccia, per il Master di 1° Liv in “Politica Militare Comparata dal
1945 ad oggi. Dottrina, Strategia, Armamenti
ha predisposto la tesi dal tema “Esercito Europe. Ipotesi e Prospettive”.
La tesi sarà discussa nella sessione di laurea invernale (dicembre 2022)
IX/5/625 Prossimo INFOCESVAM
sarà pubblicato il 1 gennaio 2023. I precedenti numeri di Infocesvam (dal
gennaio 2020) sono pubblicati su www.cesvam.org
e sul sito dell’Istituto del Nastro Azzurro/ comparto CESVAM.
mercoledì 9 novembre 2022
Influenze della popolazione sugli equilibri internazionali
Demografia e contratto
matrimoniale
nell’influenza
sull’attuale crisi geo-strategica globale
Ten. Cpl. Art. Pe. Sergio
Benedetto Sabetta
Darwin prima
di impegnarsi inserì in una lista i pro e i contro all’impegno matrimoniale,
solo dopo attenta valutazione si decise al passo ritenendo prevalenti i
vantaggi.
L’attuale crisi globale, di cui la
guerra Russo – Ucraina non ne è che una espressione, è anche una crisi
demografica e culturale, oltre che economica e militare.
Dobbiamo considerare che fino all’età
romantica il matrimonio corrispondeva a due funzioni precise: la trasmissione
dei patrimoni e dei poteri derivanti, come conseguenza di alleanze
matrimoniali, nonché la certezza e legittimazione della discendenza, tanto che
l’affermazione generalizzata dei cognomi è una conquista dell’età moderna,
essendo altrimenti riservata alle classi superiori dei possidenti.
Solo a partire dal romanticismo, con
l’affermarsi dell’età borghese, si introduce il
terzo elemento del sentimento amoroso e si codifica il fidanzamento
quale periodo vigilato di prova.
Si favorisce in tal modo la
democratizzazione del matrimonio stesso, il rimescolamento di carte, dobbiamo
considerare che uno Stato forte ha alla sua base il nucleo saldo e
gerarchizzato della famiglia, così nell’antica Roma come nello Stato etico del
XIX e prima metà del XX secolo.
La famiglia ha anche un’altra
funzione derivante dall’essere un nucleo di produzione e accumulo, tanto
economico che di forza lavoro, essa diventa quindi elemento portante
dell’attività agricola, commerciale ma anche della fabbrica nella prima
rivoluzione industriale, fino a trasformarsi nell’elemento motore nell’iniziale
crescita consumistica.
L’aspetto economico si intreccia
strettamente dal XVI secolo con l’altro aspetto politico – amministrativo del
controllo, nasce dalla necessità sia dalla formazione dello Stato moderno che
della Controriforma, infatti i primi registri dello stato civile vengono
impiantati nelle parrocchie dove si crea una fitta rete burocratica.
Giuridicamente risulta essere
pertanto un contratto di fornitura di servizi, che si voleva a tempo indeterminato
salvo eccezioni controllate dal potere, quello che il Romanticismo introduce è
il riconoscimento dell’aspetto affettivo, il quale ne qualifica il contratto
sollevandolo dal rapporto puramente economico e introducendolo nel più
complesso rapporto della personalità, secondo l’autentico dettame evangelico.
La modernità ha lentamente scisso i
due aspetti, l’allungamento della vita e la rapidità dell’evoluzione sociale ha
completato l’opera, la leggerezza dell’essere ha determinato l’instabilità
affettiva, è rimasto il contratto.
La crescente autonomia sia
finanziaria che culturale della donna, oltre che alla parallela perdita dei
ruoli e alla indeterminatezza sociale che ne deriva, attraverso una serie di
rivendicazioni di diritti, ha creato una crisi culturale favorita ed ampliata
dai nuovi mezzi di comunicazione e dalla serie di crisi finanziarie che si sono
succedute dalla fine della Guerra Fredda.
E’ cresciuto pertanto il rischio che
il matrimonio comunque comporta come una qualsiasi altra attività umana,
dobbiamo considerare che il rischio si realizza quando ad ogni decisione è
associata una molteplicità di conseguenze, a ciascuna delle quali corrisponde
un particolare “stato del mondo”, i
quali si escludono a vicenda, in questa situazione il singolo decide
l’attribuzione di determinate probabilità ai possibili singoli “stati del mondo”.
Se il soggetto è cosciente
dell’esistenza dei singoli “stati del
mondo” ma non è in grado di attribuire delle probabilità, si ha il fenomeno
della decisione in condizione di “incertezza”.
Alcuni autori, come Lindley, rifiutano tale distinzione,
ritenendo esistente un solo tipo di incertezza, misurabile come “probabilità” che riflette i gradi di
fiducia sui vari “stati del mondo”,
con una coerenza tra criteri di scelta e gradi, tali criteri si possono
riportare all’utilità attesa, che può allargarsi fino a ricomprendere il
concetto soggettivo di “qualità della
vita”.
Vi sono tuttavia autori che tendono a
restringere il concetto di rischio ai casi in cui la probabilità è fondata su
base statistica, per tale via viene rifiutata la distinzione tra rischio e
incertezza (Shackle, Knight).
Vi è pertanto un allargarsi del
rischio contrattuale che diventa rischio di vita, con il conseguente rifiuto
del contratto matrimoniale, sì che viene a prevalere sull’aspetto emotivo, si
tentano quindi gli accordi prematrimoniali, coscienti del puro aspetto
economico e dei soli riflessi sociali che il matrimonio viene ad acquistare.
La decrescita demografica che segue
la crisi matrimoniale già verificatasi storicamente in altre epoche, come
nell’età augustea, è un riflesso della microeconomia che l’individuo
sperimenta, la crescente conflittualità nelle relazioni intra-familiari, la
perdita di rilevanza produttiva, assicurativa e socio simbolica dei figli,
riduce gli stessi a puro costo, sono le pressioni sociali che ne determinano il
valore e si impongono sul desiderio di persistere in essi che l’individuo pone,
un desiderio di potenza eliminato dal rischio economico e relazionale che il
modello socio-economico trionfante contiene.
Microeconomia e macroeconomia entrano
in conflitto, la crisi matrimoniale, premessa della crisi demografica, se
risulta funzionale all’attuale sistema economico e sociale, ne mette tuttavia
in risalto le problematiche fondate su una continua espansione dei consumi, sia
nel senso negativo di sottrazione delle risorse del pianeta che positivo di
consumo delle merci.
A questo si oppone una esplosione
demografica in altre aree del pianeta, per lo più sottosviluppate, dove gli
interventi anche delle grandi associazioni benefiche risultano alquanto
settoriali e tendono, talvolta, a creare ulteriori squilibri.
Vi è quindi una spinta demografica
verso le aree più ricche, con crescenti conflitti per le difficoltà di
integrare culture diverse e il conseguente sbando delle nuove generazioni nate
sul territorio di adozione.
Da qui un crescente irrigidimento di
parte della cultura politica nel tentativo di non venire subissati dalle
continue ondate migratorie, circostanza che si trasforma in un nuovo diritto,
vedesi il recente caso della pronuncia della Suprema Corte degli USA
sull’aborto che riguarda prevalentemente le donne bianche delle classi superiori
negli USA, o il richiamo a fare più figli, con la concessione di benefici
economici, in vari Stati sviluppati dell’ Occidente ed anche in Russia.
lunedì 31 ottobre 2022
Il Retaggio della Prigionia in Urss
La prigionia in
mano alla U.R.S.S. è quella che ha inciso più a fondo nel retaggio del sistema socio-politico del dopoguerra.
Prima che scoppiasse la guerra fredda, nella metà del 1946, già si avvertivano
i sintomi di quelle che saranno le polemiche spesso roventi del dopoguerra. Il
20 agosto 1946, dopo un anno di attesa e di aspettative sempre più crescenti,
quando tutti gli altri Paesi belligeranti avevano restituito in grandissima
parte i prigionieri in loro mani, un comunicato del Governo di Mosca molto
sobrio ed asciutto fa presente che tutti i prigioneri italiani in mano alla
URSS erano stati restituiti, tranne un esiguo numero, circa 27, tra ufficiali e
soldati, considerati criminali di guerra ed in attesa di giudizio. Tra questi anche
un cappellano militare, Padre Brevi, considerato dai sovietici una spia del
Vaticano.
In Italia le
aspettative erano altre. Si aspettava il rientro di circa 70/80 mila
prigionieri dalla Russia. A tutto il 1946 erano stati restituiti 21.000
soldati, di cui circa 11.000 appartenenti all’ARMIR i restanti liberati
dall’Armata Rossa dai campi di concentramento tedeschi nella sua avanzata verso
occidente.
La polemica
divampò violentissima, e si manifestò in modo particolare nello scontro
politico tra i partiti di sinistra, in particolare il PCI e i partiti del
centro, in particolare la Democrazia Cristiana. L’accusa principale era che la
URSS tratteneva i prigionieri italiani come schiavi, per ragioni ideologiche.
La realtà, emersa
negli anni novanta all’indomani del crollo della URSS e alla parziale apertura
degli archivi sovietici, era ben diversa da quella ipotizzata in Italia. La
URSS aveva ragione nel sostenere che aveva restituito tutti i prigionieri
italiani in suo possesso. Infatti è stato documentato[1] che l’Armata
Rossa, nella sua avanzata verso occidente catturava circa 11.000/11.500 soldati
dell’ARMIR e li avviò ai campi di smistamento ( le cosiddette marce del Davai).
Nei campi di smistamento entrarono quelli che poi vennero restituì, tranne una
percentuale dell’1% che morì per malattie o cause naturali.[2]
La vicenda dei
prigionieri in mano alla URSS continuò in temi sempre aspri fino al 1954
quando, dopo la morte di Stalin, furono restituiti gli ultimi prigioneri, circa
10, trattenuti con pretesti e motivi vari.
Il retaggio di questo particolare segmento del
V fronte della Guerra di Liberazione è estremamente pesante. L’Italia inviò
prima un Corpo di Spedizione, poi una Arma che raggiunse circa i 200.000. Nel
corso delle offensive sovietiche del novembre-dicembre 1942 – gennaio febbraio
1943, che si conclusero con la caduta di Stalingrado, che determinarono la
svolta della guerra in Oriente, le forze italiane furono annientate. Circa
100.000 uomini riuscirono a salvarsi tramite una ritirata, la celeberrima
ritirata di Russia, ma altrettanti rimasero sul campo. Non per le vicende della
guerra, ma in virtù della insipienza dei Comandati italiani sul campo, delle
imposizioni tedesche e di un male interpretato senso dell’onore militare. Composte
tutte da forze di fanteria, senza mezzi corazzati e meccanizzati, il compito
era quello di resistere fino allo stremo sulle posizioni del Don. Una volta che
la battaglia avrebbe rilevato le direttrici di attacco in profondità dell’attaccante
sovietico, avrebbero dovuto intervenire le forze mobili tedesche, per chiudere
le falle. Il compito delle forze Italia quindi fu assolto. L’errore fu il non
aver dato di arrendersi sul posto. Sarebbe stata la salvezza di oltre 80.000
soldati italiani. Al contrario, messisi in marcia verso occidente, quanto
contemporaneamente i sovietici provvedevano a distruggere tutta l’organizzazione
logistica di retrovia con puntate di forze mobili, la speranza di sopravvivere
nella steppa d’inverno erano presso che nulle. Infatti i comandi sovietici
locali non inseguirono i soldati italiani in marcia, conviti e sicuri che la
steppa, il cosidetto generale Inverno, li avrebbe uccisi. Come in realtà
accadde. Il prezioso retaggio di questo segmento del V fronte è quello che
occorre avere sempre autonomia decisionale quando si partecipa in una coalizione
fi forze internazionali ed occorre sempre, in lealtà con gli alleati,
preservare l’interesse nazionale. Un retaggio che permeò nel dopoguerra la
partecipazione delle forze nazionali alle cosiddette Missioni di Pace, coalizioni
internazionali sotto egida id organizzazioni sovranazionali.
[1]
UNIRR, Rapporto UNIRR, 1995. In Italia la cifra dei presunti prigionieri era
stata fissata in circa 84.000. Dei 201.0000 militari italiani presenti al
fronte ai primi di dicembre, come attestano i documenti della Direzione di
Commissariato dell’ARMIR sulla forza vettovagliata, ne erano rientrati in
Italia 101.000. Pertanto considerate le perdite, a larghe spanne, la cifra dei
prigioneri doveva essere circa 84.000 considerate le perdite. In realtà dei
101.000 soldati mancati, 90.000 erano Caduti nella ritirata e circa 11.000
raccolti come prigioneri dai sovietici, che in effetti restituirono. Vds. Coltrinari
M., Le Vicende dei Militari Italiani in URSS,
Roma, Archepares, 2021.
[2]
Il tasso di mortalità nella prigionia in URSS è più o meno quello delle altre
prigionie in mano della Gran Bretagna, Francia e Stati uniti.